Le aspettative erano basse e l’esito dell’ultimo Consiglio dell’Ue le ha confermate. L’Unione Europea non aprirà le porte ai cittadini afghani in fuga dal regime dei Talebani, ma piuttosto cercherà di evitare che lascino il Paese fornendo loro aiuti umanitari, o al limite li aiuterà a sistemarsi nei Paesi limitrofi. Dalla riunione dei ministri degli Interni dei 27 Paesi (più quelli extracomunitari dello spazio Schengen) è emersa soprattutto la volontà di evitare, in ogni modo, un massiccio afflusso di migranti verso i confini europei. I rapporti con il nuovo governo di Kabul, invece, potranno svilupparsi a patto che termini «ogni legame con il terrorismo internazionale» e che l’Afghanistan non torni a essere un porto franco per le organizzazioni criminali.
Quale fosse il clima dell’incontro si era già capito all’arrivo di alcuni ministri, decisi nelle abituali dichiarazioni di rito prima dell’inizio dei lavori. I rappresentanti di Austria, Cechia e Danimarca hanno fatto capire subito le loro intenzioni, firmando una nota congiunta e presentandosi insieme di fronte ai microfoni. «Le persone non devono venire in Europa, devono restare nella regione», ha detto Mattias Tesfaye, politico di origine etiope e ministro danese per l’Immigrazione e l’Integrazione.
Il suo governo, pur guidato dai Socialdemocratici, è sul tema in linea con quello liberale ceco e quello austriaco, di centrodestra: bisogna pensare alla sicurezza dei confini nazionali ed evitare qualunque messaggio politico che possa incentivare le partenze verso l’Ue. Mentre i cittadini europei e quelli afghani che hanno collaborato con la missione Nato sono stati già evacuati, per tutti gli altri sarà difficile raggiungere l’Europa.
Un concetto ricorrente, in maniera esplicita o sottintesa da parte dei rappresentanti degli Stati membri, è stato quello di non ripetere la situazione del 2015, quando oltre 360mila persone in fuga dalla Guerra in Siria chiesero asilo nei Paesi Ue, spingendo per la prima volta il totale delle richieste oltre il milione. Questo timore si desume anche dalla dichiarazione finale sottoscritta dai ministri, che recita al punto 6: «Basandosi sulle lezioni apprese, l’UE e i suoi Stati membri sono determinati ad agire insieme per prevenire movimenti migratori illegali su larga scala incontrollati […]».
Per dissuadere questi «movimenti migratori incontrollati» dovranno essere utilizzate «campagne informative mirate a contrastare la narrativa dei trafficanti di esseri umani, che incoraggiano le persone a imbarcarsi in pericolosi e illegali viaggi verso l’Europa». In sostanza, si cercherà in tutti i modi di dissuadere gli afghani dal lasciare il proprio Paese. Non solo a parole: il Consiglio dell’Ue prevede sostanziosi aiuti umanitari per raggiungere la popolazione vulnerabile, che saranno erogati tramite l’Onu e le altre agenzie internazionali. Come ha spiegato la commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson nella conferenza stampa successiva all’incontro, «è necessario evitare una crisi umanitaria per evitare una crisi migratoria».
Chi decidesse comunque di abbandonare l’Afghanistan, dovrebbe trovare rifugio nei Paesi vicini e non dirigersi in quelli europei: l’Ue infatti rafforzerà il suo supporto agli Stati che circondano il nuovo Emirato islamico, così come a quelli che si trovano sulla rotta migratoria verso l’Occidente. Nella dichiarazione non si fanno menzioni precise, ma è chiaro il riferimento a Pakistan, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan. Gli accordi con questi Paesi potrebbero assomigliare a quello stretto con la Turchia, abbondantemente finanziata dal marzo 2016 per l’accoglienza dei profughi siriani, anche se Johansson ha precisato di non volerne replicare le condizioni.
I cosiddetti «Paesi di transito» giocano comunque già un ruolo importante nella strategia europea: dovranno rispettare gli accordi di riammissione di migranti stipulati singolarmente con l’Ue e quindi accettare di nuovo sul proprio territorio quelle persone che lo hanno attraversato per arrivare ai confini europei.
Chi scappa dall’Afghanistan potrebbe inoltre diventare, suo malgrado, uno strumento di minaccia «per motivi politici». Un punto della dichiarazione, preteso dai Paesi baltici, rimanda all’atteggiamento del governo bielorusso, che negli ultimi mesi sta favorendo l’afflusso di migranti irregolari verso i confini di Polonia, Lituania e Lettonia e potrebbe fare lo stesso con i cittadini afghani.
Nessun riferimento, invece, alla Direttiva 2001/55, in grado di garantire protezione temporanea a tutti coloro che provengono da una determinata regione geografica in stato di crisi, nonostante questa opzione fosse stata avanzata dall’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la Sicurezza Josep Borrell e richiesta formalmente da 76 europarlamentari. L’unica concessione a possibili ricollocamenti riguarda le «persone vulnerabili», indicate soprattutto come donne e bambini: la commissaria ha poi specificato alcune delle categorie in pericolo, tra cui giudici di sesso femminile, giornaliste e attiviste. I soggetti a rischio potranno essere trasferiti nei Paesi Ue, nell’ambito di uno sforzo globale per rispondere a un esodo in massa della popolazione afghana. Anche in questo caso, però, le quote di accoglienza verrebbero definite su base volontaria dagli Stati membri: rispondendo alle domande dei giornalisti, Johansson si è rifiutata di fare una stima, anche vaga, sul numero delle persone che potranno essere accolte nell’Ue.
Il Consiglio, comunque, «riconosce la necessità di concedere protezione a coloro che la necessitano, in linea con gli obblighi internazionali». Gli afghani che riusciranno, in qualche modo, ad arrivare alle porte d’Europa avranno (come in teoria spetta a tutti i migranti irregolari) il diritto di chiedere asilo. Non è detto però che le loro richieste vengano esaudite. Il ministro sloveno Aleš Hojs, che da presidente di turno del Consiglio dirigeva la riunione, ha usato un linguaggio diretto: tra gli esuli non ci sono solo persone vulnerabili, ma anche «uomini nel fiore degli anni», che potrebbero essere una minaccia per la sicurezza di chi li ospita.
Il tasso di riconoscimento di una forma di protezione per i migranti afghani nell’UE al momento non è così alto: secondo gli ultimi dati disponibili, a giugno 2021 sono state accolte il 56% delle richieste (oltre 6mila solo in quel mese) e dall’inizio dell’anno 9.234 persone sono state respinte. Di certo la situazione nel Paese, radicalmente peggiorata dopo la presa del potere da parte dei Talebani, potrebbe favorire un aumento delle domande approvate, ma sono molte le pratiche ancora da vagliare: quasi 41mila, il 12% del totale per i Paesi dell’Unione.
Questi flussi già abbastanza sostenuti (dal 2014 quella afghana è stabilmente tra le prime tre nazionalità per numero di richieste di asilo) potrebbero ingrossarsi nei prossimi mesi, in caso di fuga di massa dall’Emirato islamico. Al momento questa condizione non si è verificata, ha sottolineato la commissaria europea, ma sarebbe difficile il contrario: i confini terrestri del Paese sono perlopiù chiusi e gli spostamenti via aerea impossibili.
In linea con un approccio volto al controllo dei flussi migratori piuttosto che all’accoglienza degli afghani, c’è la promessa di utilizzare per questa crisi le risorse delle agenzie europee: Europol per prevenire possibili infiltrazioni terroristiche e Frontex per sorvegliare le frontiere. Quest’ultima fornirà sostegno agli Stati europei più esposti all’ingresso di migranti irregolari, ma non si può escludere l’ipotesi che dislochi i suoi agenti anche fuori dall’Ue. Proprio alla riunione dei ministri degli Interni era presente il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri. Il messaggio è piuttosto chiaro per chi, dall’Afghanistan, spera di fuggire in Europa.