A far scoppiare tutto è stata la crisi dei sottomarini, l’alleanza AUKUS e l’estromissione della Francia dal campo d’azione del Pacifico. I rapporti tra Francia e Gran Bretagna sono complicati da secoli, ma la tensione delle ultime settimane ha contribuito a risollevare una rivalità mai sopita, forte anche delle decisioni strategiche degli ultimi anni: la Brexit prima di tutto e l’atteggiamento nei confronti dell’Europa e dei grandi protagonisti della scena globale.
Come sottolinea questa analisi dell’Atlantic, per lo smacco dei sottomarini Parigi ha preferito concentrare i suoi attacchi a Stati Uniti e Australia, ma non ha lesinato critiche a un Regno Unito considerato «vassallo» dell’America, che ha rinunciato al club europeo per andare a fare «la ruota di scorta della politica oltreoceanica. Gli inglesi hanno preferito mantenere un atteggiamento diplomatico (almeno in pubblico: in privato era forte il loro disdegno per la posizione di Parigi sulla Brexit e lo scarso interesse dei suoi ambasciatori a mantenere buoni rapporti) fino a quando lo stesso premier Boris Johnson non ha deciso di rompere gli indugi: «È tempo per alcuni dei nostri amici più cari di “prenez un grip” sulla questione, “donnez-moi a break”» ha dichiarato ai giornalisti a Washington, dove ha incontrato il presidente americano Joe Biden.
Non è la prima volta che utilizza l’espressione (già nel 2016 i francesi parlavano di controlli doganali a Calais e nel 2019 sulla decisione di sospendere il Parlamento inglese). In questo caso si tratta di una risposta esasperata alla reazione di Parigi, che lo ha stupito per «per la sua intensità». Senza dubbio, si tratta anche di un modo per irritare lo stesso presidente Emmanuel Macron.
Il registro delle accuse reciproche è noto: la Francia considera gli inglesi «opportunisti», disposti a qualsiasi accordo meschino per interesse, mascherandolo da «Global Britain». Londra dal canto suo fa riferimento al noto sciovinismo francese, l’anti-americanismo, la passione per la grandeur, la strategia – anche questa furbesca – di usare l’Europa come mezzo per guadagnare di nuovo importanza a livello globale.
Eppure è innegabile che i due Paesi, che ora si odiano, siano in realtà anche molto simili. Non solo per parametri ovvi come la popolazione, la ricchezza, il comune passato imperiale. Ma anche per la portata globale della propria azione, la tradizione democratica, l’eccezionalismo, la paura di fronte al declino assommato all’istinto per l’indipendenza nazionale e il desiderio di essere rispettati. A unirli è anche la diffidenza nei confronti delle grandi potenze globali. Hanno strategie diverse, ma come ricorda l’Atlantic, ognuno si guarda nell’altro come se fosse uno specchio deformato. Usandolo per proiettare i propri obiettivi, le idee di sé, le speranze e le frustrazioni. Senza lesinare critiche.
In questo ultimo senso, soprattutto, hanno entrambi ragione. Sul piano diplomatico, la Francia ha mantenuto un contegno diplomatico tutt’altro che ineccepibile. L’ambasciatrice Sylvie Bermann sembra avere sposato i principi dell’anglofobia, mentre l’attuale Catherine Colonna non sembra nemmeno curarsi di mantenere rapporti con i membri del governo. Su queste scelte pesa, in modo decisivo, la Brexit. È anche vero dire che, in questa situazione, la Gran Bretagna si è accontentata di una posizione da socio di minoranza insieme agli americani, rinunciando a esercitare qualsiasi tipo di influenza in Europa.
Però le loro somiglianze sono indicative: entrambe sono medie potenze, dotate di esercito e armi nucleari, hanno un corpo diplomatico efficiente, un buon servizio di intelligence e un seggio al consiglio permanente dell’Onu. E soprattutto entrambe soffrono per la loro nuova posizione nel mondo: il XXI secolo è dominato da altri Paesi, l’agenda si fa altrove. È difficile per entrambe fare i conti con questa nuova inevitabile posizione di inferiorità, in cui si fatica perfino a ricavare uno spazio di sovranità per rispondere alle richieste dei cittadini.
Ne escono allora con due direzioni diverse, perlopiù determinate dall’esito della Seconda Guerra Mondiale. La Francia ha seguito un’impronta gollista: riabilitazione dal collaborazionismo attraverso la decantazione della Resistenza, politica di indipendenza militare con il ritiro dal comando integrato della Nato, tendenza a esprimere la propria influenza sul continente europeo.
Gli inglesi, che ne sono usciti trionfatori, hanno mantenuto il legame privilegiato con gli Stati Uniti e con la sfera del Commonwealth.
Anche oggi, riguardando le rispettive strategie, si coglie la stessa dinamica: le critiche di Macron alla Nato, l’ansia di poter contare di più in Europa – vista come mezzo per contare di più nel mondo. Ma anche la Gran Bretagna, con il sogno di una Global Britain, potrebbe mettere in campo (e questa è la cosa più sorprendente) uno spirito gollista. Lo stesso Johnson ha espresso in più occasioni la sua ammirazione per lo statista francese, elogiando in particolare la sua libertà d’azione e l’importanza di perseguire, sempre e a ogni costo, l’interesse nazionale. Come aveva detto il diplomatico francese Michel Duclos, il futuro potrebbe vedere «lo scontro tra due gollismi».
Simili ma diverse, opposte ma parallele, Francia e Gran Bretagna si preparano ad affrontare i decenni che verranno. Chi ha fatto la sua scommessa fuori dall’Europa, chi invece continua a rimanervi, con la speranza di poterla direzionare.