Contro il pensiero semplicePiù dei vaccini obbligatori, serve una strategia ad hoc per raggiungere gli scettici

La decisione di Emmanuel Macron di rendere vincolante il possesso del green pass per accedere a servizi pubblici e luoghi ricreativi ha stimolato tentativi di emulazione anche in Italia. Ma non esiste un sistema che va bene per tutti allo stesso modo

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La libertà è come la salute: la si apprezza soprattutto quando ci si rende conto che la si sta perdendo o la si è persa.

La decisione di Emmanuel Macron di rendere legalmente vincolante il possesso del green pass per accedere a servizi pubblici e luoghi ricreativi ha sollevato accese discussioni di principio. A nessuno è venuto in mente che i problemi di Macron nella gestione della pandemia di Covid-19, specialmente in rapporto al processo di vaccinazione, sono diversi e più seri di quelli che stanno avendo altri Paesi.

Non solo circa il 20% della popolazione può essere considerata “esitante” a vaccinarsi, ma il 30% dei cittadini francesi il vaccino lo rifiuta proprio. La mossa del presidente francese si spiega dunque alla luce del rischio, concreto per la Francia, di non riuscire a vaccinare neppure la metà della popolazione.

La scelta di Macron non è stata quella di ricreare un illecito penale o amministrativo, come per decenni era intesa l’obbligatorietà delle vaccinazioni, ma di renderla un prerequisito legale per poter tornare a godere appieno di diritti che già i lockdown hanno eroso in modo sostanziale, come la libertà di movimento sui mezzi pubblici, accedere a un locale pubblico, ecc. Per intenderci, il paragone opportuno è con quanto si fa in molti Paesi dove i bambini sono ammessi nelle classi scolastiche solo se i genitori esibiscono specifici certificati di vaccinazione.

Se funzionerà o meno la strategia di Macron per ampliare la percentuale dei francesi disposti a vaccinarsi è difficile da prevedere. Nell’immediato, le prenotazioni sono aumentate vistosamente: questo è coerente con gli effetti attesi di quella scelta. La psicologia sociale induce al pessimismo. Le persone che sono contro le vaccinazioni non solo credono che i vaccini non siano sicuri (a dispetto dell’evidenza prodotta da industria e regolatori) ma tendono anche ad abbracciare idee complottiste. Queste ultime possono essere più e meno estreme, ma non siamo troppi lontani dal vagheggiamento che la pandemia altro non sarebbe che un’invenzione delle industrie farmaceutiche, ovviamente al fine di somministrare a tutti i loro vaccini.

Il complottismo non si può neutralizzare tramite leggi che riducono le libertà di scelta a priori. Anzi, gli studi di psicologia sociale tendono a sottolineare che se si cerca di convincere o obbligare le persone a cambiare idea si ottiene un effetto controproducente. È vero che sembra che l’effetto controproducente si possa calmierare se nel fornire le informazioni corrette si usano strategie comunicative adeguate e soprattutto se si forniscono le informazioni in modo tale che non siano identificate con qualche fonte percepita come ideologicamente polarizzata.

Ma queste considerazioni mal s’attagliano a un mondo nel quale l’autorevolezza delle fonti di informazioni è stata mandata in mille pezzi dall’emergere dei social media.

Anche in Francia, dunque, in un contesto caratterizzato da una forte ostilità nei confronti dei vaccini, sarebbe bene non immaginare che l’obbligatorietà delle vaccinazioni produca automaticamente i risultati attesi. Non solo perché non esistono prove che dimostrino un’efficacia generale dell’obbligatorietà nel migliorare l’adesione vaccinale a prescindere dal contesto. Ma neppure esiste una correlazione stabilita tra esitazione o contrarierà a vaccinarsi e tassi di vaccinazione: in Francia il 97% dei bambini sono vaccinati.

Insomma, viviamo in società complesse e dovremmo abbandonare l’aspettativa fuorviante che le cose stiano nel modo più semplice che ci viene più facile credere.

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità è molto prudente, e suggerisce che la strada dell’obbligatorietà deve essere presa solo se ci sono prove che è necessaria per ottenere la copertura, in modi il più possibile circoscritti e solo dopo avere provato altri incentivi. L’Oms non è certo un covo di neoliberisti. Uno studio pubblicato due mesi fa e condotto in Germania mostrava che l’obbligatorietà non incide in alcun modo sull’atteggiamento verso la vaccinazione. Conta molto di più rassicurare e spiegare che i vaccini sono sicuri.

Le politiche vaccinali dovrebbero essere pensate in modo pragmatico e senza credere che esistano modelli “one size fit all”. Non è che l’obbligatorietà è “giusta” perché l’ha scelta Macron, e men che meno perché un leader considerato fra i più “liberali” d’Europa avrebbe stavolta assecondato istinti illiberali, in qualche modo suffragandone la bontà.

La storia delle politiche vaccinali dimostra che le soluzioni sono sempre locali e dipendono da variabili quali l’alfabetizzazione sanitaria della popolazione, la fiducia nel sistema sanitario e nelle istituzioni politico-governative, l’adesione del personale sanitario alla vaccinazione, l’efficienza della distribuzione dei vaccini, la qualità della comunicazione, ecc.

I Paesi scandinavi o l’Olanda, non hanno bisogno di obbligatorietà. Nemmeno la Gran Bretagna. La Russia ha tenuto una politica basata sulla volontarietà, ma sta introducendo l’obbligatorietà per i dipendenti pubblici a fronte del fallimento totale della sua campagna d’immunizzazione (a cui si aggiunge l’inefficacia di Sputnik 5, glorioso prodotto della politica industriale russa) e di una percentuale di contrari che supera il livello francese.

Negli Stati Uniti non si pensa all’obbligatorietà, anche perché la situazione nei diversi Stati non è omogenea e i fattori che determinano la resistenza ai vaccini sono diversi. Si sta provando a usare la comunicazione in chiave “nudge“, per esempio inviando sms personalizzati che invitano a recarsi in un centro vaccinale dove una dose è pronta e sta aspettando che chi riceve il messaggio se la faccia inoculare.

In Montana è stata fatta una norma di segno contrario a quelle oggi auspicate da molti in Europa, che rende cioè impossibile discriminare le persone rispetto al loro status vaccinale (con l’eccezione di alcune categorie d’imprese, per esempio le residenze per anziani).

È assolutamente sensato che, come ha detto Mariastella Gelmini, il nostro Paese cerchi la sua via per un «ampio uso del green pass» (espressione pure un po’ ambigua), senza copiare altri Paesi. In Italia non serve limitare ancora una volta la libertà di spostamento delle persone, restringendola ai soli possessori di green pass.

A meno che il governo o il Comitato Tecnico-Scientifico non abbiano dei dati che non ci comunicano. Le vaccinazioni stanno procedendo a un ritmo che, a detta del generale Figliuolo, dovrebbero portare all’immunità collettiva verso la fine di settembre. Bisogna semmai usare il bisturi, non la clava, per andare a incidere sulle fasce degli “esitanti”.

Sarebbe opportuno inventare una strategia per raggiungere i 2milioni e mezzo di over-60 che non si sono presentati all’appello per la vaccinazione. Prima di ragionare sull’immunizzazione artificiale dei più giovani (che tipicamente hanno sintomi para-influenzali, quando contraggono il Covid-19) limitando ai vaccinati l’ingresso a scuola, sarebbe forse il caso di pensare a quei circa 200mila docenti non vaccinati che, per età e stile di vita, rappresentano il vero elemento di rischio con la riapertura delle scuole.

È appena il caso di notare che, ancora una volta, in Italia anche se abbiamo a che fare con un fenomeno complesso e sfaccettato quale è la pandemia, prevale il pensiero semplice. Quello che porta a ipotizzare che se si stabilisce un obbligo, se si approva una regola, automaticamente gli individui vi ci si adegueranno. Se le cose stessero così, la nostra stessa storia nazionale sarebbe un poco diversa. Le persone hanno piani di vita che cercano di realizzare a dispetto di ostacoli e convinzioni che orientano il loro agire indipendentemente dalle norme legali.

Ci sono prove che se si impone il green pass nei ristoranti, nei musei, nelle discoteche e sui treni i nostri concittadini cambieranno abitudini? Il gioco vale la candela: numero di vaccinati che si guadagnerebbe con l’obbligo è sufficiente a bilanciare il costo, in termini di libertà individuale ma anche di fiducia nelle istituzioni, di una norma siffatta?

È curioso che il dibattito consideri come unica opzione disponibile quella più estrema: come se non vi fossero altri incentivi praticabili (una lotteria fra i nuovi vaccinati per un abbonamento per la squadra del cuore, solo per fare un esempio). Non sembra che si sia granché riflettuto su queste altre opzioni. Semplicemente, vogliamo “fare come Macron” perché suona bene.

Oggi come ieri, sarebbe stato e sarebbe utile fare un uso più strategico e meno da Stato libero di Bananas della comunicazione sulla pandemia. I testimonial sono utili, ma in una società che vive di personalizzazioni si può fare di meglio che parlare solo alla massa.

Le idee possibili per immaginare forme di comunicazione costruite su un target specifico non dovrebbero mancare. Forse è un campo nel quale si potrebbe ragionare con l’industria privata e i grandi operatori delle comunicazioni, che queste cose le sanno fare. Non ci vorrebbe molto, per esempio, a costruire un chabot, cioè un’intelligenza artificiale, che chiami o risponda al telefono per intavolare una discussione sui vaccini e l’utilità di vaccinarsi contro Covid-19.

Li stanno usando in India e negli Stati Uniti e le più importanti scuole mediche ne stanno studiando, insieme ad aziende informatiche, l’efficacia per contrastare l’esitanza vaccinale.

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