A un mese di distanza dalla crisi di Ceuta, che ha visto oltre 9mila persone entrare in pochi giorni nell’enclave spagnola ed è costata la vita a tre di loro, dall’Unione Europea arrivano le prime risposte concrete. Il Parlamento di Strasburgo ha condannato ufficialmente il comportamento del Marocco, ribadendo il pieno sostegno alla Spagna. La Commissione impegnerà 10 milioni di euro per finanziare la città autonoma, ancora alle prese con l’assistenza di migliaia di persone sul proprio territorio. Se la solidarietà degli organi comunitari è benvenuta, non altrettanto si può dire degli agenti di Frontex: la crisi di Ceuta è solo l’ultimo episodio delle frizioni fra il governo di Madrid e l’agenzia europea deputata al controllo delle frontiere.
La risoluzione approvata dall’Eurocamera con 397 voti a favore, 85 contro e 196 astenuti, certifica quanto espresso dai principali esponenti politici europei già durante i giorni della crisi: Ceuta è una frontiera esterna non solo spagnola, ma dell’UE e il Marocco ha utilizzato i migranti come mezzo di pressione politica.
La polizia marocchina allentò deliberatamente i controlli abituali, aprendo i cancelli del valico di frontiera con Ceuta e lasciando che migliaia di persone raggiungessero la città anche a nuoto. Al Paese africano viene rimproverata la violazione dei diritti dell’infanzia, perché tra le 9mila persone che tentarono di entrare illegalmente in territorio spagnolo c’erano anche 1.200 minori, in qualche modo incoraggiati ad attraversare il confine. «Alla maggior parte dei bambini è stato fatto credere che nella città di Ceuta fosse in corso una partita di calcio a ingresso gratuito tra giocatori di fama internazionale e che si trovassero in gita scolastica», si legge in un punto della risoluzione.
Netta la presa di posizione sulla causa scatenante della migrazione di massa. Il Marocco, infatti, aprì il confine perché in un ospedale spagnolo era stato ricoverato Brahim Ghali, il leader del Fronte Polisario, cioè l’entità politica che contende a Rabat il controllo sul Sahara occidentale. L’Unione europea, sottolinea la risoluzione, mantiene ferma la sua convinzione che la questione saharawi debba essere risolta con un processo politico guidato dall’Onu e non tramite un’annessione militare da parte del Marocco.
I membri dell’Eurocamera hanno pure voluto sottolineare la piena solidarietà agli abitanti di Ceuta, plaudendo alla risposta delle forze armate spagnole e delle Ong nei momenti più critici, che insieme ai cittadini «hanno contribuito a far fronte alla crisi salvando numerose vite umane».
Mentre l’intervento del Parlamento ha più che altro un valore simbolico, quello della Commissione porta con sé effetti
tangibili. Tramite il Fondo Asilo e Migrazione vengono mobilitati 10 milioni di euro per la crisi di Ceuta, come ha annunciato il ministro spagnolo dell’inclusione José Luis Escrivá. Nove finiranno nelle casse della città, per l’affitto di navi quarantena, la gestione dei centri di accoglienza, l’assistenza psicologica ai minori. Il milione restante andrà diviso tra il dipartimento spagnolo per l’immigrazione e il ministero della Difesa, anch’esso coinvolto nella gestione degli ingressi, con lo schieramento dell’esercito sulla spiaggia.
I fatti di Ceuta hanno messo in evidenza anche un rapporto particolare delle autorità spagnole con Frontex, l’agenzia europea incaricata di controllare le frontiere esterne dell’Unione. Allo scoppio della crisi migratoria, il direttore dell’agenzia Fabrice Leggeri propose la collaborazione dei suoi agenti tramite una lettera ufficiale inviata al governo spagnolo. Ogni intervento di Frontex dev’essere infatti approvato dallo Stato Membro del territorio interessato, che mantiene anche il comando gerarchico dell’operazione.
L’offerta è stata rifiutata, con una comunicazione da parte del ministro dell’Interno a cui ha avuto accesso il quotidiano El País. Fonti ministeriali hanno spiegato che l’intervento sarebbe arrivato quando ormai la crisi era in via di risoluzione, ma non è la prima volta che da Madrid snobbano la cooperazione dell’agenzia.
«Dubito che la presenza di Frontex in Spagna sia necessaria. Abbiamo un corpo di Polizia nazionale e uno di Guardia Civil molto ben addestrati e in più un ente pubblico di ricerca e salvataggio in mare. Non so quale esperienza possa apportare un agente di Frontex, con una formazione ridicola rispetto alle nostre forze di sicurezza», dice a Linkiesta Sira Rego, europarlamentare di Izquierda Unida e membro del Frontex Scrutiny Working Group, la sottocommissione dell’Eurocamera che indaga sull’operato dell’agenzia.
Secondo i dati forniti da Frontex, al momento sono impegnati in Spagna 180 agenti di diverse nazionalità, in tre diverse operazioni: Hera, dislocata alle isole Canarie, Indalo e Minerva nella Spagna peninsulare. Sono meno di un terzo di quelli impiegati nel Mar Egeo, tra Grecia e Turchia, con l’operazione Poseidon. Il loro compito è supportare le autorità nazionali nel controllo delle frontiere e nella registrazione di migranti irregolari e raccogliere informazioni sul traffico di esseri umani. «Fatico a comprendere perché agenti inesperti della nostra realtà specifica possano girare armati alle nostre frontiere», insiste la parlamentare.
La resistenza dei militari spagnoli a collaborare con quelli stranieri ha rischiato pochi mesi fa di sfociare in una rottura definitiva. L’accordo per rinnovare il mandato delle operazioni di Frontex nel Paese è arrivato solo il 29 gennaio, a due giorni dalla scadenza. Secondo quanto ricostruito dalla stampa spagnola, Frontex chiedeva una maggiore condivisione sulle informazioni di intelligence, un margine d’azione più ampio nelle indagini e la possibilità di dispiegare sul territorio un contingente più nutrito. Il governo di Madrid, al contrario, è poco incline a cedere porzioni della sua sovranità e i dubbi sulla preparazione degli agenti di Frontex sembrano essere condivisi anche da diversi ufficiali spagnoli.
Tra i nodi più difficili da sciogliere c’erano e continuano a esserci le relazioni con i Paesi terzi da cui transitano le rotte migratorie per la Spagna: non solo Marocco, ma anche Mauritania, Gambia e Senegal. L’Africa occidentale è un quadrante sempre più rilevante per l’UE, visto anche l’aumento degli approdi alle isole Canarie registrato nei primi mesi dell’anno: 5.386 da gennaio a maggio, più del doppio rispetto al 2020. Frontex, che dal 2021 ha un budget raddoppiato, vuole essere in prima fila agli sbarchi.