C’ha pensato molto prima di vaccinarsi, ha detto domenica a Repubblica Francesco Lollobrigida, capogruppo di FdI alla Camera, e si è poi deciso per il sì tra gravi tormenti; ma forte di queste riflessioni non si sentirebbe di consigliare la vaccinazione sotto i quarant’anni. In maniera più sbrigativa, sullo stesso giornale il suo coetaneo quasi cinquantenne Matteo Salvini ha detto ieri che sotto i quarant’anni il vaccino non serve, perché tanto sotto i quarant’anni di Covid non si muore.
La realtà è che anche sotto i 40 anni di Covid si muore, più che nelle fasce di età inferiori e meno che nelle superiori (solo nell’ultimo mese: 8 morti, 13 ricoveri in terapia intensiva e 528 ospedalizzazioni, ricordava ieri Nino Cartabellotta su Twitter) e la vaccinazione riduce praticamente allo zero questi effetti, che riguardano per i più giovani esclusivamente i non vaccinati. Per un meccanismo psicologico molto comune, la bassa letalità porta a sottovalutare, sul piano individuale, il rischio del contagio e il vantaggio del vaccino e a non considerare, sul piano sociale, gli obiettivi collettivi della vaccinazione di massa. Nel contributo all’immunità di gregge davvero uno vale uno e la vaccinazione di un quarantenne vale quanto quella di un ottantenne, anzi vale pure di più perché il quarantenne ha molte più interazioni sociali.
Le distorsioni cognitive sulla realtà dei fatti e delle loro relazioni sono un fenomeno comune nella psicologia sociale, ma sono anche un materiale politico per eccellenza, ovviamente privilegiato dai costruttori di immaginari totalitari. Non fanno eccezione i vaccini, Sputnik a parte, che per la destra di obbedienza magiaro-moscovita sono comunque un prodotto demoplutocratico e uno strumento di controllo individuale, da parte di un deep state che usa il Covid come alibi per i propri progetti di dominio.
Si deve ovviamente censurare questo sensocomunismo cialtrone dei libertari de’ noantri, che mischia le riserve sull’obbligo vaccinale, lo scemenzario dell’epidemiologia da bar e il cospirazionismo paranoico. L’effetto di rinforzo del pregiudizio no-vax e dello scetticismo boh-vax, implicito in questo bla bla bla para-negazionista, avrà effetti di lungo termine in un Paese in cui la campagna vaccinale non sembra trovare finora opposizioni di massa e, soprattutto tra i due milioni e mezzo di ultra sessantenni che mancano ancora all’appello, sconta in primo luogo la perdurante inefficienza del sistema di medicina territoriale.
Di fronte all’offensiva libertaria della destra italiana, bisognerebbe però anche onestamente ammettere che a favorirla è stata una comunicazione ufficiale sui vaccini che ha suscitato per mesi aspettative miracolistiche, per incentivare l’adesione dei cittadini, non promettendo, come sta già avvenendo, un fondamentale game change nella lotta alla pandemia, ma il rapido approssimarsi di un’era Covid free. Di fatto, questa comunicazione implicitamente o esplicitamente assicurava che, procedendo rapidamente con le vaccinazioni, avremmo visto un altrettanto rapido regresso dei contagi e una liberazione dalle restrizioni delle attività economiche e della vita sociale. Ma la promessa si è rapidamente infranta davanti a una realtà capovolta, in cui i contagi sono tornati a correre più rapidamente della campagna vaccinale e le misure restrittive più afflittive sono rientrate nell’ordine delle possibilità concrete.
La logica di una comunicazione così paternalistica – i cittadini non devono capire, ma credere, per obbedire e combattere senza dubbi il Covid – è per altro coerente con quella adottata nella fase pre-vaccinale della pandemia, dove per giustificare divieti e prescrizioni si è ricorsi ad argomenti e misure di natura puramente dimostrativa ed esemplare – come il bando all’attività fisica, o l’obbligo indiscriminato di mascherina all’aperto – che non servivano a niente, se non a ficcare nella testa degli italiani che nessuna convivenza con il Covid sarebbe stata possibile e che la società avrebbe potuto permettersi di tornare libera solo quando si fosse liberata dal virus.
Prigioniera di questi assoluti che mal si conciliavano con un sapere molto relativo e con l’andamento imprevedibile della pandemia, ma molto servivano per mobilitare l’opinione pubblica, la comunicazione sul Covid, che è parte essenziale della strategia di gestione del rischio sanitario, si è persa per strada tutti i relativi, di cui l’opinione pubblica era bene fosse consapevole, per evitare che la fiducia in un’illusione tramutasse in seguito la delusione in sfiducia e ribellione.
Ora purtroppo siamo al redde rationem, con il paradosso che la campagna vaccinale sta davvero funzionando, visto che l’aumento dei contagi non si traduce in aumento di ospedalizzazioni e decessi e l’Italia sta reggendo bene l’urto della variante Delta. Eppure questi risultati straordinari sono occultati dalla delusione per il fatto che non sta finendo tutto e che la lotta al Covid assumerà presumibilmente la forma di una lunga convivenza complicata, ma finalmente possibile, proprio grazie ai vaccini.
Una comunicazione adulta e tra adulti, per quanto semplificata e comprensibile, dovrebbe infondere questa consapevolezza. Continuare a insistere sulla chiave che potremo tornare a vivere solo quando il Covid sarà morto, alla fine non migliorerà l’adesione alla campagna vaccinale e alle misure di contenimento, consumerà rapidamente il capitale sociale di fiducia e cooperazione che, nella gestione di una pandemia che riguarda miliardi di interazioni umane quotidiane, non può essere concretamente surrogato da misure coercitive.
Invece, non solo per colpa di Salvini, la polarizzazione della comunicazione è diventata quella sbagliata tra i fautori di un obbligo indiscriminato e quelli del rifiuto ideologico dei vaccini.