Internazionale nazionalistaCosa c’è dietro la Carta dei valori dei sovranisti europei

Quindici partiti di quattordici Paesi (l’Italia, infatti, ha fatto una doppietta) chiedono con un manifesto politico di riformare l’Unione europea per salvare le nazioni. Da Viktor Orbán a Marine Le Pen, ci sono quasi tutti i volti noti della destra radicale. Ma resta lontana l’idea di un gruppo politico unitario al Parlamento europeo

LaPresse

Una dichiarazione d’intenti, che chiama a raccolta le varie anime della destra sovranista europea per lanciare a Bruxelles un guanto di sfida: riformare l’Ue, ma senza aumentare l’integrazione degli Stati che la compongono. È la Carta dei valori, firmata il due luglio da 15 partiti di 14 Paesi europei, tutti caratterizzati da un approccio critico verso le istituzioni europee e gelosi della sovranità nazionale.

Ci sono, tra gli altri, la Lega e Fratelli d’Italia, ma anche il Rassemblement National di Marine Le Pen, i polacchi di Diritto e Giustizia (PiS), gli spagnoli di Vox, gli austriaci del Partito della Libertà (Fpö) e gli ungheresi di Fidesz. Tolto il partito di Viktor Orbán, appena escluso dal Partito popolare europeo e al momento fra i Non iscritti, le altre forze politiche appartengono alle due famiglie europee della destra nazionalista: Conservatori e riformisti europei (Ecr) e Identità e democrazia (Id). La fusione di questi due gruppi nell’emiciclo comunitario non sembra comunque in vista.

Il documento programmatico, chiamato «Dichiarazione sul Futuro dell’Europa», contiene una serie di punti piuttosto ricorrenti nella narrativa dei partiti firmatari. Si dice, ad esempio, che nell’attuale assetto dell’Unione europea «le nazioni si sentono lentamente spogliate del diritto a esercitare i loro legittimi poteri» e si denuncia una «trasformazione culturale e religiosa» volta alla creazione di un «Superstato europeo», che cancelli nazioni e tradizioni.

Si ribadisce «l’eredità giudaico-cristiana dell’Europa», concetto da sempre caro alle destre del continente, tanto quanto quello della famiglia tradizionale, descritta come «unità fondamentale delle nazioni». Secondo i partiti che hanno siglato la Carta, in sostanza, sarebbe in corso una «costante reinterpretazione dei trattati da parte delle istituzioni comunitarie», che spingerebbe in maniera illegittima verso una maggiore integrazione degli Stati nell’Unione. Il loro obiettivo è dunque invertire la tendenza, mantenendo ben salde le competenze nazionali e tutelando gli organi politici dei vari Paesi.

L’Europa delle nazioni
«Questa iniziativa rilancia un’alternativa all’appiattimento delle istituzioni europee sulle posizioni dei Verdi e dei Socialisti», dice a Linkiesta Marco Zanni, eurodeputato della Lega e presidente del gruppo Id, secondo cui il problema non è l’Ue in sé, ma l’europeismo acritico: «Siamo favorevoli alla cooperazione tra Paesi europei, ma partendo dagli Stati nazione e rispettando gli assetti istituzionali».

Per questo, non ci sarebbe contraddizione tra l’adesione all’asse degli euro-critici e l’appoggio della Lega al governo di Mario Draghi, accusa che è arrivata soprattutto dal Partito democratico: «Non si può essere sostenitori insieme di Draghi e di Orbán», aveva twittato a caldo il segretario del Pd, Enrico Letta. «A noi l’europeismo di Draghi piace, perché è pragmatico e tutela gli interessi nazionali», risponde Zanni.

Dal documento, in effetti, sono escluse alcune posizioni estreme che pure erano state sostenute da alcuni partiti della destra sovranista negli anni passati, come l’uscita dall’Unione europea o dalla moneta unica. Al contrario, sottolineando la «tendenza a imporre un monopolio ideologico» presente in ambito comunitario, il presidente di Identità e democrazia sostiene che la Carta dei valori incarni i principi tradizionali del centro-destra, da cui si sta progressivamente allontanando il Ppe. Una visione simile a quella di Orbán, che da tempo accusa i popolari di aver rinnegato i propri valori fondanti.

Le forze politiche che hanno sottoscritto la Carta sono già allineati su vari aspetti della politica comunitaria, dalla questione migratoria a quella dei diritti civili. Ora incrementeranno la collaborazione, con incontri e convegni aperti a esperti esterni: uno scambio di idee che, secondo Marco Zanni, potrebbe portare a un nuovo contenitore politico della destra al Parlamento europeo, anche se la strada è ancora lunga: «Parto dal presupposto che uniti siamo più forti e che non ha senso restare divisi».

L’idea del gruppo comune non è nuova per l’esponente leghista, che già ci aveva lavorato nella scorsa legislatura. Ma ora il suo partito spinge con più forza in questa direzione. Lo stesso Matteo Salvini si sta spendendo in prima persona per questo obiettivo e dopo aver lanciato il progetto di un «Rinascimento europeo» con Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki, aveva ventilato persino l’ipotesi di una grande famiglia di centro-destra, che tenesse insieme popolari e sovranisti. «Il documento è un altro passo per costruire un’alleanza solida, allargata e alternativa alla sinistra», è stato il suo commento alla pubblicazione della Carta dei valori.

No al gruppo comune della destra europea
Il matrimonio fra Id ed Ecr non sembra però all’orizzonte. Fratelli d’Italia tiene molto al «rispetto del ruolo degli attuali gruppi politici», tanto da pretendere un richiamo in questo senso nella parte conclusiva della Carta. La formazione di Giorgia Meloni ha una posizione di rilievo sia nel gruppo al Parlamento europeo, di cui esprime anche uno dei due presidenti (Raffaele Fitto), sia nell’omonimo partito transnazionale, presieduto dalla stessa Meloni.

Al contrario della Lega, Fdi non punta a modificare lo status quo dei gruppi comunitari. «Siamo pronti a collaborare con altre forze politiche, con cui abbiamo un denominatore comune. Ma non c’è intenzione di smantellare Ecr», spiega a Linkiesta il capo-delegazione di Fratelli d’Italia a Strasburgo, Carlo Fidanza. 

La galassia sovranista, del resto, è composita e le convergenze fra i suoi membri non sono totali. Alternative für Deutschland, ad esempio, sembra sempre più un corpo estraneo al gruppo Id e alcuni partiti di Ecr hanno messo il veto alla sua adesione al documento. 

Altre formazioni dei Conservatori e riformisti europei si sono defilate dalla dichiarazione congiunta, tra cui gli olandesi di Ja21, che erano stati erroneamente inseriti nella lista. «Si tratta di questioni di merito, di rapporti interni al gruppo e di equilibri politici», sostiene Fidanza. Visioni diametralmente opposte ci sono, ad esempio, tra gli spagnoli di Vox, nemici feroci degli indipendentisti del loro Paese, e la Nuova Alleanza Fiamminga, che spinge per la secessione delle Fiandre dal Belgio, ha un’impronta meno euro-scettica e non ha firmato la Carta dei valori.

L’evoluzione di questo «patto sovranista» dipenderà molto anche dal rapporto di forza fra la Lega e Fratelli d’Italia, non a caso gli unici partiti di uno stesso Paese a sottoscriverlo. Se Matteo Salvini ha incontrato prima i leader di Ungheria e Polonia a Budapest e poi i sovranisti portoghesi di Chega, anche Giorgia Meloni ha di recente coltivato con cura i rapporti con gli alleati stranieri, attuali ed eventuali. A inizio maggio era a Madrid con il leader di Vox Santiago Abascal, a fine mese era ospite a Varsavia del primo ministro polacco Mateusz Morawiecki e a giugno ha visto Viktor Orbán a Bruxelles, in un incontro che potrebbe aver gettato le basi dell’adesione di Fidesz a Ecr. Entrambi giocano una doppia partita: per la leadership del centro-destra a livello nazionale e come punto di riferimento della destra italiana a livello europeo. 

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