Aprire le porte a tutti gli afghani che scappano dal loro Paese finito in mano ai tagliagole. È la posizione di Mario Draghi. Non è difficile immaginare che stavolta la partita con un Matteo Salvini che già rispolvera i soliti slogan – «non possiamo accogliere tutti: qualche decina sì, ma non migliaia» – dovrà essere a muso duro. A costo di una battaglia politica culturale – riflette un ministro con Linkiesta – dalla linea di Draghi non si defletterà.
Il presidente del Consiglio, che ha sentito il bisogno di apparire in tv come i suoi omologhi europei, non si è lasciato intrappolare nelle polemiche di vecchi e nuovi pacifisti di professione. Guarda avanti: «Il futuro per l’Italia è la difesa dei diritti fondamentali, dei diritti delle donne. E stati come la Cina, la Russia, l’Arabia Saudita, tutti membri del G20, dovranno fare parte di questa missione. In questo anno di presidenza del G20 noi saremo impegnati in questo».
L’ipotesi che una nuova emergenza umanitaria, la cui dimensione è peraltro ancora tutta da verificare, possa riaprire un conflitto duro nel mondo politico italiano, e spaccare la maggioranza, non è affatto teorica. E non si tratta solo di un problema italiano. In una corrispondenza da Berlino già tra giorni fa Tonia Mastrobuoni su Repubblica paventava il rischio che la crisi afghana possa impattare sulle elezioni tedesche di fine settembre a tutto beneficio dell’estrema destra di Alternative für Deutschland, rianimando un partito in declino, ed è probabile che anche Emmanuel Macron dovrà fare i conti con i rigurgiti xenofobi di una Marine Le Pen ultimamente in debito di ossigeno che potrebbe trarre da una campagna anti-profughi un insperato aiuto in vista delle presidenziali della prossima primavera. Figuriamoci poi quello che potranno dire e fare ungheresi e polacchi. Insomma, l’inopinata fuga americana da Kabul, tra i tantissimi problemi che provoca, riapre anche il dolente punto dell’accoglienza, vero crinale fra destra e sinistra in questa fase storica.
Ovviamente oggi nessuno sa dire se si andrà incontro a un esodo di proporzioni bibliche o a un fenomeno in qualche modo gestibile. Con il passare delle ore prende corpo la seconda ipotesi, dati i primissimi gesti apparentemente “moderati” dei Barbuti che hanno preso il Paese in cinque minuti. Ma è troppo presto per capire cosa succederà.
In questa incertezza i leader europei si stanno muovendo, magari non con grande velocità, per assicurare tutto il necessario per accogliere donne e uomini in fuga dall’Afghanistan talebano. Assieme alla lotta alla pandemia (che purtroppo da noi fa segnare una ripresa dei contagi e del numero dei morti), l’emergenza umanitaria che si profila è dunque un nuovo, arduo, banco di prova per i governi europei e in Italia Mario Draghi, che ieri ha condiviso la sua posizione con Angela Merkel, sta costruendo una posizione molto ferma, convinto che su questo terreno Salvini non potrà forzare più di tanto rischiando persino una inedita impopolarità se si ostinasse a ostacolare tutte le possibili forme di solidarietà concreta verso i profughi ma soprattutto non comprometterà quella stabilità di governo cui non intende rinunciare.
Protesterà, comizierà, ma più di tanto il capo leghista non può fare. Spezzare la rete della governabilità non lo porterebbe da nessuna parte, ed è su questo che il presidente del Consiglio conta. Sarà invece interessante vedere come si muoverà Giorgia Meloni che potrebbe essere tentata di fare la Le Pen italiana, mentre per il momento nemmeno il Movimento 5 stelle scopre troppo le carte, con Giuseppe Conte missing e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che finora si è fatto notare solo per il brainstorming a torso nudo su una spiaggia pugliese con due esperti di strategia mondiale come Michele Emiliano e Francesco Boccia. Il Movimento, tradizionalmente contrario all’intervento in Afghanistan, è maggiormente orientato sulle posizioni antiamericane di Alessandro Di Battista che su quelle più realistiche di Conte e Di Maio e infatti ha salutato con favore il ritiro americano con toni non molo dissimili da quelli dell’agenzia di stampa cinese ma ormai è scontato che non verranno minacce alla stabilità né altro.
Bisogna attendere gli sviluppi, dunque. Il governo italiano non è certo entusiasta della scelta del presidente americano, soprattutto per il modo confuso e precipitoso con cui si è sviluppata. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini lo aveva detto per tempo ma la Casa Bianca aveva già deciso l’abbandono del campo. Una decisione che ora rischia di mettere l’Europa nei guai. E forse di ridare fiato alla destra xenofoba e razzista. Questo Joe Biden forse non lo aveva considerato.