In Italia ci siamo posti il problema dell’esitanza vaccinale prima di avere avuto i vaccini. Quando ancora l’inizio delle vaccinazioni era di là da venire, sulla stampa italiana c’è stato un ampio dibattito su come convincere NoVax e riottosi. Anche altri Paesi discutevano la questione, solo che anziché sulla stampa la discussione avveniva nei dipartimenti di psicologia sociale, che da anni sperimentano procedimenti comunicativi per incrementare l’adesione.
Da diversi anni i governi occidentali, ma tra questi non c’è l’Italia, sono affiancati da tecnici che raccomandano cosa non dire, o come non dire qualcosa se si vuole evitare che il messaggio venga percepito in modi fuorvianti, e come dire qualcosa se si vuole che chi ascolta il messaggio sia facilitato ad assecondare le aspettative del governo. Con espressione che troviamo curiosa, si chiama paternalismo libertario o nudging, mentre in realtà è una forma di paternalismo cognitivo, nel senso che sfrutta la scienza dei bias cognitivi per spingere le persone, senza che ne siano coscienti, verso scelte che appaiono collettivamente più vantaggiose.
Col cambio di governo e di gestione della campagna vaccinale, quest’ultima ha ingranato anche in Italia. In una Regione come la Lombardia, a lungo criticata per la gestione della pandemia, sono state somministrate il 91 per cento delle dosi consegnate e “coperte” ampie percentuali delle fasce di età più a rischio. Paradossalmente, è proprio oggi che si dovrebbe ragionare su come convincere gli italiani che non desiderano vaccinarsi, a quali forme di incentivo pensare per portare anche i più giovani (che non hanno particolari ragioni per temere esiti letali dall’infezione) a sottoporsi a vaccinazione.
L’idea degli open day poteva essere una strada, che ricorreva a incentivi usati un po’ ovunque come l’accesso alle discoteche e alle spiagge, se non fosse fallita a causa di superficialità e latitanza di chi è chiamato a controllare. La questione è davvero di buona comunicazione.
Invece la comunicazione è stata pessima. Dopo la tragica morte di Camilla Canepa, diciottenne di Sestri Levante, che non è dato sapere di quali patologie soffrisse, ma che secondo il massimo ematologo non doveva vaccinarsi con AstraZeneca anche solo in ragione della sua età, la comunicazione ufficiale più ancora che i giornali è impazzita. Nell’occhio del ciclone c’è, di nuovo, il vaccino Oxford/AstraZeneca: la cui somministrazione era già stata sospesa a marzo.
Le informazioni disponibili (i “dati” di cui a tutti piace riempirsi la bocca) relative a mezzo miliardo di dosi somministrate nel mondo, a fronte di 2 miliardi e mezzo di vaccinazioni effettuate, dicono che si tratta di un vaccino efficace, di facile produzione ed economico, con un profilo di rischio insignificante per le persone oltre 60 anni, e che presenta un rischio molto basso per eventi tromboembolici in aumento con il diminuire dell’età. Ci sono le prove che il vaccino può causare una specifica sindrome, che può essere letale soprattutto nelle giovani donne, ma questo rischio equivale a quello di morire colpiti da un fulmine in un anno, ovvero è di 16 volte inferiore al rischio di morire per un incidente pedonale nel corso di un anno. Insomma: qualcosa di cui nessuno si preoccuperebbe se non si trattasse di un vaccino.
Il vaccino Oxford/AstraZeneca si basa su un vettore virale, quindi per certi versi è più “tradizionale” e, sul piano comunicativo, adatto a rassicurare quella popolazione di scettici dei vaccini che in questi mesi ha sviluppato scetticismo verso i vaccini a RNA messaggero. Conta poco che questo scetticismo sia irrazionale e alimentato da teorie della cospirazione, che al centro vedono l’immancabile industria farmaceutica, le quali davvero non reggerebbero come canovaccio neppure per il più scalcagnato dei B movie. Siccome abbiamo a che fare con gli italiani di oggi, coi loro dubbi e le loro paure, e non coi cittadini di una Repubblica ideale, è con quei dubbi e con quelle paure che bisogna venire alle prese.
Quello che l’ha fatto meglio di tutti è stato Checco Zalone, con la sua deliziosa canzoncina in coppia con Helen Mirren. L’unico serio tentativo di fronteggiare l’esitanza vaccinale utilizzando simboli, riferimenti, suggestioni in grado di arrivare alle persone.
Invece, le massime autorità sanitarie del Paese sembrano impegnate a fare i piromani anziché i pompieri. Alla triste scomparsa di Camilla Canepa è seguita una levata di scudi generale, culminata nella promessa di massima di una vaccinazione “eterologa”: cioè un vaccino nel girone di andata e uno nel girone di ritorno.
Intanto il termine “eterologa” non si capisce a chi sia venuto in mente – certo lo si è cominciato a usare nella lingua inglese, ma non tutto quello che inventano gli scienziati inglesi ha senso. Intanto ricorda la fecondazione assistita o la medicina dei trapianti, e da almeno un secolo i vaccini eterologhi sono quelli tipo il vaccino jenneriano, che usa una specie di patogeno per indurre immunità contro una specie diversa. Esiste invece un aggettivo ampiamente usato in vaccinologia che è “incrociata”: infatti i tedeschi, che la praticano dal primo aprile, la chiamano “Kombi-Impfung”, vaccinazione incrociata.
I modi in cui si è deciso di cambiare regime e le spiegazioni fornite per tale scelta hanno trasmesso un’immagine di esperti allo sbaraglio, che in alcuni casi sembravano venditori di pentole casa per casa. Prima il regime incrociato è stato introdotto in modo obbligatorio sotto i sessant’anni, poi per fortuna il primo ministro si è reso conto che esiste ancora l’articolo 32 della Costituzione, e quindi chi vuole fare il richiamo con lo stesso vaccino AstraZeneca può farlo anche se ha meno di sessant’anni.
Per quanto riguarda l’efficacia della vaccinazione incrociata bisogna chiarirsi. Non esistono prove del genere di quelle che di solito gli esperti esigono per approvare nuovi trattamenti. I pochi dati sono essenzialmente aneddotici. Sul piano teorico vaccinare con due diversi vaccini, che stimolano risposte immunitarie in larga parte sugli stessi bersagli antigienici, non è un problema e potrebbe (potrebbe) anche rivelarsi un vantaggio. Se presento a un tiratore che si deve allenare due bersagli con forme un po’ diverse, tipo un maschio e una femmina, ma in buona parte coincidenti, il tiratore saprà ugualmente colpire un bersaglio la cui forma sia una combinazione di quelle sulle quali si è allenato. Fatto sta che questi problemi vanno studiati scientificamente e molti esperti si sono lanciati a giustificare delle scelte politiche perdendo l’ennesima occasione per aiutare i cittadini a capire davvero.
I politici, sottoposti al vaglio del consenso popolare, governano cercando di prevedere le reazioni dell’elettorato. Questo è legittimo e, più ancora che legittimo, normale. Ma bisogna cercare di aguzzare un poco la vista. La previsione del rifiuto da parte di molti del vaccino di Oxford era sensata. Autorità sanitarie consapevoli e reputate avrebbero messo sul piatto tutta la loro reputazione, cercando di arginare i danni e rassicurare le persone.
È vero che dopo un anno di cacofonia virologica, con immunologi, epidemiologici ed esperti di sanità pubblica che hanno monopolizzato il teleschermo, è difficile. L’aver mostrato gli “esperti” come gladiatori impegnati a contendersi l’ultima parola, più che a dispensare informazione, non ha risolto i timori della popolazione. Ma Ministero della Salute e Aifa non sono equiparabili a qualche pur eccellente ricercatore che ha colto l’occasione mediatica della vita. La fiducia dei cittadini nei loro confronti non si misura in follower su Twitter e copie vendute ma con il successo della campagna vaccinale.
Invece, governo e Aifa hanno scelto di non rassicurare spiegando e hanno optato per offrire al popolo quel che immaginavano il popolo volesse: il conforto di una seconda dose diversa da AstraZeneca. Il rammendo è peggio del buco: retrospettivamente, mette in dubbio la stessa bontà del processo regolatorio che ha portato all’autorizzazione del vaccino AZ e le decisioni sin qui prese nella campagna vaccinale. Giustamente il premier ha parzialmente smentito il suo ministro della Sanità, introducendo il principio della “libertà di scelta della seconda dose”.
Non è però l’unico aspetto delle strategie del governo che sembra tendere a sabotare il lavoro del generale Figliuolo. Il governo ha deciso di sottoporre a quarantena (ancorché breve: quattro giorni) coloro che visitino il nostro Paese dall’Inghilterra, a prescindere dal fatto che siano vaccinati o meno. Ora, nel dibattito pubblico sulle vaccinazioni l’Inghilterra gioca un ruolo particolare: è il Paese che ha impostato una campagna vaccinale più spedita di altri e quello nel quale gli esiti sanitari rispetto alla cosiddetta “variante Delta” possono confermare quello che tutti speriamo, cioè che i vaccini proteggano anche da tale variante.
I problemi al momento riguardano le persone che hanno ricevuto solo una dose, che sono a rischio di infettarsi ma risultano comunque protette dalla malattia. Ha senso limitare loro l’accesso nel loro Paese? Nella migliore della ipotesi, consolida il timore che i vaccini non siano tutti uguali. Nella peggiore, restituisce alle persone l’idea che il vaccino porti con sé una libertà di movimento parziale e con ciò scoraggi proprio coloro che, al margine, andrebbero convinti. Non i NoVax duri e puri, ai quali non si può pensare di sradicare convincimenti profondi, giusti o sbagliati che siano. Ma tutti coloro il cui scetticismo è, per così dire, moderato e che decideranno sulla base delle informazioni disponibili in un certo momento. Su di loro bisogna puntare per raggiungere livelli maggiori di immunità. Facendo di tutto per confonderli, però, si rischia di convincerli che per fare il vaccino sia meglio attendere.