Dunque io stasera vado al ristorante. In interni, quelli in cui serve la certificazione verde: questa seconda estate pandemica è quella in cui ho scoperto che la mancanza di sensatezza dell’umanità è tale che i certificati si dolgono che i posti migliori siano per i non certificati, essendo essi certificati convinti che i posti migliori siano quelli all’aperto, senz’aria condizionata e con molte zanzare.
Questa gente che neanche sa scegliere un tavolo al ristorante, questa gente vota, ma non divaghiamo. Stasera ceno in un interno a pagamento.
Elenco non esaustivo di persone dalle quali potrei infettarmi – benché vaccinata, giacché siamo in una pandemia per la quale è stato trovato un vaccino, ma un vaccino che rende solo più blandi i sintomi se ti ammali: se chiedi se, già che c’erano, non potevano inventare un vaccino con cui non ci si ammalasse proprio, ti trattano come la scema del villaggio. Sto divagando di nuovo.
Dunque vado a cena fuori, dicevo; con la mia brava certificazione verde senza la quale non si può essere clienti di ristoranti ma si può esserne impiegati, e quindi al ristorante potrebbe infettarmi un cameriere o un cuoco – giacché mica si può imporre la vaccinazione e relativa certificazione ai lavoratori, a meno che non siano lavoratori della scuola.
Il cameriere o il cuoco però dovrebbero avere la mascherina, ma potrebbe sempre sputacchiarmi nel drink il cliente non certificato che sta cenando al bancone: la certificazione verde ha le sue ragioni che la logica non conosce, e se consumi al bancone non è ritenuta necessaria.
Poi potrebbero infettarmi i figli minori di dodici anni di qualche altro cliente del ristorante, giacché la certificazione è obbligatoria per quelli dell’età vaccinabile, ma i più piccoli sono liberi agenti di contagio.
E infine (ottimisticamente, infine) potrebbero contagiarmi i non vaccinati che non si vaccinano non per capriccio ma per esenzione medica. Poverini, già hanno il problema di non potersi vaccinare, mica vorrai anche toglier loro la gioia del ristorante? (Franco Locatelli, a capo del Comitato tecnico scientifico, ha detto sostanzialmente che questo è un falso problema: gli esentati dalla vaccinazione per reazioni allergiche sono pochissimi. Mica sarete così sfigati da andare proprio nel ristorante in cui ce n’è uno).
Ho mentito, l’infine non era un infine. Potrei contagiarmi sui mezzi di trasporto che prendo per andare al ristorante, mezzi la cui capienza ora non è più al cinquanta per cento (comunico ai volenterosi legislatori che non lo era più già da un bel po’: venticinque giorni fa sono andata a fare il richiamo del vaccino su un vagone del metrò lilla milanese in cui non c’era più distanziamento, si stava belli appiccicati e neppure funzionava l’aria condizionata). Mezzi sui quali possono stare tutti: i cuochi senza obbligo di certificazione, i ragazzini senza vaccino, gli esentati che poverini.
Sarà capitato anche a voi il racconto di qualche villeggiante quarantenato. Stavamo tutti bene, poi vai a sapere, l’aereo, il traghetto, il treno, siamo arrivati qui e i bambini avevano la febbre, siamo tutti positivi, ma noi almeno siamo vaccinati. Vaccinati ma pestilenziali, chiusi in case di vacanza in amene località i cui indigeni ci odiano, maledetti monatti.
Quelli che possono, i fortunati su terraferma, loro prendono la macchina nella notte e tornano in città: se quarantena dev’essere, che sia a casa mia, dove so cosa mi porta Glovo e la connessione per guardare Netflix non è traballante come al mare. Quelli che, per tornare, dovrebbero prendere un traghetto o un aereo su cui nessuna certificazione verde basterà a farli imbarcare una volta segnalato il tampone positivo, loro restano chiusi in case spoglie, case pensate per starci solo tra il ritorno dalla spiaggia e l’uscita a cena, stanno lì e bestemmiano tutti gli dèi, tutte le case farmaceutiche, tutte le certificazioni d’ogni colore.
Li hanno contagiati i bambini, maledetti impestatori non vaccinati? Gli esentati, che sono pochissimi ma tutti concentrati sui traghetti? I picchiatelli che non si vaccinano giacché convinti che il vaccino serva a ucciderti a medio termine, quindi tanto vale crepare a breve?
Ah, saperlo. Una quarantenata in una casa lontana dalla civiltà mi ha detto: sai, con questa Delta basta guardarsi per contagiarsi. Ci vorrebbe una lady Diana che toccasse un contagiato Delta, un’eroina dell’empatia che ci facesse passare i timori. Ma magari ci pensiamo in autunno, ora c’è il problema di tornare da questa vacanza in quarantena, uscire da questo ristorante senza che il cuoco ti abbia sputato la sua saliva infetta in bocca, arrivare alla prossima clausura di Stato senza essere gli unici scemi che hanno passato i pochi mesi di «liberi tutti» in quarantena.
Naturalmente, poiché quando Pavlov fischia corriamo a cantare gli inni della curva di stadio alla quale siamo tesserati, questo articolo verrà sintetizzato dai social in «Soncini è no vax» (o no green, no pass, no brain, no law e no order: tutti gli slogan sono slogan). Il povero Guido Crosetto l’altro giorno ha riassunto la situazione che lo porta a non avere una certificazione verde: si vaccina, si contagia lo stesso con la Delta, lo curano sperimentalmente con gli anticorpi monoclonali giacché diabetico e cardiopatico. L’internet corre a linciarlo. Come osa non essere grato delle cure, grato del vaccino, grato perfino di non avere il green pass e non poter correre a casa nostra a sputarci – infetto – in bocca.
Confesso di non aver capito perché Crosetto non possa andare al ristorante – gli anticorpi monoclonali non sono ancora approvati ufficialmente, ma ha fatto il vaccino, quando te lo fai la certificazione ti arriva quando ancora non hai fatto in tempo a sviluppare ancora neppure mezzo anticorpo, io ero certificata mezzo minuto dopo la puntura.
Non lo difenderà nessuno, Crosetto. Perché è di Fratelli d’Italia, e già prima della pandemia vigeva il detto «Infettare un fascista non è reato». È, lo dico consapevole che nessuno sa più niente e nessuno si fa venire mezzo dubbio di non aver colto una citazione, il riadattamento d’uno slogan del Novecento, quel secolo in cui al massimo falsificavi la giustificazione delle assenze scolastiche, e al ristorante ti preoccupavi della saliva del cameriere solo in caso di commensali maleducati: guarda che ti sputano nel piatto. Che nostalgia.