Ha fatto risorgere la email, ha creato un nuovo tipo di rapporto tra autore e lettore (simile a quello tra influencer e follower) è diventata una sorta di compagno di viaggio e, per i pochi che ce l’hanno fatta, è diventata anche uno strumento di guadagno. Insieme alle piattaforme social e alle chat via telefono la newsletter (di questo si parla) è uno dei protagonisti di questi tempi.
Il suo successo dipende da tanti fattori, più o meno quante sono le ragioni per cui qualcuno sceglie di abbonarsi o, addirittura, di finanziarne una. Questo interessante articolo su The Cut ne elenca alcune. C’è la sensazione, privilegiata, di accedere a una sfera sociale limitata (questo vale per quelle su invito). C’è il senso di intimità di fare parte di una cerchia, o di accedere a una conoscenza esclusiva su questioni più o meno importanti, compresi i vestiti da indossare o i ristoranti da provare. L’autore può essere un esperto, un giornalista, un guru. Ma anche un dissidente politico, una celebrità. Qualcuno di autorevole da seguire insieme a una comunità ideale e, di fatto, immaginata. In generale, si comincia a sentirsene parte quando si ride per gli inside joke.
La newsletter del resto è versatile. Forse una delle forme più flessibili del web. In un certo senso, spedisce nella casella mail saggi, estratti, spiegoni, editoriali. Ci sono (tantissime) rassegne stampa, consigli di letture/mostre/film, commenti ai fatti del giorno, cibo, europa, lavoro (non perdete quelle di Gastronomika, Europea e Il lavoro che verrà) raccolte di aneddoti e pettegolezzi, dibattiti e approfondimenti su tematiche a piacere dell’autore. In questo senso, è diventata una sorta di sostituto dei media online. Il tutto perché – grazie all’arrivo di servizi di spedizione come Mailchimp o TinyLetter – la newsletter si è trasformata, dal 2015 a oggi, in un mezzo efficacissimo di autopromozione. Lo usano le aziende, i giornali e, soprattutto, gli individui. La sua esplosione, aiutata da piattaforme come Substack, è stata certificata dall’arrivo di omologhi come Bulletin, di Facebook, inondando il mondo di nuove migliaia di newsletter.
Il risultato, per il lettore, è una casella di posta piena, come negli anni zero, di mail lunghe, complesse, con link e immagini. Soltanto, non sono personali. Si rivolgono a una platea, non a un individuo. Del rapporto intimo di un tempo mantengono, ogni tanto, solo la parvenza.
Per gli autori questo è un aspetto da studiare, perché spesso decisivo. Ogni newsletter deve avere la propria voce e mantenere uno stile specifico. Secondo Rache Seville Tashjian di GQ, autrice della newsletter di fashion “Opulent tips”, deve somigliare «all’organizzazione di una festa». Uno spazio per tanti, in cui tutti si devono divertire. O al massimo, non annoiarsi troppo.
C’è chi, scrivendo, inventa un personaggio – può essere un saggio consigliere, un malato di shopping o il classico che racconta cose che gli altri non dicono. Il più delle volte, continua l’articolo di The Cut (realizzato dopo mesi di assidua frequentazione di tutte le newsletter possibili), l’autore offre una versione non censurata di sé, si permette qualche divagazione e, in generale, cerca di stabilire un contatto che sia il più possibile autentico. Qui si realizza la stessa dinamica dell’influencer, dove il più delle volte l’oggetto in vendita è proprio l’autore stesso.
La newsletter, per questo, è un nuovo genere letterario, inteso almeno secondo la definizione del critico Christian, secondo cui quello «dominante negli Stati Uniti è il carrierismo». Una logica cui non si sottraggono «scrittori, autori e perfino poeti» che passano la metà del loro tempo a corteggiare i lettori e l’altra a scrivere i loro libri. Un fenomeno che vale anche, se non di più, per saggisti, biografi e reporter. Il loro punto di caduta è, allora, proprio la newsletter: nella sua varietà estrema (dai pettegolezzi ai consigli, passando per pensosi approfondimenti) finiscono per fondersi lavoro e promozione del lavoro, cancellandone i confini. Non è un male: nella nuova comunicazione le due cose non possono più essere distinte. Come del resto, ormai, è nella realtà.