Ce ne fosse stato ancora bisogno, l’estate 2021 consegna tutti i suoi palmarès all’abbigliamento tecnico sportivo. A Zermatt o Capri, Salina o San Cassiano in barca o su un sentiero per sneakers, t shirt, leggings, felpe e calzoncini tecnici non c’è stata possibile competizione.
Ma le aspettative di chi acquista abbigliamento sportivo sono, se possibile, anche più alte di quelle che si richiedono a un classico capo moda. L’estetica anche qui il ha suo valore, ma l’attenzione alle prestazioni in questo caso sono più alte: i capi in questione devono essere elastici, traspiranti, impermeabili, lavabili in lavatrice, ad asciugatura rapida, robusti e aerodinamici.
Per soddisfare queste aspettative, vengono tradizionalmente utilizzati materiali sintetici come nylon e poliestere, ambedue straordinariamente inquinanti. Si tratta di fibre che rilasciano microplastiche nell’acqua, problema aggravato dalla frequenza con cui capi di questo genere vengono lavati. Nel caso del poliestere, la sua derivazione petrolifera lo rende responsabile dell’emissione di quasi 700 milioni di tonnellate di carbonio all’anno. Performance anche peggiore di quel che accade con il più inquinante tra i processi di lavorazione di un materiale naturale come la pelle.
In realtà l’activewear sostenibile si è dimostrato sino a questo momento una chimera. Posizionarlo come sostenibile quando utilizza fibre riciclate è una falsità: i tessuti sintetici rilasciano immancabilmente microplastiche: che si tratti di tessuti vergini o riciclati senza differenza.
Dunque sono la lana e materiali naturali di origine vegetale (tra cui mais, manioca e frumento) a rappresentare una possibile soluzione? Non si vede al momento altra via.
L’attenzione del pubblico, in particolare di Millennial e Genz in questa direzione è in crescita. Secondo un recente studio di McKinsey & Company, il 67% dei consumatori considera l’uso di materiali sostenibili un fattore importante per le proprie decisioni di acquisto; il 63% considera allo stesso modo la promozione della sostenibilità un fattore di scelta a favore di un marchio piuttosto che un altro. Inoltre, i consumatori intervistati si aspettano che i marchi si prendano cura dei propri dipendenti, così come dei lavoratori in Asia dove sono delocalizzate la stragrande maggioranza delle produzioni. Non è cosa irrilevante, perché evidenzia la necessità per chi produce di mantenere gli impegni etici, crisi o meno che l’industria del tessile abbigliamento sta attraversando causa Covid-19.
Una risposta dai marchi che producono activewear arriva dall’aver aumentato la disponibilità di prodotti sostenibili da 18.000 nel 2012 a 72.000 nel 2020: anche per i produttori dunque l’utilizzo di materiali meno inquinanti ha un forte potenziale di crescita.
È tuttavia con il progredire dell’innovazione, proprio le prestazioni in crescita nei sintetici rimangono un ostacolo specifico per l’adozione definitiva delle fibre naturali. Rispetto alle sintetiche ad esempio queste ultime assorbono più umidità e divengono inevitabilmente più pesanti durante l’uso: inoltre impiegano più tempo per asciugarsi, come chiunque abbia fatto trekking, biking o running sa bene.
Non solo: i materiali sintetici sono più elastici, il che significa che si adattano a una gamma più ampia di tipi di corpo e di conseguenza possono avere una durata più lunga nella vendita al dettaglio: il second hand, è un segmento di mercato ultimamente in crescita dovunque, soprattutto tra i più giovani, che a differenza dei baby boomers lo vivono senza alcun pregiudizio poverista.
Segnali di attenzione al problema sono ormai presenti ovunque. The North Face celeberrimo marchio active ha recentemente siglato un accordo con Spinnova azienda finlandese che ha sviluppato una tecnologia in grado di trasformare la fibra cellulosica in materiale utile alla produzione tessile. The North Face spera così di sostituire completamente l’impiego attuale di fibre sintetiche isolanti entro il prossimo 2023 e poi di lanciare prodotti interamente realizzati con le fibre naturali di Spinnova entro il 2026. Negli ultimi quattro anni, il marchio ha anche incentivato i consumatori a donare capi usati nei punti vendita al dettaglio in cambio di credito in negozio.