Non c’erano soluzioni buone o semplici per Joe Biden sull’Afghanistan, il presidente che ha chiuso, almeno pare, la guerra giusta ma ormai irragionevole, infinita ma in realtà conclusa da tempo. La guerra nata per catturare Osama Bin Laden, per smantellare il suo gruppo di sicari del jihad e per rimuovere il regime dei talebani che se ne era preso cura.
Eppure, tra le tante opzioni a disposizione, Biden ha scelto la via più disonorevole per il suo paese e per tutti noi, sulla scia di un‘antica tradizione realista della sicurezza nazionale americana, in realtà immoralista, che da sempre è in tensione con la scuola idealista di politica estera, i cui principi di interventismo umanitario e di ingerenza democratica dopo i due mandati di George W. Bush sono stati abbandonati da Barack Obama prima, poi da Donald Trump e ora da Biden.
Adesso che a Kabul sono tornati i Talebani, non perché hanno prevalso militarmente ma perché gli americani hanno deciso di lasciargli il paese, è evidente che quel che resta della comunità internazionale, umiliata dalla disfatta afghana autoimposta da Washington, dovrà fare qualsiasi cosa in suo potere per salvare l’esistenza non solo di chi in questi anni ha cercato di far uscire il paese dalle tenebre ma anche quella di tutte le bambine, di tutte le ragazzine e di tutte le giovani donne afghane destinate dalla legge coranica sguainata dai Talebani a essere ingabbiate in un burka e stuprate in nome di Allah misericordioso.
Bisognerà quindi provare a “trattare” con i talebani tornati al potere per salvare più bambine e più persone possibili, essendo a questo punto da escludere contro la setta razzista, stragista e patriarcale dei Talebani un nuovo intervento armato sul genere di quello appena concluso ma che, tra mille errori e inadeguatezze, comunque ha garantito per vent’anni una prospettiva di vita dignitosa a milioni di donne.
Trattare, dunque. Fare pressioni. Chiedere un corridoio umanitario. Sapendo bene che servirà a poco e soprattutto con la consapevolezza che la vita delle bambine e delle donne afghane, e in seconda battuta del resto della popolazione, ora è a rischio di schiavitù proprio perché l’America di Donald Trump ha trattato con i Talebani, anziché tenerli lontani dalle città come è stato fatto nei due decenni precedenti.
La barbarie è tornata perché Trump ha legittimato, ha incontrato e ha liberato i leader dei carnefici dell’Afghanistan, riconsegnandogli chiavi in mano il paese e tutti i suoi abitanti.
Quello che stiamo vedendo nelle strade di Kabul e di Kandahar e all’aeroporto Karzai è precisamente il prodotto della trattativa con i Talebani che ancora oggi gli esperti del Twitter dicono essere la soluzione corretta per affrontare da qui in avanti la questione afghana e il rapporto col nemico, al contrario dell’opzione militare.
Eppure un dato è incontrovertibile: finché l’America, l’Italia e tutti gli altri paesi della coalizione internazionale, con mille difficoltà e pagando prezzi umani, sociali e finanziari incalcolabili, hanno tenuto i Talebani militarmente alla larga dai corpi delle donne, le donne afghane hanno potuto immaginare di vivere da esseri umani.
Nel momento esatto in cui quel fesso di Trump, sedicente “artista del saper concludere buoni affari”, si è seduto a Doha al tavolo della trattativa con i Talebani, assicurando loro il rientro in patria dei rimanenti tremila soldati americani, il presente e il futuro dell’Afghanistan e dei suoi abitanti è stato segnato.
L’idea che si possano “romanizzare i barbari”, che sia cioè sufficiente dialogare con gli ex studenti delle madrasse per convincerli a moderare i comportamenti, a tagliare meno teste e ad applicare una variante leggera della sharia è una stravaganza costante del dibattito ventennale contro il fondamentalismo islamico. L’intervento armato non conquista i cuori e le menti della popolazione civile, come abbiamo visto, ma il dialogo con i mozzorecchi finisce col consegnare le giovani afghane ai loro carcerieri barbuti, i quali invece erano stati tenuti a bada dalle armi degli eserciti internazionali.
Una volta entrato alla Casa Bianca, Biden avrebbe potuto riscattare l’America, cestinando la resa trumpiana e lasciando a Kabul quei tremila soldati che da tempo non combattevano più direttamente ma che invece coordinavano le operazioni a difesa delle malconce istituzioni rappresentative afghane. Avrebbe potuto organizzare una ritirata decorosa e in ogni caso successiva alla messa in sicurezza delle ragazze afghane. Non lo ha fatto.
L’intervento in Afghanistan, del resto, da tempo non era più la “endless war” di cui si è parlato per anni. Non era più una guerra infinita, era diventata una polizza vita a favore delle ragazze afghane. Ora è una pena infinita.