Aspettando l’UeL’intesa tra Serbia, Macedonia del Nord e Albania per una mini-Schengen balcanica

I leader politici serbo, albanese e macedone hanno deciso che non è il caso di attendere l’eventuale allargamento dell’Ue e vogliono creare un’area che renderà più semplice lo spostamento sia delle persone che delle merci tra i tre paesi

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Bruxelles come Godot. È così che vede l’Europa Edi Rama, primo ministro dell’Albania, e insieme a lui anche i leader di Serbia e Macedonia del Nord che, in un’intervista al Financial Times, hanno rilanciato il progetto di una mini-Schengen tra i tre Paesi da portare a termine entro la fine dell’anno per permettere un passaggio agevolato di uomini e merci.

«Sappiamo che c’è poca voglia da parte dei Paesi di allargare ulteriormente l’Unione europea, ma dobbiamo anche vedere cosa possiamo fare per i nostri popoli e per espandere ulteriormente i nostri mercati», ha dichiarato il presidente della Serbia Alexander Vucic. Più arrabbiato Zoran Zaev, il primo ministro della Macedonia del Nord, che ha sottolineato come «l’Ue non mantenga le sue promesse. Per questo dobbiamo accelerare sul fronte della mini-Schengen, in modo tale da garantire più benefici ai nostri cittadini».

Storia e dissidi
L’idea non è nuova. Presentata nel 2017 da Vucic come “vecchia Jugoslavia più Albania”, il progetto è stato ufficialmente lanciato dai tre leader nel corso di un incontro tenutosi a ottobre 2019 a Novi Sad, nel nord della Serbia. In quell’occasione venne annunciato che il mini-Schengen tra i Paesi dei Balcani occidentali avrebbe garantito a 14 milioni di persone di godere degli stessi vantaggi di cui godono i Paesi europei che hanno sottoscritto l’accordo originale, siglato nel 1985, che permette un transito agevolato di persone e merci tra i Paesi firmatari.

I successivi incontri di Durazzo e Ocrida hanno trovato il consenso di Kosovo, Bosnia Erzegovina e Montenegro che, però, si sono sempre detti più interessati ad aderire all’Unione europea e hanno quindi rifiutato l’ingresso. Poi è arrivata la pandemia ma, soprattutto, il Mercato Regionale Comune, istituito nel 2020 nell’ambito del processo di Berlino, che include sia i Paesi dei Balcani occidentali che quelli europei. I suoi obiettivi sono gli stessi del mini Schengen: libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone nei settori del commercio regionale, degli investimenti, della digitalizzazione e dell’industria.

I risultati sono stati concreti sin da subito, come dimostra l’eliminazione delle tariffe di roaming a partire dal 1º luglio 2021 nei sei Paesi dei Balcani occidentali, una delle operazioni più importanti in questo anno di vita. Per questo l’impressione degli altri Paesi dei Balcani occidentali è che mini-Schengen possa essere solo un doppione di qualcosa che funziona anche meglio, ma non solo. «Il mini-Schengen non esiste: il Mercato regionale comune dovrebbe essere il vero fulcro della cooperazione con l’Europa», ha dichiarato il presidente del Kosovo Albin Kurti, che teme soprattutto che l’operazione possa essere un facile strumento di controllo nelle mani della Serbia, senza la sorveglianza dei Paesi europei.

Anche in Macedonia del Nord non sono mancati i malumori: già nel 2019 si evidenziava come Skopje non potesse competere con Belgrado e Tirana e come l’operazione rischiasse di mettere su piani diversi i tre Paesi. C’è chi addirittura la paventava come la fine dell’integrazione europea: secondo l’opinione del romanziere ed editorialista montenegrino Andrej Nikolaidis «la mini-Schengen sosterrà le fantasie nazionalistiche di serbi e albanesi a scapito di Bosnia Erzegovina, Montenegro e Macedonia».

Le prossime tappe: come sarà la mini-Schengen
Eppure, nonostante i contrasti, la roadmap sembra già definita: il primo passo è stata la firma dei tre memorandum durante il forum economico per la cooperazione regionale tenutosi giovedì 29 luglio a Skopje, che ha segnato un netto restyling del progetto a cominciare dal nome. «Forse abbiamo sbagliato a chiamarlo così, troveremo una soluzione congiunta al prossimo vertice», aveva dichiarato Vucic in un’intervista a Euronews Serbia già a inizio luglio.

Il forum è stata perciò l’occasione non solo per ribattezzare il progetto, che d’ora in avanti sarà chiamato “Open Balkan”, ma anche per siglare accordi tra i tre Paesi che prevedano reciproca collaborazione in caso di calamità che riguardino la regione; allentamento graduale delle restrizioni di viaggio; adozione di corsie preferenziali alle frontiere per cittadini (presenti già in parte, visto che oggi serve solo un documento di identità tra i tre Paesi per circolare) e merci e accesso agevolato ai permessi di lavoro.

Una tale integrazione porterà un vantaggio economico: secondo uno studio della Banca Mondiale del 2019 i tre Paesi potrebbero arrivare a risparmiare la bellezza di 3,2 miliardi di dollari. A cambiare però sarebbe anche la narrativa di un’intera regione, sia a livello interno che esterno. «Quando le persone hanno stipendi più alti, penseranno a vite migliori e non alle ombre del passato», ha spiegato Vucic. Secondo il presidente macedone Zaev, «l’obiettivo finale è diventare un paese membro dell’UE, ma finché Bruxelles non deciderà nulla dobbiamo trovare il modo di continuare il processo di europeizzazione».

Visto da Bruxelles (e da Washington)
I tre Paesi del mini-Schengen sono da tempo candidati a entrare nell’Unione europea, ma non c’è ancora una data certa per il loro effettivo ingresso. Risale addirittura al 2003 la domanda d’ingresso della Macedonia del Nord, quando ancora si chiamava soltanto Macedonia, mentre Serbia e Albania hanno fatto richiesta rispettivamente nel 2012 e nel 2014.

Per tutti e tre sono stati molti i problemi incontrati lungo la strada, come per esempio la questione del nome del Paese e della lingua per Skopje, che continua a rallentare l’iter di adesione, o la mancanza di riforme giudiziarie ed economiche per Belgrado e Tirana. L’obiettivo finale dell’Unione, quello cioè dell’allargamento, non sembra essere in discussione anche se il consenso tra i paesi non sembra molto condiviso e rischia di scendere ancora a seconda del risultato delle elezioni tedesche di settembre.

A preoccupare maggiormente è però soprattutto l’ingresso di attori come Cina, Russia, Turchia ed Emirati Arabi Uniti, che potrebbero attrarre più facilmente questi Paesi. «L’Europa dovrebbe rendersi consapevole dello spazio che ha lasciato a questi Paesi di entrare e mai come ora deve agire in maniera unita per evitare il loro ingresso», ha dichiarato al Financial Times Ivan Vejvoda, membro dell’Istituto per le scienze umane di Vienna.

Se l’Unione si mostra (semi)assente, discorso diverso riguarda Washington. «I Balcani che abbiamo oggi potrebbero essere il più brillante – se non l’unico brillante – esempio di politica estera americana. Le libertà di cui godiamo oggi nei Balcani sono merito loro», ha dichiarato il primo ministro albanese Rama. 

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