La transizione verde non è un pranzo di gala. Anzi. Richiede scelte e prese di posizione forti. Che spesso impongono un conto molto salato da pagare: come quello che, nei prossimi anni, potrebbe pagare la città svedese di Göteborg, che da un lato vuole provare a diventare sempre più esemplare dal punto di vista della lotta alle emissioni e alle auto, dall’altro, se percorresse fino in fondo questa strada, potrebbe ritrovarsi priva del suo principale datore di lavoro, Volvo.
L’idea – che per ora è solo un’idea, ma che potrebbe trovare spazio nella campagna elettorale per le elezioni del prossimo anno – prevede non solo il divieto di circolazione per le auto che usano combustibili fossili, ma l’esclusione completa dal centro di tutte le auto, furgoni, motorini et similia che comunque, anche nelle loro versioni più ecologiche (ossia quelle ibride e elettriche) sono considerate inquinanti, per effetto della consunzione dei pneumatici sull’asfalto o perché comunque, frutto di una catena produttiva ad alto impatto ambientale.
Nonostante la proposta di chiudere il centro di Göteborg alle auto sia stata portata in consiglio comunale, e lì bocciata (sia per la radicalità del tema, sia per la forte pressione dei commercianti locali) il problema rimane. E anzitutto per Volvo, che si è ritrovata suo malgrado al centro di una bufera mediatica e politica che non solo non voleva e non cercava, ma che, anzi, negli ultimi anni, ha fatto di tutto per evitare, concentrandosi nella produzione di auto elettriche e di acciaio senza fossili, tanto da aver di recente garantito che, dal 2030 in poi, produrrà solo veicoli elettrici.
Per questo la casa automobilistica svedese (che negli ultimi anni sta vivendo una nuova giovinezza, a tal punto di pensare di ricomprare il 50% della proprietà dalla cinese Geely) è rimasta spiazzata dai proclami di abolizione delle auto dal centro cittadino che arriva proprio dalla città nella quale Volvo dà lavoro a 23mila persone.
Il problema, però, rimane anche per gli svedesi: i cittadini della Svezia, infatti, paiono essere tra i più preoccupati (e a buon titolo, data la geografia che la vita ha dato loro in sorte) per il riscaldamento climatico e l’inquinamento: il 43% degli abitanti della Svezia pensa che l’ambiente sia il principale problema da affrontare (il 60% è più preoccupato dallo stato della sanità).
Il problema rimane, infine, per la politica svedese: nel paese si voterà tra pochi mesi. Al momento i sondaggi sembrano garantire una vittoria piuttosto tranquilla del Partito socialdemocratico, che governa il paese senza grandi scossoni da che si ricordi, e allo stesso tempo un misero 4% al partito dei Verdi che si potrebbe sommare (volendo) al 5% della sinistra più radicale e che sul tema dell’ambiente ha posizioni molto chiare e determinate.
L’elettorato però non li segue. E questo dato, se affiancato con le statistiche che dicono che la principale preoccupazione degli svedesi è il clima, significa probabilmente che i partiti principali, il Socialdemocratico e il Moderato di centrodestra, dovranno per forza dare una sterzata in senso ambientalista ai loro programmi e alle loro politiche, coniugandoli però con le responsabilità di governo.
Il che significherà trovare la quadra (in modo simile a quello che si dovrà provare a fare in Norvegia) tra l’attenzione per l’ambiente e quella per il lavoro, l’occupazione e il tenore di vita delle persone. Tenendo insieme la decarbonizzazione e la crescita.