VaroshaLa città fantasma cipriota che sogna di diventare il primo ecovillaggio europeo

L’ex stazione balneare abbandonata dopo l’invasione turca a Cipro del 1974 è stata riassorbita dalla natura. Il Famagusta Ecocity Project punta a renderla un esempio ecologico condiviso con il resto del continente ma l’iniziativa si scontra con lo stallo dei negoziati per la riunificazione dell’isola

A.Savin (Wikimedia Commons - WikiPhotoSpace)

Originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa 

Gli scheletri degli hotel abbandonati che si ergono lungo la costa conferiscono un aspetto lugubre ad un paesaggio fatto di acque cristalline e lunghe spiagge sabbiose che si estendono da nord a sud. C’è un silenzio di tomba intorno alle case, ai negozi ed ai ristoranti chiusi, divenuti enormi pietre tombali urbane. I semafori spenti, che troneggiano in strade senza automobili, sono la prova che il tempo si è fermato al 1974.

Se c’è un luogo in Europa dove toccare con mano cosa significa abbandonare completamente una città dall’oggi al domani, Varosha ne è il migliore esempio.

Dopo il colpo di stato filogreco dell’estate del 1974, quando l’esercito turco occupò Famagosta, sulla costa est di Cipro, per poi invadere il nord dell’isola, fu ordinato alla popolazione greca di lasciare l’isola, abbandonando tutti i beni.

Gli abitanti della cittadina balneare di Varosha, costruita da poco lungo la spiaggia non fecero eccezione; come la maggior parte dei loro concittadini greco ciprioti, non si aspettavano che l’esilio sarebbe durato molto. Ma 47 anni dopo la cittadina costiera considerata “la perla di Cipro” o “la Saint-Tropez cipriota” è diventata una città fantasma, una ferita aperta nel paesaggio mediterraneo dell’isola di Afrodite.

Nel 1974, 160mila greco-ciprioti sono così fuggiti verso sud, mentre un numero inferiore di turco-ciprioti si sono spostati dal sud dell’isola verso nord. La Repubblica di Cipro, riconosciuta a livello internazionale, fa parte dell’Unione europea dal 2004, mentre la Repubblica turca di Cipro del Nord (RTCN) è riconosciuta solo da Ankara.

La divisione e l’occupazione militari turche persistono ancora oggi e i sei chilometri quadri di Varosha simboleggiano il ritorno degli esiliati nella loro terra d’origine.

Per 47 anni, in assenza di attività umana, la natura ha preso il sopravvento su Varosha: i cespugli invadono i marciapiedi crepati, gli oleandri sbocciano indisturbati, immense bouganville ricoprono le strade e l’edera ha invaso le facciate degli edifici. «Passeggiavo per Varosha, osservandone la natura selvaggia e cercando di rendermi conto della situazione», racconta Vasia Markides, 42 anni, documentarista nel Maine, Stati Uniti. «Questa città era diversa da qualunque altra avessi visto prima. I ricordi legati alla mia casa e alla mia famiglia erano rimasti dall’altra parte della recinzione: non potevo lasciarmi tutto alle spalle. Dovevo fare qualcosa».

Partendo da questa riflessione, con il sostegno della madre rifugiata, Vasia ha deciso di riunire nel corso degli anni ciprioti greci e turchi per ridare vita a Varosha e integrarla nella vicina città di Famagosta (in turco Gazimağusa). Nella pratica, l’iniziativa bi-comunitaria Famagusta Ecocity Project (FEP) punta a creare il primo ecovillaggio modello d’Europa: un centro pedonale, alimentato ad energia solare e rispettoso dell’ambiente.

Fa parte del FEP anche Ceren Boğaç, 42 anni, professoressa di architettura e nel tempo libero attivista per le comunità resilienti. «Il concetto di ecovillaggio vuole essere un’iniziativa di pace dal punto di vista ambientale. Unendo greci e turchi intorno ad un obiettivo comune, mirando a creare un contesto sicuro e sostenibile con risorse adeguate a tutti, le due comunità cipriote possono mettere da parte le differenze e operare per il bene comune. A Varosha c’è tutto quel che serve, terreni ricchi e solide infrastrutture», spiega passeggiando per viale Dimokratias.

Per Ceren, Varosha è anche una questione personale. Dopo la divisione del 1974, suo padre ha lasciato Larnaca, città portuale del Sud dell’isola, per installarsi a Famagosta. La casa dei suoi genitori, in cui è cresciuta, dava sulla barriera eretta intorno a Varosha dall’esercito turco nel 1974. «Quando ero piccola, mi chiedevo sempre cosa succedesse dall’altra parte della recinzione. Di anno in anno vedevo i piccoli vasi di fiori sui balconi trasformarsi in alberi giganteschi». Da giovane, Ceren era solita fare il bagno davanti ai grandi alberghi abbandonati dai loro proprietari greco-ciprioti. «Quando chiedevo a mio padre: “Papà, cos’è successo?” lui non mi rispondeva; capivo che c’era qualcosa di grave», ricorda.

Gli alberghi costruiti lungo la spiaggia tra gli anni ‘60 e ‘70 rappresentano un problema, secondo il FEP, in quanto sono d’ostacolo alla luce del sole ed hanno un alto dispendio energetico. L’Ong prevede di rimetterli a nuovo, in collaborazione con i discendenti dei proprietari, ma il percorso si annuncia complicato. «Ci mancano i finanziamenti necessari a proseguire i lavori; un altro problema sono i tentativi di riapertura e i progetti che riguardano Varosha, decisi a porte chiuse da uomini in giacca e cravatta, il che ci lascia poche speranze di poter attuare una strategia efficace», dice Ceren desolata.

La Turchia moltiplica le trivellazioni offshore nel Mediterraneo orientale, e i timori riguardo il futuro dell’area recintata di Famagosta si intensificano. Durante un controverso picnic a Varosha lo scorso novembre, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha annunciato, insieme al leader turco-cipriota Ersin Tatar, la riapertura parziale di Varosha, in contraddizione con le risoluzioni 550 e 789 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La notizia è stata una doccia fredda per chi sperava in una soluzione per entrambe le comunità e nella riunificazione dell’isola.

Varosha viene ormai descritta dalle autorità turco-cipriote come una località di dark tourism o turismo nero simile a quello di Pripiat, la città fantasma nei pressi di Černobyl’. Per attirare i turisti, il comune di Gazimağusa ha iniziato una serie di lavori di restauro: strade asfaltate e pulite, infrastrutture turistiche (panchine, chioschi, noleggio di biciclette).

La spiaggia che ha ospitato il picnic del 2020 è in attesa di visitatori. «Siamo spaventati, delusi e arrabbiati. Vedo persone ristrutturare gli edifici e mi chiedo come possano farlo senza il permesso dei proprietari originali», s’indigna Ceren. «Dobbiamo risolvere la questione cipriota. Vogliono aprire la strada al turismo russo e Varosha rischia di diventare una nuova Las Vegas. In questo momento però la cosa più importante è l’ecologia», esclama.

«Con la riapertura di Varosha, la Turchia utilizza la tattica del salame (espressione inventata dall’ungherese Mátyás Rákosi), che consiste nel guadagnare terreno a piccoli passi», spiega Fiona Mullen, membro del FEP, direttrice e consulente per Sapienza Economics.

La Repubblica di Cipro si è affrettata a denunciare le violazioni commesse dalla Turchia ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ai dirigenti e alle istituzioni dell’Unione europea. Durante il Consiglio europeo del 24 e 25 giugno scorso è stata sottolineata l’importanza di dare uno statuto a Varosha, e la Turchia è stata chiamata a rispettare la totalità delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

La RTCN ci è andata giù pesante: le autorità turche cipriote hanno intensificato gli appelli ai cittadini in esilio perché questi ultimi ricorrano alla Commissione turca dei beni immobili (IPC) per rivendicare i loro beni. Per gli abitanti greco-ciprioti legali, questo significherebbe tornare ad essere amministrati ed occupati dalla Turchia, al di fuori del quadro normativo dell’Onu, il che negherebbe loro ogni garanzia di una restituzione stabile e legale dei propri beni.

La Repubblica di Cipro sconsiglia ai propri rifugiati di rientrare, perché questo implicherebbe il riconoscimento della RTCN e ostacolerebbe i negoziati, che al momento sono a un punto morto. La riunione informale tra cinque parti più una, auspicata dall’Onu per la ripresa delle discussioni nell’aprile scorso, si è conclusa in un nulla di fatto. Il leader turco-cipriota Ersin Tatar si è dimostrato intransigente riguardo ad una soluzione federale che rispetti i parametri dell’Onu e i valori dell’Ue. Ormai, la parte turca punta a introdurre al tavolo dei negoziati una soluzione che comprenda i due stati, ovvero che riconosca la sovranità della RTCN.

«Tenendo conto del contesto attuale, e dato che non vi è nessuna prospettiva di ripresa dei negoziati, la comunità internazionale cercherà di ridurre le tensioni in altri modi. Lo sviluppo parallelo di Varosha come ecovillaggio sostenibile potrebbe essere una soluzione efficace», sostiene Fiona Mullen. «Varosha è un luogo di conflitto in cui è necessario l’impegno della società civile. Teoricamente, instaurare il FEP prima della risoluzione della questione cipriota potrebbe dare un esempio di coabitazione pacifica, di gestione e di sviluppo congiunti», aggiunge.

«La sola circostanza in cui il FEP potrebbe prendere vita è quella in cui lo sviluppo di Varosha aderisca al programma di misure di fiducia messo in atto dall’Onu all’interno di un più ampio processo di negoziazione sulla questione cipriota», constata Mullen. Il Consiglio europeo si è detto soddisfatto dell’allentarsi delle tensioni nel Mediterraneo orientale tra Grecia e Turchia. «In questo contesto, è possibile trovare un accordo riguardo Varosha, e le misure di fiducia potrebbero contribuire ad alleggerire il clima anche tra Cipro e la Turchia. Per smorzare i conflitti, si potrebbe pensare ad un accordo più ampio che includa sia il gas che Varosha», prosegue.

Secondo Chrysanthos Zanettos, vicesindaco di Famagosta e a sua volta rifugiato, il FEP permetterebbe agli abitanti greci e ciprioti della città di vivere ed operare insieme. Ma i rifugiati sono scoraggiati dall’inattività del governo e dall’aver visto sfumare le opportunità di tornare alle loro città di origine. «La situazione a Famagosta è più disperata che mai. Varosha è vittima del blocco delle trattative sulla questione cipriota, fin dal fallimento dei negoziati di Crans Montana nel 2017. Se la fazione greco-cipriota non torna al tavolo dei negoziati, rischiamo di perdere per sempre Famagosta, e con essa tutti i territori occupati», dichiara preoccupato.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan prevede di recarsi di nuovo a Varosha il 20 luglio (qui le dichiarazioni da parte turca e greco cipriota a seguito della visita di Erdoğan, ndr), anniversario dell’invasione del 1974.

Secondo le stime del comune di Famagosta, il tempo stringe ed è necessario mettere a punto una strategia nazionale prima della visita di Erdoğan. «Proponiamo la creazione di un Comitato tecnico bi-comunitario, che si occupi di gestire la restituzione dei nostri beni. Solo appellandosi al diritto internazionale Famagosta potrebbe diventare un primo, importante punto di partenza per la cooperazione e la coesistenza delle due comunità. Purtroppo, con le sue azioni la Turchia dimostra di non perseguire più questo scopo da anni», prosegue Zanettos.

Nonostante le notizie riguardanti Famagosta sono molto scoraggianti, i membri del FEP sperano ancora che la storia di questa città possa ispirare altre comunità nel mondo ad adottare uno stile di vita più sostenibile, che miri ad una coesistenza pacifica.

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