Meno prediche, più prevenzioneLa variante Delta, l’aumento dei contagi e la facile tentazione del lockdown

Da dieci giorni i casi covid in Italia sono tornati a crescere, ma non le ospedalizzazioni. Speriamo che questo governo non si comporti come il precedente, perdendosi in inutili moralizzazioni. Bisogna mettere in atto al più presto i giusti accorgimenti: aumento dell’offerta di trasporto pubblico e dei letti in terapia intensiva, reclutamento di tracciatori

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Tutto il nostro apparato di contrasto all’epidemia è incardinato sull’andamento dei contagi. Ricordiamo tutti le dirette dal bunker della Protezione civile, dalle quali apprendevamo, giorno dopo giorno, la triste conta dei morti e quella dei nuovi contagiati – destinati, lo abbiamo imparato, a tradursi con percentuali più o meno costanti in malati gravi e decessi a due settimane circa di distanza.

Da dieci giorni i contagi in Italia sono tornati a crescere. È opinione comune che la variante Delta, come viene chiamata ora, sia molto più contagiosa, con un tasso di riproduzione stimato da alcuni fra 8 e 10 – valori di solito branditi come saette di Zeus, mentre si tratta di un parametro altamente variabile su basi socio-comportamentali e ambientali che nel caso del morbillo si è calcolato possa oscillare tra 3,7 e 203,3! Apparentemente la protezione assicurata dai vaccini non scende, ma questo anche perché i vaccini sono stati studiati e testati contro la malattia e non contro la replicazione/trasmissione del virus.

Si sa che i vaccini contro la malattia, a differenza di quelli contro la replicazione/trasmissione, favoriscono il differenziamento e l’espansione evolutiva dei patogeni. A ogni modo, per ora i vaccini hanno mantenuto efficacemente la loro promessa: cioè ridurre l’impatto epidemiologico di Covid-19 alle dimensioni di una pandemia influenzale normale, in termini di ospedalizzazioni e decessi. Ogni anno in Italia i morti per influenza e complicanze sono circa 8mila. Nel non lontano 2017, sempre l’influenza e le sue complicanze stagionali, uccisero quasi 20mila persone over-65.

Sars-Cov-2 è un virus molto insidioso e Covid-19 non è come un’influenza. Per le sue modalità di trasmissione, è bene ricordarselo, colpisce la stragrande maggioranza degli infetti con sintomi lievi e buona parte di essi non ha alcun sintomo. L’emergenza sanitaria è frutto del fatto che, per alcune fasce d’età e in presenza di alcune patologie concomitanti, gli esiti sanitari sono molto diversi e non esistono, al momento, cure efficaci. Inoltre può lasciare strascichi molto debilitanti in soggetti predisposti e poco sappiamo ancora sulla sindrome cosiddetta long covid.

Come reagire? Nel Regno Unito, dopo l’allontanamento del ministro Matt Hancock (che ha seguito le orme di Neil Ferguson violando le norme sul distanziamento fisico che lui stesso aveva voluto), il nuovo ministro della sanità, Saijd Javid, ha detto a chiare lettere che il Paese deve prepararsi a convivere con il virus: che significa attrezzarsi sotto il profilo medico-sanitario per affrontare i casi più gravi e provare a realizzare un apparato di test e tracing che consenta il monitoraggio della situazione, mentre si continuano a utilizzare i vaccini per costruire un argine solido all’impatto clinico dell’epidemia.

È una strategia azzardata? Alcuni scienziati inglesi pensano di sì e hanno pubblicato su Lancet una lettera critica contro la nuova posizione del governo, definita pericolosa, prematura e immorale. Gli argomenti sono diversi: si paventa che i giovani possano pagare un forte prezzo sotto il profilo della discontinuità educativa (ma non pagano un prezzo più elevato con la didattica a distanza?); si mette in guardia dall’emersione di nuove varianti; si sottolinea come l’epidemia continuerà a colpire più duramente le comunità più povere e naturalmente meno protette. Sono preoccupazioni legittime ma altrettanto legittimo è chiedersi qual è l’alternativa all’approccio del governo britannico.

Continuare con i lockdown, a fronte di ospedalizzazioni e decessi che, per ora, non crescono, nonostante l’andamento dei contagi? Limitare le attività economiche che più tendono a realizzare assembramenti? Evitare che riprenda respiro il turismo? Proseguire nella limitazione della libertà di movimento delle persone?

I governi sostengono di operare guardando i dati ma, rispetto alle strategie di contrasto al Covid, non esiste la pietra filosofale. Tutte le misure vengono prese in una particolare combinazione di contesti definiti e non ha senso pensare che siano replicabili con facilità, a prescindere dal contesto. La retorica prevalente suggerisce che ci sia un metodo globale per sconfiggere il Covid, in realtà i successi (se tali vogliamo considerarli) sono stati tutti molto locali. Inoltre, e non è certo un dettaglio, la realtà cambia, l’evoluzione del virus non è predeterminata e quella che può essere al momento t una soluzione, qualche tempo dopo può rivelarsi parte del problema. 

Alcuni Paesi hanno adottato una strategia che mirava all’eradicamento del virus attraverso misure non farmacologiche: Australia e Nuova Zelanda, che hanno sostanzialmente azzerato la libertà di movimento internazionale dei loro cittadini e hanno ridotto a numeri risibili i contagiati. Questa strategia, da molti applaudita, è però entrata in crisi non appena si è provato a riaprire le frontiere e soprattutto ha portato a un falso senso di sicurezza, che ha rallentato la diffusione dei vaccini e fa sì che i tassi di vaccinazione in Australia siano del tutto incongrui con ciò che si attende da un’economia avanzata. Singapore, la cui efficienza amministrativa è imparagonabile con quella dei Paesi europei, aveva perseguito anch’esso una strategia CovidZero ma, avendo vaccinato già tutta la popolazione almeno con una singola dose, ora è passato ad adottare una policy sul modello inglese, dicendo a chiare lettere che col virus si dovrà convivere.

Nessuno sa come andranno le cose. Non possiamo prevedere le caratteristiche delle nuove varianti che dovessero emergere nei prossimi mesi. Sulla base di quanto abbiamo vissuto sin qui, è lecito attendersi esiti sanitari abbastanza lievi nelle fasce più giovani della popolazione. Un certo tasso di circolazione del virus è inevitabile, quali che siano le misure. Cercare di circoscriverlo alla fascia d’età meno a rischio, concentrando sui più anziani la vaccinazione, sembra un rischio calcolato. Parimenti, non si può dimenticare che la popolazione dei suscettibili oggi è inferiore che in passato, perché agli immunizzati per vaccinazione vanno sommati tutti coloro che hanno già contratto il virus. Non si capisce perché l’immunità naturale scompaia, non appena i modellisti tirano fuori la loro cassetta degli attrezzi.

Il problema che pagheremo nelle prossime settimane/mesi/anni sarà verosimilmente un altro. L’epidemia è stata, sin da principio, moralizzata. Come quasi tutte le epidemie conosciute nella storia – ricordiamoci le pagine immortali di Alessandro Manzoni – abbiamo cercato dei capri espiatori, degli untori: dai runner ai ragazzi che fanno la movida. Proprio in questo contesto, l’aumento dei contagi naturalmente si accompagna a rampogne generalizzate sui giovani, ovvero alla richiesta di limitare le attività turistiche. Il punto di partenza è sempre corretto e banale assieme: il virus si diffonde attraverso i contatti fisici e quindi al bando le socializzazioni. Ma dedurne che i contatti sociali vadano azzerati equivale a pensare che per la società, in presenza di qualche patogeno trasmissibile, essi siano sempre un costo e mai un vantaggio. Posizione curiosa, dal momento che senza contatti sociali la società non esiste.

La moralizzazione dell’epidemia porta con sé una splendida soluzione preconfezionata: distanziamento fisico, lockdown, politiche che hanno un che di punitivo e che ricordano strategie di espiazione per superare lo stigma di un peccato. L’esperienza dell’ultimo anno, almeno in Italia, è che esse però sono alternative e non complementari a strategie di monitoraggio, test and tracing, eccetera. Come se fosse la soluzione scontata, quando la società viene chiusa in casa poi si aspetta che passi la nottata. Come se il tempo trascorso al chiuso fosse neutro, o a solo vantaggio della soluzione del problema. Abbiamo un governo diverso dal precedente e speriamo che si comporti diversamente. Che non usi l’aumento dei contagi (e, per fortuna, non dei casi gravi) come scusa per fare altre prediche e invece metta in atto quelle strategie (aumento dell’offerta di trasporto pubblico, aumento dei letti in terapia intensiva, reclutamento di tracciatori) di cui parliamo da oltre un anno senza che si faccia nulla.

La corta memoria e la dittatura del presente portano a dimenticare che le misure per controllare gli effetti dei parassiti sulle società, nel passato, sono scaturite dall’aspettativa che le restrizioni alla libertà personale o alla socializzazione fossero ridotte al minimo e per il minimo del tempo. Sono stati l’espansione dei valori e i principi liberali a permettere alla scienza, all’economia e alla cultura civica d’inventare soluzioni tecniche e strategie razionali, che i politici e gli intellettuali, chiusi a loro volta nei loro palazzi o studioli, non avrebbero mai saputo trovare. Se in Occidente abbiamo quattro vaccini anti-Covid efficaci e una pletora di farmaci o nuovi vaccini allo studio è perché abbiamo tenuto aperte nel passato quanto più possibile le nostre società, e non vorremmo che la deriva moralistica per cui se la pandemia non passa dipende dal fatto che siamo cattivi, metta a rischio le conquiste che hanno reso il nostro sistema migliore sul piano cognitivo e morale e così produttivo di benessere e libertà.

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