Gli invisibiliIl sottovalutato problema dei migranti senza documenti in Europa

Oltre 400 rifugiati senza documenti, provenienti soprattutto da Nepal, Marocco, Tunisia, Egitto, Pakistan, hanno iniziato uno sciopero della fame a Bruxelles contro la mancata regolarizzazione decisa dal governo liberale di Alexander de Croo. Sono una piccola parte dei 4,8 milioni di persone che dalla Grecia alla Polonia vengono trattati come subumani

Gli ultimi della fila. Che si tratti di vaccinazioni o di regolarizzazioni, in Europa c’è una categoria di persone costretta a subire continui controlli, vessazioni e ogni genere di angheria: i migranti senza documenti. Secondo il Pew Research Center, nel 2017 c’erano circa 4,8 milioni di persone non autorizzate che vivevano sul suolo europeo, un numero probabilmente nel frattempo già salito. Molti Stati però continuano ancora a non considerare i loro diritti, non dimenticando invece i loro doveri. «A chi dice che non possiamo più accogliere, rispondiamo con forza che accogliamo poco, che è possibile accogliere meglio, che non è più possibile considerare i migranti come dei subumani che possiamo lasciar morire in mare, vagare nudi alle porte dell’Europa, o sopravvivere sui nostri marciapiedi, come se ci rifiutassimo di considerarli nostri simili», hanno sottolineato in un commento pubblicato su Le Monde un collettivo formato da tre deputati dei Verdi, tra cui il francese Yannick Gadot, e due accademici.

Una prova viene direttamente da Bruxelles, più precisamente dalla chiesa barocca di Saint-Jean-Baptiste-au-Béguinage, epicentro di una rivolta che dura da quasi due mesi. Qui oltre 400 migranti senza documenti, provenienti soprattutto da Nepal, Marocco, Tunisia, Egitto, Pakistan, hanno iniziato uno sciopero della fame contro la mancata regolarizzazione decisa dal governo liberale di Alexander de Croo. «Non ci sarà alcuna legalizzazione collettiva», ha sottolineato Sammy Mahdi, nominato Segretario di Stato per l’asilo e le migrazioni nell’ottobre 2020. Il funzionario non ha nemmeno gradito questo tentativo di forzare la mano indicendo uno sciopero della fame. «Ritengo sia inaccettabile ricorrere allo sciopero della fame per eludere le regole, così si bypasserebbe la lunga trafila compiuta da 8 mila studenti e 15 mila stranieri dotati di regolari permessi», ha evidenziato Mahdi.

Per l’attuale segretario di Stato la situazione rischia di essere pericolosa: su casi come questo si gioca buona parte della sua credibilità politica visto che nelle Fiandre, sua regione di origine, il suo partito, i Cristiano-Democratici e Fiamminghi, sono sempre più tallonati dall’estrema destra del Vlaans Belang, movimento in forte ascesa e che aspira a recitare un ruolo di primo piano nelle prossime elezioni, previste per il 2024. In attesa di un concreto segnale dalla politica gli scioperanti, che hanno ormai superato i cinquanta giorni di digiuno, cominciano a mostrare segni di cedimento: Croce Rossa e Medici senza frontiere cercano di aiutare persone arrivate quasi all’esasperazione, tra casi di bocche cucite, minacce di sciopero della sete e tentativi di suicidio. Secondo i medici, una vera e propria emergenza psichiatrica che non fa che aumentare la possibilità che si verifichino casi di decesso.

Il precedente non fa ben sperare: nel 1981 nel carcere Maze di Belfast dimostranti unionisti irlandesi iniziarono uno sciopero della fame per il diritto di indossare i loro vestiti. Storia e background sono ben differenti ma ciò che è rilevante è l’aumentare del rischio di morte. Il più celebre dii tutti, Bobby Sands, morì dopo 66 giorni, mentre uno dopo appena 46. La ragione però è ben chiara anche stavolta. «Se usciamo di qui, saremo tutti senzatetto», ha dichiarato un occupante ai giornalisti di Le Monde.

Per questa ragione tutti gli scioperanti hanno rifiutato l’incontro in una zona neutra proposto dalla segreteria di Stato, visto come una sorta di vera e propria trappola. A favore della loro battaglia hanno fatto sentire la loro voce anche semplici cittadini, il primate del Belgio, l’arcivescovo Jozef De Kesel, e gli esponenti del Partito Socialista e dei Verdi, che hanno chiesto a Mahdi di ripensarci. «Tra gli scioperanti ci sono elettricisti, carpentieri, operai edili e persino un laureato in scienze politiche: magari al governo potremmo tornare utili», ha dichiarato un manifestante. Chissà se sarà davvero così.

Il trattamento in giro per l’Europa
Se in Belgio, dove sono stimati tra i 100 e i 150 mila i migranti irregolari, la questione è molto politica, il resto d’Europa non fa eccezione. Un esempio è la Danimarca, dove a giugno è stata promulgata una legge che prevede la ricollocazione in un Paese terzo fuori dall’Unione europea dei richiedenti asilo, un episodio che sottolinea la progressiva svolta a destra dell’esecutivo di Mette Frederiksen, come Linkiesta ha già raccontato. 

Non c’è soltanto Copenaghen però. Altrettanto indecoroso è stato il trattamento riservato dalle autorità greche a una decina di migranti che avevano attraversato illegalmente il confine con la Turchia. Risultato? Prima di essere riconsegnati sono stati rinchiusi, picchiati e spogliati dei loro vestiti. Atene non è nuova a questi modi di fare: nel marzo 2020 aveva riconsegnato altri migranti ad Ankara in mutande mentre a dicembre aveva respinto in mare gommoni che attraccavano sulle sue coste nonostante fosse notte e nonostante ci fossero bambini a bordo. L’andazzo di Danimarca e Grecia, in fondo, non si discosta molto da quello di altri Paesi che finora hanno ignorato moltissimi migranti senza documenti nelle loro campagne vaccinali, spesso usate come scusa per denunciarli ai funzionari dell’immigrazione. 

I vaccini 
Senza i documenti giusti non si va da nessuna parte: è questa la triste realtà di moltissime persone, che, in mancanza di atti che certifichino la loro residenza, non possono essere vaccinate. Lo evidenzia un rapporto di inizio giugno del Centro europeo per il controllo delle malattie (ECDC), che dimostra come nel Continente siano i migranti quelli più a rischio di infezione oppure di ospedalizzazione rispetto ai locali. Eppure, per molti Paesi sono e restano poco importanti. «L’imperativo della salute pubblica (quello di vaccinare gli immigrati) rimane ancora valido. Ma è un problema di invisibilità in alcuni paesi», ha dichiarato Alyna Smith, advocacy officer presso la Piattaforma per la cooperazione internazionale sui migranti privi di documenti (PICUM) al Washington Post.

Nonostante già a marzo la Commissione europea avesse evidenziato come fosse necessario vaccinare anche i migranti molti Stati europei hanno fatto finta di nulla. Se da un lato Paesi Bassi, Belgio e Portogallo hanno approntato sistemi in grado di permettere ai migranti senza fissa dimora di ricevere una dose di vaccino (in Portogallo il sistema ha registrato ben 19 mila richieste di vaccinazione secondo PICUM), la stessa cosa non si può dire ad esempio del Regno Unito, dove spesso i medici si rifiutano di prenotare un appuntamento a chi non ha una residenza nel Paese, o della Germania, dove è ancora in vigore una legge amministrativa che obbliga le autorità pubbliche a segnalare i migranti senza documenti ai funzionari dell’immigrazione.

Non sono i soli: in Ungheria il governo di Viktor Orban non menziona i migranti privi di documenti nella sua strategia nazionale di vaccinazione, che prevede di registrarsi con un numero di previdenza sociale valido, non disponibile per le persone prive di documenti, e con un indirizzo di casa registrato. Inoltre, le autorità sanitarie hanno avvertito che i dati di registrazione vengono confrontati con quelli detenuti dalle autorità per l’immigrazione, disincentivando così molte persone a vaccinarsi.

La Grecia, invece, ha iniziato a vaccinare i rifugiati soltanto a inizio giugno, anche se permangono notevoli difficoltà nell’accesso al sistema di piattaforma di registrazione dei vaccini. «Quando parli di turismo e non parli di persone che lavorano senza documenti nelle cucine, negli hotel, facendo il bucato, facendo la guardia agli anziani, allora hai un buco nella tutela della propria salute pubblica», ha dichiarato sempre al Washington Post Lefteris Papagiannakis, ex vicesindaco di Atene e attuale capo della difesa, della politica e della ricerca presso SolidarityNow, una ONG che lavora con rifugiati e migranti in Grecia.

Non molto meglio va in Polonia, dove all’interno delle FAQ sui vaccini pubblicate sulla pagina web del governo si sostiene che «gli stranieri con diritto di soggiorno sono vaccinati alle stesse condizioni dei cittadini polacchi», una frase che mette automaticamente in fuorigioco tutti coloro che invece quei documenti non li hanno. Un assioma ulteriormente rafforzato da Michał Dworczyk, capo dell’ufficio del primo ministro, in un’intervista di fine giugno a tvn24. Un principio che ha però visto una parziale marcia indietro da parte del ministero della salute, che ha dichiarato come l’accesso ai vaccini non dipenda dall’assicurazione sanitaria, di cui sono sprovvisti i migranti senza documenti. Da cosa però effettivamente dipenda non è dato sapere. 

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