Eterno PapeeteIl numero di Salvini contro l’immigrazione non incanta più ed è ormai un problema politico (per lui)

Il leader della Lega sembra aver perso argomenti: il canovaccio securitario e xenofobo su cui ha costruito una carriera fatica a funzionare nell’Italia di Fausto Desalu e Marcell Jacobs. La verità è che non ha più una linea, ed è per questo che non chiede elezioni: troppo rischiose

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Il vecchio numero di Matteo Salvini contro l’immigrazione non incanta più come un tempo. È un “pezzo” tirato fuori dal baule dell’attore consumato ma a differenza di quelli che estraeva Gigi Proietti nel leggendario “A me gli occhi please” questo del capo leghista è superato. Come sulle pistole, sulla giustizia fai da te: già ci siamo scordati dall’assessore con la pistola, leghista, di Voghera? Sono problemi, per Salvini, che sull’armamentario securitario e xenofobo ha costruito una carriera, ed è stata oggettivamente una linea che ha funzionato pure. D’altronde non starebbe lì dove sta se non avesse strofinato questo insistito solletico delle viscere italiane.

Ma oggi, qual è la linea di Salvini? Oggi, nel tempo in cui Eseosa Fausto Desalu prende con la leggerezza di un pianista il testimone da Marcell Jacobs e lo consegna dopo una gran curva a Filippo Tortu, che va a vincere l’inavvicinabile medaglia (d’oro!) nella 4×100 alle Olimpiadi, in questo tempo nel quale i bambini italiani, e i loro genitori, e i loro nonni, si sono tutti esaltati per «l’Italia multietnica è integrata» di Tokyo, ma che senso ha additare ancora gli immigrati che ci rubano il lavoro e simili, triti, luoghi comuni?

Ma può essere un messaggio credibile il «dagli ai neri» che è sotteso alle “politiche” antimmigrati della Lega? In questa torrida estate la Lega fa notizia per il sottosegretario Durigon che vuole intitolare il parco Falcone e Borsellino di Latina al fratello del Duce, e che per questa idiozia verrà probabilmente fatto fuori dal governo, mentre Salvini gira a vuoto per le spiagge romagnole.

Arrivano anche quest’estate barconi di immigrati e lo Stato italiano, senza più i decreti Salvini tra i piedi, cerca di accogliere, di fare il suo dovere: e non è mai inutile ricordare quanto si sia ancora lontani, come Europa e come Paese, da una coerente politica generale sull’immigrazione e quante vite umane ancora si annichiliscano nei nostri mari, e quanto ci sia da fare per una seria politica dell’accoglienza.

Tutto vero. Ma il clima è cambiato.

Tre anni fa l’allora governo dell’avvocato Conte, con Salvini al Viminale, faceva morire di stenti donne e uomini tenuti al largo dei nostri porti. Oggi non è più così. Solo Salvini non coglie che il tempo ha camminato più veloce dei suoi comizi.

Lo Ius Soli è bloccato dalla destra e finché i rapporti parlamentari sono questi non resta, come fa Enrico Letta, che ricordarne l’importanza morale.

La ministra Lamorgese, in difficoltà sui green pass, ha giustamente contestato che ci sia un’invasione ed è stata aggredita dal suo predecessore al Viminale, una volta tanto in anticipo sulla “alleata” Meloni che poi ha rispolverato un suo classico, il blocco navale, in una gara vecchia, stanca, già sentita, superata da una nuova sensibilità di un Paese che ha ben altri problemi. Cose tipo la pandemia, sulla quale il duo di destra reclama libertà di fare il danno altrui. E metti insieme le due cose – la guerra agli immigrati e la smidollatezza sui vaccini – e avrete una destra fuori contesto, immutabile, insensibile.

Per Salvini soprattutto questo è un problema. L’uomo copre con il suo sudaticcio attivismo il vuoto di proposte e idee, in un eterno Papeete sempre più triste e prevedibile. I suoi mugugnano, vedendolo scarico di armi polemiche e senza frecce al suo arco. È per questo che non chiede elezioni: troppo rischiose, nell’Italia multietnica di Fausto e Marcell.