No PazPer uscire dai guai c’è bisogno che ciascuno si occupi delle sue teste calde, a destra e a sinistra

Non è solo questione di green pass e aule scolastiche: l’emergenza Covid prima o poi passerà di sicuro. La degenerazione populista e demagogica del nostro dibattito pubblico, invece, non è detto affatto

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Il termine è riduttivo e impreciso, ma sono sicuro che il lettore mi perdonerà se prudentemente mi limiterò a parlare di «teste calde», per dire in sostanza che non usciremo dai guai finché nei partiti, a destra come a sinistra, le persone responsabili non torneranno a imporsi e a mettere un freno alle «teste calde» nei rispettivi campi. È un problema che riguarda l’incredibile discussione sul green pass, sulla riapertura delle scuole e sulle mense aziendali, ma va anche molto al di là. Perché l’emergenza Covid prima o poi passerà di sicuro. La degenerazione populista e demagogica del nostro dibattito pubblico, invece, non è detto affatto. 

La coincidenza tra l’affermarsi di una delle peggiori classi dirigenti della storia repubblicana, ben rappresentata dal parlamento eletto con le elezioni del 2018, e l’improvvisa necessità di affrontare una delle sfide più difficili cui una nazione possa essere chiamata, qual è certamente una pandemia, avrebbe potuto facilmente rivelarsi fatale. A pensarci bene, è quasi incredibile che non sia andata proprio così.

La svolta che ha consentito il salto dal governo Conte al governo Draghi – merito che la storia renderà a Matteo Renzi, nonostante l’impegno di molti, a cominciare da lui, nel farcelo dimenticare – ha senza dubbio consentito di rimettere sui binari le due principali questioni da cui dipendeva e dipende la nostra sopravvivenza come comunità nazionale: la campagna di vaccinazione e il Piano nazionale di ripresa e resilienza. E tuttavia, come dimostrano le incredibili polemiche sul green pass, sul rientro a scuola e su tutto il resto – con l’eterno gioco dell’oca sui trasporti, il tracciamento, le aule troppo piene e i corridoi troppo stretti, come se fossimo sempre nel giugno 2020 – l’uscita dalla crisi non è per niente scontata. 

Sapevamo tutti sin dall’inizio del pericolo rappresentato dalla possibile comparsa di nuove e più aggressive varianti, senza bisogno di aspettare l’arrivo della famigerata variante Delta. Sappiamo tutti che la lotta contro la pandemia è una corsa contro il tempo, in cui esitazioni e ritardi fanno la differenza, una differenza misurabile in migliaia di morti. Se bene o male fin qui ce la stiamo cavando, nonostante alcuni gravi errori, in particolare nel gran pasticcio combinato dal governo su Astrazeneca, cedendo all’emotività e forse anche alla vergognosa campagna contro gli open day alimentata dagli irresponsabili nostalgici del precedente esecutivo (sempre sia lodato il generale Figliuolo, per la capacità e soprattutto per la pazienza), il merito non è solo di Mario Draghi. 

Nel centrodestra, buona parte del merito va a quei presidenti di Regione, come Giovanni Toti, e a quei dirigenti di partito, come gran parte degli esponenti di Forza Italia, che su vaccini e misure di sicurezza hanno avuto la forza e il coraggio di contrastare le campagne irresponsabili di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, impegnati in una spaventosa gara di cinismo, irrazionalità e autolesionismo (nonostante tutto, resto convinto che alla lunga entrambi pagheranno un prezzo per la loro costante sfida al buon senso e all’istinto di conservazione).

Per lo stesso motivo, però, colpisce il silenzio della sinistra quando a utilizzare gli stessi pseudo-argomenti di Meloni e Salvini contro vaccini e green pass sono sindacati, professori o illustri intellettuali progressisti (aggettivo a dire il vero sempre scivoloso, e forse qui, a pensarci meglio, più fuori posto che mai).

A Torino, in un comunicato del 23 agosto, le Rappresentanze sindacali unitarie (Cgil, Cisl e Uil) dicono «no alla discriminazione» sui luoghi di lavoro perché «siamo stati massacrati da una informazione incompleta e contraddittoria e da pensieri contrastanti di medici e scienziati, ma abbiamo una certezza ossia non si può avere la sicurezza impedendo l’accesso in mensa a chi non  intende inocularsi  un  vaccino  sperimentale per  motivi  di  salute  o  semplicemente  per  dubbi  assolutamente  leciti  visti  i  tanti  effetti collaterali».

Intendiamoci, per quanto riguarda i singoli – i singoli lavoratori come qualunque altro singolo cittadino – ogni dubbio è ovviamente lecito, e ci mancherebbe altro. Ma per quanto riguarda le organizzazioni di rappresentanza, no: se ci sono dei dubbi, ad esempio sugli effetti collaterali genericamente e irresponsabilmente evocati nel comunicato, il dovere del sindacato non è quello di alimentarli e legittimarli facendosene portavoce, ma di diradarli, sulla base delle informazioni ampiamente disponibili.

Il problema è che da settimane i vertici del sindacato, a cominciare dal segretario della Cgil, Maurizio Landini, utilizzano questo genere di pseudo-argomenti, e dunque non può stupire che tali pericolose fesserie si diffondano alla base. Specialmente se a sinistra nessuno ha il coraggio di denunciare una simile deriva e prenderla di petto, perlomeno con la stessa enfasi con cui i dirigenti del Pd sono soliti prendersela con Salvini e Meloni quando dicono le stesse cose.

La tentazione di giocare cinicamente con i dubbi e le paure di tante persone (perlopiù incolpevoli) è insomma una tendenza trasversale agli schieramenti, che richiede dunque una risposta comune, forte e unitaria. È l’ora di un grande movimento No Paz.

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