C’era una volta il centroForza Italia in tilt, ma stavolta nemmeno Silvio ha la soluzione pronta

La distanza tra i ministri azzurri e l’ala di Tajani si allarga: una parte vorrebbe lavorare per una prospettiva neocentrista, l’altra vuole restare agganciata al carro sovranista

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«Se quelli mi impallinano è la volta che rompo», ha detto qualche giorno fa Silvio Berlusconi ad autorevoli interlocutori di Forza Italia e qualche esterno. “Quelli” sono Salvini&Meloni, la strana coppia (ieri il capo leghista ha gentilmente pregato Giorgia di fare sì l’opposizione ma «senza rompere i coglioni alla Lega») che illude il vecchio leader di poter correre per il Colle.

Lui, Berlusconi, ci crede abbastanza – non del tutto – e ha cominciato a far di conto, a riprendere contatti internazionali (ieri a Bruxelles ha visto la Merkel), ancora convinto che senza Forza Italia il tandem sovranista non vincerà e perciò li minaccia: «Se quelli mi impallinano è la volta che rompo» – ma probabilmente l’espressione era più colorita.

Ieri il Cavaliere è stato assolto a Siena per il Ruby ter (si tratta di uno stralcio del processo principale, non tutto il processo). Un buon presagio vi avrà scorto? È possibile. Uno ottimista come lui vede il sole anche quando piove, figuriamoci poi se spunta un’assoluzione non proprio da tutti prevista. Un problema in meno nella corsa al Colle. Dalla quale ha gentilmente “espulso” Mario Draghi, «forse è meglio che resti al governo».

Però nel centrodestra siamo ai soliti sospetti. Sembra persino messo peggio dell’Unione che andava da Mastella a Turigliatto, dove si odiavano tutti. E la sindrome del non fidarsi si allarga e penetra nei singoli partiti.

Solo Fratelli d’Italia, a quanto è dato sapere, appare come un monolite inscalfibile per quanto dominato dai sussulti isterici di Giorgia contro l’universo mondo (chiedere alla malcapitata Annalisa Cuzzocrea di Repubblica che aveva osato scambiare un vestito blu notte per nero e la leader vi aveva ravvisato chissà quale monito morale). Nella Lega non ci sono solo i dubbi di Giancarlo Giorgetti ma, assicurano, persino tra i parlamentari fedeli a Salvini.

Ma se poi prendiamo il partito di Berlusconi, ebbene lì l’aria sta diventando veramente irrespirabile. Sulla buccia di banana dell’elezione del capogruppo a Montecitorio – eletto Paolo Barelli, ex nuotatore, ex di destra, vicino a Antonio Tajani, il più filoleghista degli azzurri – è scivolata la tenuta del gruppo dirigente, ormai platealmente spaccato tra i tre ministri – Carfagna, Gelmini e Brunetta – e appunto l’ala “tajanea” e tendenzialmente “cerchio magico” di Silvio – Tajani, Mulè, Ronzulli.

Dietro la questione della poltrona, va da sé, c’è una seria questione politica: se Forza Italia debba restare agganciata al carro egemonizzato dai sovranisti o lavorare per una prospettiva diversa, neocentrista, magari in un quadro politico-parlamentare ridisegnato, quando sarà, da un legge elettorale proporzionale.

Il problema è ovviamente Silvio Berlusconi. Che ha minimizzato la portata dello scontro interno ma senza convincere nessuno dei “contestatori” («Non capisco che gli ha preso a quelli là…») mentre contemporaneamente “quelli là” replicavano: «Evidentemente ha ragione il ministro Gelmini quando dice che al presidente Berlusconi viene raccontata una parte della realtà…», ha detto Mara Carfagna, alla quale pare che gli altri due ministri abbiano consegnato lo scettro della guida dell’opposizione interna.

Che il Cavaliere in questi mesi per lui difficili, soprattutto a causa delle condizioni di salute, sia stato lontano dalla politica romana è anche tecnicamente realistico, nel senso che l’anziano Re Lear è sempre rintanato ad Arcore e non dispone se non di notizie riferite.

Per questo – è quanto ha fatto capire la Gelmini – Berlusconi non sta tanto sulle cose: non le sa. E infatti non si rende conto del «malessere – spiega Brunetta – figlio della sospensione, causa pandemia, del funzionamento degli organi di partito».

La distanza tra i ministri e l’ala di Tajani dunque si allarga e magari nel breve periodo non succederà nulla di clamoroso ma dopo il Quirinale bisognerà resettare la situazione. Il dissidio non nasce adesso ma fin dalla formazione del governo Draghi, quando dentro Forza Italia salirono i malumori perché Carfagna, Gelmini e Brunetta vennero sostanzialmente scelti da Mattarella e Draghi. Gli altri se la legarono al dito. In vista del big match del Colle tutte i nodi vengono al pettine. Specie se il Gran Capo non ha ben chiara la situazione reale.

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