Il male incurabile“11” il romanzo sul giorno che cambiò l’America

Giancarlo Marinelli racconta, attraverso gli occhi di un esule estone, le ultime ore prima dell’impatto degli aerei contro le Twin Towers. I suoi scatti fotografici diventano le tessere di un affresco sul mondo di allora, con le sue aspettative e i suoi protagonisti, dal presidente Bush fino alla madre di Osama bin Laden, passando per padre Mychal Judge, la prima vittima certificata di Ground Zero

AP Photo/Stefan Jeremiah

Alza le braccia e poi le distende verso di loro, Dio quanto gli è sempre piaciuto spiegarle in quel modo, forse s’è fatto prete solo per questo, per la tensione celebrante a metà tra il Mi arrendo e Nessuno oserà più farvi del male, è nel matrimonio, nell’atto sacro dell’unione, oltre che nell’eucarestia, che le braccia pensili tra cielo e terra sono previste, ma a Mychal non gliene fotte, si sente bellissimo, potente, irresistibile in quella posa.

Prima di chiudere gli occhi, padre Judge vede i mattoni rossi che tanto gli ricordano la sua Irlanda, Bel recupero ha fatto ’sto architetto, pare sia un allievo di Liebeskind, mah non si direbbe, il vociare dei bambini si spegne lentamente, di loro rimane un’altalena d’aria provocata dai loro corpi che dondolano sulle ginocchia dei pompieri in divisa, delle mogli e delle madri che in coro fanno Sssss Sssss, e quella è l’unica ragione per cui Mychal in un’altra vita potrebbe andare con una donna, il Sssss bisbigliato dalle femmine ha qualcosa di divino, è per come riescono a tirar su il labbro inferiore e a contrarre quello superiore che ne vien fuori un suono da far invidia al vento che trapassa gli steli, al torrente che s’intrufola tra i sassi, no i maschi non son capaci, le labbra si fan su in un ingrugnimento pietroso, s’ammucchiano come se dovessero fischiare e biascicano un Ssssù che forse fa invidia al calabrone che s’è appena sfracellato contro un vetro.

Il fido Ralph di fianco gli gira una pagina, ma lui sa quello che deve dire, se lo ricorda benissimo, e non perché a ogni benedizione di una centrale reciti sempre la stessa litania, al contrario, ogni volta scrive qualcosa di nuovo, e poi prova e riprova la parte allo specchio, come un vecchio attore assolutamente disciplinato, e niente improvvisazione nei suoi sermoni, le pause, il tono, la scelta di ogni parola, tutto viene calcolato con maniacale puntiglio.

Chiude gli occhi come a raccogliere l’ultima carica dell’ispirazione e l’estrema conferma della memoria, poi li riapre, e con loro, un sorriso molto dolce.

«È così la vostra vita. Giornate buone e giornate cattive. Giornate sì e giornate no. Giorni tristi. Giorni felici. Ma mai un giorno noioso per chi come voi svolge questo lavoro. Fate quello che Dio vi ha chiamati a fare. Vi presentate. Mettete un piede davanti all’altro. Salite sul camion e uscite per adempiere alla vostra missione, che è un mistero. E una sorpresa».

«Non avete idea di quando salirete sul camion o di quanto sarà grave l’emergenza. Non importa se è piccola. Non avete idea di quello a cui Dio vi sta chiamando».

«Ecco perché parlo di voi come di una sorpresa e di un mistero. Nessuno; nessuno di noi è in grado di accettare che Dio ci ami incondizionatamente. Voi sì. Amate incondizionatamente qualunque cosa. Tutte le cose del Creato. Anche la più inutile, la più distratta, la più misera. Tanto che non accettate che venga alterata; guai alla fiamma che vuole mutarla, guai all’onda che vuole sciuparla. Per questo, l’Incondizionato, e cioè Dio, ha bisogno di voi».

Alza gli occhi verso il cielo, è l’ora della preghiera solenne e definitiva, ma non appena inquadra il soffitto che è tutto un incastro di travi e architravi ha solo il tempo di pensare, No non è stato un allievo di Liebeskind, e poi ode un chiacchiericcio che parte subito a volume alto, troppo alto per le regole della buona educazione e del rispetto che dinnanzi a lui i pompieri di solito osservano con intransigenza, e ancora un tumulto di vibrazioni dai cellulari, per la verità ci provano un paio di Sssss delle donne a riportare il silenzio, niente, il levarsi di voci, che lui fatica a distinguere ma di cui afferra perfettamente l’urgenza e la paura, monta irrefrenabile. E sempre come quel vecchio attore assolutamente disciplinato che va avanti imperterrito finché il direttore di scena non grida, Sipario!, padre Judge non distoglie lo sguardo dal cielo e continua, provando persino a innestare nel copione l’improvvisa intemperanza dei suoi ragazzi.

«Padre, proteggi questi tuoi indisciplinati figli del South Bronx; rendi sinuose come fianchi di fanciulle le loro scale, come aureole i loro caschi, come cannucce le loro pompe, come crêpes bruciate i grattacieli in fiamme, come guance in lacrime le strade allegate. Padre, ascoltaci…»

«Noi dobbiamo andare», la voce lo interrompe e gli fa tornare gli occhi sulla terra e i mattoni rossi.

E quando si accorge che la voce appartiene a lui, al sosia di Jeff Bridges ma ancora più bello di Jeff Bridges, che circa ventiquattr’ore prima gli aveva chiesto la confessione, nella frazione di secondo che gli è concessa prima di replicare, Mychal non sa decidere quale sia il senso della presenza che gli è davanti. Se potesse, chiederebbe ausilio a Ralph, Secondo te Dio mi ha mandato ’sta meraviglia per dirmi che il male è curabile o per consolarmi del fatto che il male è incurabile?

«Che succede?» chiede padre Judge. «Una cosa molto grave?»

Nella sala deflagra la scombussolante scia dei pompieri che corrono fuori urtando sedie e parenti, mentre un bambino messicano con un papillon giallo comincia a piangere.

«Mi ascolti bene adesso, padre…» Desmond Philips lo fissa quasi minaccioso, «quando incontrerà mia moglie…»

«Incontrerò tua…? Mi stai facendo paura, ragazzo mio; davvero, cosa…?»

Desmond lo immobilizza stringendogli le mani grandi sulle tempie.

«Mi ascolti!” gli grida in faccia. «Dovrà dirle che quel giorno, quel giorno che abbiamo fatto Danny… dentro il lavandino… sì, dentro il lavandino, io non l’ho persa, non l’ho mai persa, in nessun giorno che ho vissuto! Ha capito? Padre! Ha capito?»

«Sì», gli risponde con un filo agghiacciato di voce. «Grazie. Ora si metta in salvo».

da “11”, di Giancarlo Marinelli, La Nave di Teseo, 2021, pagine 320, euro 18

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