La grande vadrouilleGli strambi candidati alle presidenziali francesi

La campagna elettorale nella République non è solo un testa a testa tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Tra i tanti volti nuovi e diversi outsider ci sono populisti, animalisti, Frexiter e gilet gialli

AP/Lapresse

Mancano poco più di sei mesi alle elezioni presidenziali francesi e la campagna elettorale entra nel vivo. Ci sono già decine di candidati, volti nuovi e politici di lungo corso, ognuno con le sue idee, ognuno con la propria cassetta degli attrezzi per provare a conquistare l’Eliseo attraverso le urne.

Un paio di giorni fa Linkiesta ha raccontato l’agenda politica francese sia dominata dai temi dell’immigrazione e dell’Islam politico: «Emmanuel Macron – scrive Carlo Panella – ha aperto di fatto la sua campagna elettorale esattamente un anno fa, il 2 ottobre 2020, col discorso di Mureux in cui ha messo prepotentemente al centro della agenda politica i pericoli derivanti dall’Islam politico (“una cancrena per la République”) e dalla mancata assimilazione di larga parte degli immigrati. Tutti gli altri candidati di tutte le forze politiche lo hanno seguito a ruota».

La sensazione è che con il passare delle settimane questa campagna elettorale possa arrivare a toccare tutti i temi immaginabili – e forse anche alcuni inimmaginabili – dal momento che ci sono moltissimi candidati con un programma elettorale quanto meno originale, se non strambo.

Lo ha raccontato il Financial Times in un articolo firmato da Victor Mallet, capo del “Paris bureau” del quotidiano economico: «Nel gruppo ci sono anche Hélène Thouy del partito Animalista; il sindacalista delle ferrovie Anasse Kazib del Movimento Comunista Rivoluzionario; Éric Drouet e Jacline Mouraud, entrambi attivisti dei gilets gialli che hanno iniziato a protestare nel 2018; e il Frexiter François Asselineau».

Per loro la campagna elettorale potrebbe essere durissima, una sconfitta annunciata, o forse sarà solo un modo per avere visibilità. Di sicuro le loro armi spuntate rispetto a quelle del presidente uscente Emmanuel Macron, ma anche guardando alla veterana dell’estrema destra Marine Le Pen, la sindaca di Parigi Anne Hidalgo, il progressismo di Jean-Luc Melenchon (La France Insoumise) o l’ex negoziatore dell’Unione europea per la Brexit Michel Barnier.

A frenare il gruppo degli outsider più singolari, però, c’è soprattutto il sistema di candidature francese: «La Francia ha un sistema per filtrare i candidati marginali che ha fatto naufragare molte candidature presidenziali in passato: gli aspiranti residenti dell’Eliseo devono assicurarsi 500 sponsor tra i funzionari eletti, ad esempio sindaci e parlamentari, in almeno 30 diversi dipartimenti francesi, e senza utilizzare più di 50 firme da alcun dipartimento», scrive il Financial Times.

Per molti candidati sembra una missione impossibile: Douchka Markovic, del partito Animalista, ha definito la ricerca di sponsor e di sostenitori «un lavoro immenso». Qualcun altro potrebbe essere abbastanza abile da aggirare l’ostacolo. Nel 2017, ad esempio, Nathalie Arthaud della trotskista Lutte Ouvrière (Lotta operaia), riusì a convincere un numero sufficiente di funzionari locali che la diversità politica è vitale per la democrazia. Partecipò alle elezioni. Prese solo lo 0,6%, ma il suo obiettivo lo raggiunse pienamente.

Il prossimo candidato inaspettato potrebbe essere Éric Zemmour. Non è ancora ufficialmente un candidato alla presidenza, ma l’ultimo sondaggio di opinione gli ha dato un notevole 13% in un presunto primo turno.

Zemmour rappresenta quel tipo di candidato dirompente che dà sfogo al populismo radicale e al nazionalismo che ha già stravolto la politica in tutto il mondo, dall’America di Trump e la Brexit in Gran Bretagna al Brasile di Jair Bolsonaro e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan.

Un po’ come ha fatto Trump, il personaggio di Zemmour ha saputo attirare attenzioni grazie a un programma serale, simile ai talk show di Fox News, sul canale via cavo CNews (controllato dal magnate di destra Vincent Bolloré), dove ha espresso in modo provocatorio le sue opinioni sui temi di attualità.

«Più estremo di Le Pen nella sua ostilità all’immigrazione e all’Islam, è stato condannato due volte per provocazione razziale o religiosa. Soprattutto sa farsi notare – la sua ultima mossa è stata quella di chiedere la messa al bando di nomi stranieri come Mohammed e Kevin – e fa appello ai conservatori della classe media che in qualche modo ritengono meno imbarazzante votare per un intellettuale come come lui che per il più tradizionale partito di estrema destra di Le Pen», scrive il Financial Times.

Radicalmente contrario ai matrimoni gay, Zemmour si è già opposto alla teoria di genere: «Io lotto politicamente contro le lobby gay. Ma naturalmente l’omosessualità non mi pone alcun problema, è una questione privata».

Al momento Macron e Le Pen sono di gran lunga i front-runner per questa corsa elettorale verso l’Eliseo, ma scartare a priori gli outsider – per quanto singolari – significherebbe dimenticare la storia recente della politica francese e internazionale, capace di grandi sorprese, come ricorda il Financial Times: «Abbiamo visto cadere in disgrazia il capo del Fondo monetario internazionale e candidato presidenziale Dominique Strauss- Kahn per le accuse di aggressione sessuale in un hotel di New York nel 2011; il voto sulla Brexit nel Regno Unito e l’elezione di Trump negli Stati Uniti nel 2016; e, non ultimo, l’inaspettato successo dello stesso Macron nella sua prima corsa alle elezioni nel 2017».