L’ora delle decisioni irresponsabiliSindacati e intellettuali anti green pass dimostrano che il populismo, purtroppo, non sparirà con i cinquestelle

Nell’America flagellata dalla variante Delta i sindacati degli insegnanti si schierano a favore della certificazione. In Italia ripetono gli slogan di Landini contro la logica «punitiva e sanzionatoria». Quanto possiamo andare avanti così?

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Dopo le critiche suscitate da una sua precedente intervista, Maurizio Landini ieri è tornato a ribadire la posizione della Cgil sul green pass in una lettera a Repubblica. Posizione, contrariamente alle sue abitudini, assai ricca di se e di ma.

«La Cgil, diversamente da altri, non ha mai posto questioni di principio sullo strumento del green pass, pur in presenza di raccomandazioni europee a non adottare norme discriminatorie», esordisce, con tipico approccio passivo-aggressivo, simile al marito che giuri alla moglie di non avere mai avuto nulla in contrario a passare il Natale con quei grandissimi rompicoglioni dei suoi genitori.

«Se il governo ritiene che il vaccino debba essere obbligatorio per tutti, proponga subito al Parlamento una legge. (…) Perché il governo non la fa? (…) È sbagliato pensare di raggiungere lo stesso obiettivo in modo surrettizio…».

Qui ricomincia la solita tirata da azzeccagarbugli sui ristoranti aziendali che non sarebbero ristoranti, e quindi sarebbero sicurissimi per definizione, a prova di varianti. La stessa linea ribadita sul Corriere della sera dalla segretaria della Fiom, Francesca Re David, che ha almeno il pregio della chiarezza: «Noi, intanto, dove le aziende vogliono imporre il green pass, scioperiamo, come faremo alla Hanon di Torino». Purtroppo anche quest’unico pregio non dura a lungo.

Infatti, dopo la consueta sfilza di non sequitur sul fatto che «ci sono i divisori di plexiglas, si fa la sanificazione, si mantengono le distanze e si osservano le altre misure previste dai protocolli voluti dal sindacato», e persino che «i lavoratori hanno solo mezz’ora di pausa mensa» (ce l’avrà mica davvero con i cinque secondi necessari a mostrare il green pass?), alla semplice domanda: «Ma perché siete contrari al green pass obbligatorio?», Re David risponde testualmente: «È incredibile che stia passando questo messaggio».

Il resto dell’intervista è un continuo tirare il sasso e nascondere la mano, ma c’è almeno un altro passaggio che merita di essere riportato. Quello in cui la segretaria della Fiom dice che il governo «tenta di scaricare su di noi decisioni punitive solo per una parte»; che «se la comunità scientifica dicesse che ci vuole l’obbligo del green pass o della vaccinazione, allora non si capisce perché dovrebbe valere solo per chi va in fabbrica, ma non sui mezzi di trasporto o nei supermercati o in Parlamento»; e infine – pronti per il gran finale? – ecco qua: «Mi chiedo solo se i parlamentari per mangiare alla buvette debbano esibire il green pass o per loro non vale».

Come si vede, il Movimento 5 stelle potrà anche liquefarsi del tutto, ma il radicamento di una cultura populista nella società italiana, anche a sinistra, è problema che viene da più lontano e certo non scomparirà con le avvincenti modifiche statutarie e gli indimenticabili gruppi di studio varati da Giuseppe Conte.

La fiera dell’irresponsabilità e del delirio narcisistico che partiti, giornali e tv hanno allestito attorno al green pass dimostra che la situazione è molto più grave di quanto potessero pensare anche i più pessimisti. Il tremendo impasto di lingua di legno e faccia di bronzo con cui giornalisti, sindacalisti, filosofi e intellettuali di sinistra continuano a giocare con le parole, e con la vita di migliaia di persone, è semplicemente sconvolgente.

Non è più tempo di pedagogismi da due soldi. Come mostra il surreale dibattito da settimane ospitato dalla Stampa, a ripetere fatti dimostrabilmente falsi, fake news tipiche della propaganda no vax e semplici fesserie non sono poveri analfabeti vittime del disagio e dell’esclusione sociale (e qui ci vorrebbe un’Emanuela Fanelli a chiosare: «…in periferia romana»); sono, al contrario, illustri filosofi e intellettuali coltissimi, affermati, ricchi e progressisti. Cioè esattamente quelli che la destra populista – a cominciare dal Movimento 5 stelle – ha sempre definito con disprezzo «radical chic».

Nell’America flagellata dalla variante Delta – e dallo scetticismo vaccinale – il principale sindacato degli insegnanti, informa il New York Times, ha offerto il suo appoggio «a provvedimenti che richiedano a tutti gli insegnanti di vaccinarsi contro il Covid o di sottoporsi regolarmente ai test». In Italia, riprendendo gli slogan di Landini sulla «logica punitiva e sanzionatoria» del green pass, i sindacati della scuola hanno scritto in una nota: «In una categoria vaccinata al 90 per cento, il provvedimento assunto (che prevede anche sanzioni) sta alimentando forti tensioni, come spesso accade quando si assumono decisioni frettolose e radicali». Dunque basta «diktat», perché «la scuola non si riapre per decreto» e serve il «confronto».

Quanto possiamo andare avanti così? Sarebbe ora che politici, giornalisti, sindacalisti e intellettuali di sinistra con la testa sulle spalle cominciassero a fare il loro lavoro, la smettessero di soffiare sul fuoco e per una volta dessero una mano a chi cerca di spegnerlo.

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