C’erano anche molti giovani fra le 9mila persone entrate in massa lo scorso maggio a Ceuta, enclave spagnola in Marocco. Mentre i maggiorenni sono stati immediatamente riportati in territorio marocchino, più di 700 minori di 18 anni sono rimasti nei centri di accoglienza locali: fino al mese di agosto, quando l’amministrazione della città autonoma ha cominciato a trasferirli al di là della frontiera, con modalità definite contrarie al diritto internazionale da parte dell’Onu.
A partire da venerdì 13 agosto, si è cominciato a trasferire 15 minori al giorno in Marocco, in autobus, tramite la frontiera di Tarajal. I viaggi erano gestiti dall’amministrazione della città di Ceuta, dotata di uno status autonomico speciale, ma comunque in accordo con il ministero dell’Interno spagnolo. A sua volta, il ministero aveva ricevuto il via libera dal governo marocchino, richiamandosi a un accordo bilaterale firmato nel 2007 proprio per gestire i casi di minori non accompagnati entrati irregolarmente in territorio spagnolo: una circostanza inedita perché finora il Paese nordafricano si era sempre rifiutato di applicare l’accordo in riferimento alle enclavi di Ceuta e Melilla.
Trenta organizzazioni umanitarie hanno però denunciato la pratica, chiedendone l’immediata sospensione. Anche l’Inviato speciale per le Migrazioni dell’Onu Felipe González ha criticato i rimpatri, che a suo dire «violano il diritto internazionale».
Dopo qualche giorno, il 16 agosto, un tribunale di Ceuta ha bloccato in via cautelare i trasferimenti, in tempo per fermare il trasporto di 9 dei 12 minori selezionati per quella data. Il governo cittadino di Ceuta non ha potuto far altro che sospendere le operazioni, specificando di aver agito in linea con le indicazioni ricevute da Madrid. La decisione del tribunale è stata poi confermata martedì 24 agosto, con la bocciatura di un ricorso presentato dall’Avvocatura di Stato che adduceva la situazione emergenziale degli ultimi mesi a Ceuta come giustificazione per le modalità di espulsione dal territorio nazionale.
Lo stop ai trasferimenti poggia sulle norme nazionali e internazionali che regolano il rimpatrio dei minori. Un minorenne può infatti essere riportato nel Paese di origine solo a precise condizioni, come spiega a Linkiesta la sezione spagnola di Save the Children. «Le autorità devono fare una valutazione individuale dell’interesse superiore di ciascun minore per determinare quale sia la soluzione duratura che meglio soddisfi le sue esigenze e il suo benessere: l’integrazione nel Paese ospitante, il reinsediamento in un Paese terzo o il ritorno in quello di origine».
Il rimpatrio deve quindi avvenire nell’interesse del minore, deve garantirne il reinserimento in sicurezza ed essere volontario: motivo per cui è obbligatoria un’audizione dell’interessato davanti agli organi competenti. Come dichiarato dal Fiscal de menores di Ceuta, una figura assimibilabile nell’ordinamento italiano al Garante per l’infanzia e l’adolescenza, queste audizioni non sono mai avvenute. I ragazzi sono invece stati trasferiti a prescindere dalla loro volontà – tanto che alcuni sarebbero fuggiti dai centri una volta compresa la propria sorte – e in violazione sia della legge spagnola (cosiddetta Ley de Extranjería) che della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia.
Un problema per il governo di Sánchez
Dopo l’intervento dei giudici, il governo di Madrid ha provato a rimettersi subito in carreggiata. Il presidente Pedro Sánchez ha incontrato alla Moncloa il presidente-sindaco di Ceuta Juan Jesús Vivas, concordando per il futuro un sistema di trasferimenti dei circa 750 minori rimasti che sia aderente ai dettami legali. «L’atto giudiziario non ha vietato i rimpatri in toto, ma ha detto che devono seguire una procedura determinata», ha spiegato Vivas, assicurando che non si ripeteranno le operazioni che hanno già portato, irregolarmente, 45 minori al di là della frontiera.
A livello politico, quanto accaduto pesa soprattutto sulle spalle del ministro dell’interno, Fernando Grande-Marlaska. In primis, perché nei primi giorni del caso il ministero e l’amministrazione di Ceuta hanno cercato di rimpallarsi le responsabilità. Ma soprattutto perché l’immigrazione è un tema molto caldo nel dibattito pubblico spagnolo e altri esponenti politici – sia alleati che avversari – non hanno perso occasione per farsi sentire.
All’interno della coalizione di governo è nata una spaccatura, con i ministri di Unidas Podemos, l’ala sinistra della compagine governativa, fortemente contrari alla gestione dei rimpatri. La titolare degli Affari Sociali e nuova leader di Podemos, Ione Belarra, ha denunciato la mancanza di collaborazione del suo omologo all’Interno nello stilare un protocollo per i ricongiungimenti familiari dei minori non accompagnati, evidenziando come ogni ritorno «volontario» deve esserlo davvero, includendo un’intervista che accerti il parere del soggetto coinvolto.
Dall’opposizione sono invece arrivate critiche soprattutto alla trasparenza e alla coerenza dell’esecutivo. Il Partido Popular ha sottolineato la contraddizione fra l’espulsione dei minori non accompagnati da Ceuta e la decisione di accogliere, nell’agosto 2018, la nave Ong Aquarius carica di persone migranti. Isabel Díaz Ayuso, presidente della Comunidad di Madrid e figura in ascesa del partito, ha chiesto chiarezza, pur mostrandosi di fatto allineata alla necessità di riportare nei rispettivi Paesi gli stranieri di ogni età entrati irregolarmente. «Non possiamo permettere che ci siano minori non accompagnati in giro per la Spagna».
Già nel rimpasto di governo dello scorso luglio uno dei ministri di Sánchez aveva pagato in prima persona la crisi di Ceuta: Arancha González Laya, titolare degli Esteri, era stata sostituita con José Manuel Albares per aver accolto nel Paese Brahim Ghali, il leader del Fronte Polisario malato di Covid19: il Marocco, che rivendica il possesso del Sahara Occidentale proprio contro il Fronte Polisario, aveva aperto per rappresaglia la frontiera con l’enclave spagnola. Ora al centro delle polemiche c’è Grande-Marlaska, già criticato in passato su temi migratori per la gestione degli approdi alle isole Canarie. Un altro passo falso potrebbe costargli caro.