Tratto dall’Accademia della Crusca
Alcuni lettori ci hanno chiesto quale sia l’origine dell’espressione partire in quarta: è legata al mondo dell’automobilismo oppure fa riferimento a una posizione d’attacco nella scherma?
Risposta
Si legge talvolta in internet che l’origine della locuzione verbale partire in quarta possa essere legata a una banalizzazione di un tecnicismo della scherma, secondo un percorso del tutto normale del lessico tecnico che, quanto più si diffonde tra i non addetti, tanto più facilmente va incontro a usi metaforici nella lingua comune. Così ad esempio in una pagina di Facebook intitolata notabilmente Impariamo l’italiano si afferma:
Partire in quarta” è un’espressione usata correntemente nella lingua italiana. […] Questa espressione deriva dal gergo della scherma, dove indica un attacco rapido che espone però a rischi.
Ed esemplifica ineccepibilmente rispetto all’uso, ma in modo opaco rispetto all’origine dell’espressione:
– Quando Jordi parte in quarta, è impossibile fermarlo!
– La segretaria del direttore non voleva farla entrare, ma Dorina partì in quarta: avanzò verso la porta dell’ufficio, la spalancò, entrò con impeto e costrinse il direttore ad ascoltarla.
– Da giovani si tende a partire in quarta quando si intraprende un’attività, mentre col passar degli anni si diventa più riflessivi.
– L’entusiasmo lo fece partire in quarta, facendogli dimenticare i rischi.
La stessa certezza sull’origine dell’espressione si ricava anche da una pagina online del quotidiano triestino “Il Piccolo” del 10 luglio 2017:
Quante volte ci ritroviamo a usare la frase “partire in quarta” nella nostra quotidianità? Sicuramente molte. Probabilmente in pochi sanno però che il detto “partire in quarta” affonda le proprie origini nella scherma storica, e si riferisce alla posizione di quarta, ovvero quella in cui finiscono molti attacchi, assumendo il significato, in parole povere, di “partire con l’intenzione di ferire”. Dalla scherma del ‘600 in poi tenendo il braccio teso in avanti, si definisce la posizione di pugno con quattro posizioni. La quarta di esse (palmo in su) ha dato origine al detto “partire in quarta”, sfatando l’associazione col gergo automobilistico.
E altri esempi si potrebbero aggiungere.
Ma che dell’origine schermistica dell’espressione si possa dubitare hanno già scritto Rocco Luigi Nichil e Paola Russo nel “Magazine Treccani” dedicato alla lingua italiana, e qui inevitabilmente molto si riprenderà. Innanzitutto si vedano dizionari: la lessicografia d’uso appare concorde nell’ignorare l’origine schermistica e predilige come spiegazione quel riferimento all’automobilismo negato dai due esempi riportati in precedenza. Mi limiterò a pochi esempi. Il GRADIT, s.v. partire, scrive:
partire in quarta loc. v. [CO] p. con un veicolo a gran velocità | fig., iniziare un’azione o un progetto con slancio ed entusiasmo.
Nel Nuovo Treccani, s.v. partire2:
partire in quarta, dell’automobilista che parte come se avesse ingranato la quarta marcia e, in senso, figurato, della persona che affronta con ardore eccessivo un’impresa.
Infine il Sabatini-Coletti: se s.v. partire1 si limitava a scrivere: “fig. p. in quarta, iniziare con impeto”; s.v. quarta, nel significato di ‘quarta marcia nei cambi di velocità di un autoveicolo, la più lunga nei cambi a quattro marce’, poneva anche:
fig. partire in q[uarta]., intraprendere qlco. con grande entusiasmo e buona volontà o scagliarsi impulsivamente contro qlcu.
Rimando per altri esempi da dizionari dell’uso all’articolo di Nichil e Russo, verso il quale sarò largamente debitore anche nel seguito. Si noterà però che nessun dizionario lascia intendere un legame dell’espressione con la scherma.
Tuttavia, evitando di assumere una posizione legata al principio di autorità per cui in fatto di lessico il vero sta nei dizionari, si proverà a individuare quale possa essere la ragione dell’espressione con le ragioni della storia. Un primo aiuto giunge dunque dal vocabolario storico. Se si cerca nel GDLI la voce quarta come tecnicismo della scherma, se ne rintraccia la prima attestazione fin dal Cinquecento; la si trova usata dall’Ariosto nell’Orlando Furioso (21, 71), nell’espressione “parare di quarta e rispondere di quinta” con il significato di ‘rendere la pariglia con qualcosa in aggiunta’:
Ella che di Zerbin sa l’odio a pieno / né in mala voluntà vuole esser vinta, / un’oncia a lui non ne riporta meno: / la tien di quarta e la rifà di quinta.
Ma, come è già stato osservato da Nichil e Rossi, questa antica attestazione schermistica non accoppia mai in quarta con il verbo partire, e neppure con verbi dal significato simile. Gli stessi trattati dedicati alla scherma sembrano non conoscere l’accoppiamento. E proprio un trattato di scherma, il cinquecentesco Trattato di Scientia d’Arme, con un Dialogo di Filosofia (1553) del milanese Camillo Agrippa può offrire qualche ulteriore spunto per aiutare a escludere il significato schermistico come possibile origine della nostra espressione. Si veda infatti come spiega, insieme alla terza, la quarta guardia (capitolo VII):
Qual sia la Quarta guardia, et ultima Guardia de le principali già s’è veduto, medesimamente inteso il nascimento suo; et come tra lei, e la Terza è poca differenza, anzi sono quasi una medesima per tener il nemico luntano, et con più sicurezza diffendersi: benché al mio parere questa Quarta per essere più lunga, è più cauta, ancora che la Terza, massime variando ancora alquanto di forma, perché viene a farsi con la mano manca sopra la testa, et col fianco dritto innanzi, et non scopre il petto come fa la Terza, che lo mostra quasi tutto, secondo li atti de li quali ho ragionato.
Stando dunque al massimo teorico cinquecentesco della scherma, la quarta guardia si contraddistingue per una certa cautela, all’apparenza inadatta a dare origine a un’espressione il cui significato esclude invece ogni cautela. E d’altronde, come si è già ricordato, è la stessa assenza di documentazione della locuzione verbale legata alla scherma, o comunque precedente l’avvento e la diffusione dell’automobile, a renderne improbabile l’origine schermistica.
Recente è invece l’attestazione di quarta nel significato motoristico di ‘quarta marcia di un autoveicolo’: ha infatti le prime attestazioni agli inizi del Novecento. Il GDLI riporta come primo un esempio tratto dalle Memorie a zig-zag (1929) di Carlo Linati:
Mr. Bigstock allora saltò in quarta e con una volata che fu tutto un ululo all’unisono delle sue batterie foniche, strisciando su rapido, presto fu su l’altura.
Ma retrodatare non è un compito difficile. Se si riporta all’espressione originaria non ellittica del sostantivo (marcia o velocità), i primi esempi cadono immediatamente dopo l’ingresso nel ventesimo secolo:
Notato il cambio di velocità nella vettura Isotta Fraschini: si hanno quattro velocità ed una marcia indietro con innesto diretto alla quarta velocità, comandata da una sola leva. (“Bollettino della Società degli ingegneri e degli architetti”, 1904, p. 361)
Il Principe abbassò la leva del motore alla quarta velocità e spinse tutto l’acceleratore. L’automobile rombò più forte e più alto, ebbe un balzo, e volò sulla sabbietta dura del sentiero. (Luigi Barzini, La metà del mondo vista da un’automobile: da Pechino a Parigi in sessanta giorni, 1908, Milano, Hoepli, p. 179)
Immediati sono anche gli usi figurati e con ellissi del sostantivo. Dapprima sempre in relazione all’automobile, ma per significare ‘a tutta velocità’: così scriveva Ugo Ojetti sul “Corriere della Sera” del 21 agosto 1905:
Ed era cresciuta nella stima dell’uomo che le viveva vicino, – o che soltanto le passava vicino senza aver più quel sussulto che si ha quando un’automobile «in quarta» vi sfiora per via.
Le virgolette metalinguistiche sottolineavano la novità dell’espressione. Cinque anni dopo, sul “Corriere della Sera” del 9 marzo 1910, le virgolette sono scomparse:
La folla ansiosa circonda la vettura e spia dai vetri. Ma niente paura: Prudente, Pistoia, Di Saluzzo montano e la macchina parte velocissima in direzione di San Paolo. Abbiamo appena il tempo di gridare al nostro valente chauffeur: «Presto in quarta!» E ci mettiamo alle calcagna – diciamo così – dell’altra vettura.
D’altronde la quarta marcia era allora – e lo rimarrà fino a dopo la metà del secolo – quella in cui si raggiungeva la velocità massima. Sempre dal “Corriere della Sera”, un articolo di taglio rievocativo del 28 luglio 1962, così ricordava, con parole tratte da 1900 di Paul Morand, il rischio della velocità in quarta marcia:
È dunque l’estate del 1900, Paul Morand ha dodici anni, va a vedere le automobili che partecipano alla grande corsa Parigi-Tolosa. Sono partite da poco, i piloti hanno attaccato le prime due marce che assicurano una velocità di sette, poi di venti chilometri all’ora, i più audaci sono già alla terza marcia. «Quanto alla quarta, che permette di giungere fino a quaranta, il rischio non poteva essere corso che su strada fuori di città, poichè i Campi Elisi non erano abbastanza lunghi per lanciarsi. ‘Io non adopero quasi mai quest’ultima marcia, dichiarava un campione, salvo in pianura e solo per tre o quattro chilometri’, e aggiungeva: ‘Al di sopra di trenta chilometri all’ora comincia il pericolo’».