Per un pugno di centesimiLa Germania insegna che è possibile avere una tv pubblica senza troppa politica

Ciascuna delle diverse emittenti radiotelevisive pubbliche tedesche è dotato di un’assemblea formata da personalità scelte da diversi livelli e organi, dove gli esponenti di espressione politica non possono superare (così vuole la Corte costituzionale) un terzo del totale

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Per 86 centesimi quasi cadeva un governo. Certo, parliamo pur sempre del governo della Sassonia-Anhalt, quasi un Molise fra i Länder tedeschi (non ce ne vogliano i molisani!), ma quando le questioni sono di principio si sa che spesso anche i piccoli possono essere decisivi. E qui il principio era importante.

Come ha ben raccontato Edoardo Toniolatti, lo scorso dicembre la coalizione di governo nel Land Sassonia-Anhalt, composta da Cdu, Spd e Verdi, quasi rischiò di rompersi per il rifiuto del più grande dei tre gruppi parlamentari, quello democristiano, di appoggiare il rialzo di 86 centesimi del canone della radiotelevisione pubblica.

Alla fine la coalizione si salvò solamente perché il Primo ministro del Land Rainer Haseloff (anch’egli Cdu) decise di ritirare dal Parlamento il progetto di legge che avrebbe dovuto consentire il citato rialzo. E soprattutto perché tanto per il giugno successivo erano già previste le elezioni e quindi la coalizione era in ogni caso già giunta al suo capolinea. Ora, ad elezioni passate (e vinte dalla Cdu), il Tribunale costituzionale federale tedesco ha deciso che tutta questa vicenda non era affatto in ordine e che questo rialzo s’ha da fare. Ma raccontata così, della storia si capisce bene o male il titolo.

La prima premessa, fondamentale per capire tanto questa storia quanto la Germania d’oggi, risiede in un affascinante termine giuridico: Kulturhoheit der Länder. Con la «sovranità culturale dei Länder» si intende qualcosa di costitutivo per lo Stato tedesco contemporaneo, e cioè il fatto che i Länder che nel 1949 fondarono la Repubblica federale (e che a essa preesistevano) decisero di tenere per sé le competenze dell’intero ambito culturale in senso ampio – dalla scuola ai musei, dalle università ai rapporti con le confessioni religiose fino (e qui viene il bello per noi oggi!) alla radiotelevisione pubblica.

Queste competenze rimasero e rimangono anche letteralmente ai Länder, giacché esse non vengono neppure citate nella Costituzione federale e non sono dunque oggetto del “patto federale” che quattro anni e mezzo dopo la fine della Guerra fece rinascere uno Stato federale tedesco nell’Ovest del defunto Reich. Sicché il governo, oggi presieduto da Angela Merkel, o il Parlamento centrali (il famoso Bundestag) non hanno alcuna voce in capitolo per quanto riguarda l’organizzazione delle scuole, dell’università né in quella della radiotelevisione pubblica, la quale rimane soggetta alle decisioni prese dai Länder, singoli o in accordo fra loro. E qui l’attento lettore comincerà a capire perché mai il piccolo Sassonia-Anhalt assume un’importanza così rilevante.

Se poi aggiungiamo che nel settore radiotelevisivo pubblico i 16 Stati federati non agiscono in solitaria, ma mediante accordi presi fra i loro governi all’unanimità e soggetti alla ratifica di ciascuno dei Parlamenti statali, capiamo presto perché in questo ambito anche i più piccoli diventano così grandi.

La seconda premessa è anch’essa centrale per comprendere la Germania contemporanea. Essa risiede nella differenza fra “radiotelevisione pubblica” da una parte e “di Stato” dall’altra.

Qualche tempo fa è capito a chi scrive questo articolo di incappare in un’ennesima discussione on-line tutta italiana sul fatto che la Rai sia controllata dalla politica e che la soluzione per liberarla dalla morsa dei partiti sarebbe quella di privatizzarla.

Quando ho obiettato che il controllo partitico-parlamentare non è l’unica forma possibile di governance pubblica e quindi la privatizzazione non è l’unica alternativa, all’interlocutore è parso di parlare con un marziano. O, forse, con un tedesco. Già, perché i 16 Länder fra le Alpi ed il Mar del Nord optarono già agli albori della Repubblica federale per un sistema fatto di (diverse) emittenti “di diritto pubblico” che però non sono sotto il controllo di governi e partiti.

Successivamente il Tribunale costituzionale federale sancì questa soluzione come costituzionalmente dovuta, con ciò statuendone l’intoccabilità e l’entrata nel canone aureo della Germania contemporanea. A distinguere una radio-tv “pubblica” da una “di Stato” sono anzitutto due elementi: gli organi di governo e il finanziamento.

In termini di governo dell’ente, ciascuna delle diverse emittenti radiotelevisive pubbliche tedesche è dotato di un’assemblea formata da personalità scelte da diversi livelli ed organi, dove gli esponenti di espressione politica non possono superare (così vuole la Corte costituzionale!) un terzo del totale.

Il resto, dunque un’ampia maggioranza, viene designato da sindacati, chiese, confederazioni di associazioni, corpi intermedi, rettori universitari e così via, rigorosamente non in una volta sola ma con designazioni successive e rinnovi parziali.

Il principio e l’idea di fondo è che il sistema radiotelevisivo pubblico debba rispecchiare non solo la pluralità degli indirizzi politici, ma la società nel suo complesso.

Certo, la politica è ovunque e non marginalmente anche nel mondo della comunicazione, però in questo modo almeno un legame più smaccato ed evidente – da “tv di Stato” appunto – viene evitato in partenza. Anche perché è a questa assemblea sociale (e ciascuna delle emittenti pubbliche ne ha una, per evitare concentrazioni di potere) che spettano incisivi poteri di indirizzo e controllo, tra cui la scelta di una dirigenza che, poi, agisce in autonomia e a tale assemblea (sì pubblica, ma non direttamente partitica) risponde.

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