Il calendario delle riforme è fitto, con la manovra economica ormai prossima all’approvazione. Il governo – come ricorda il Corriere – sta entrando nelle settimane che, dopo l’elaborazione del Recovery plan, daranno forma in maniera decisiva alla politica economica dell’Italia. Entro la prossima settimana, al massimo all’inizio della seguente, varerà la legge di concorrenza sulla quale l’Italia è impegnata a Bruxelles per ricevere i fondi europei. Nei giorni seguenti, poi, il Consiglio dei ministri varerà la legge di bilancio, che sarà molto espansiva, per sostenere la crescita.
L’architrave della manovra di bilancio, spiega Federico Fubini, è scarto è fra il deficit «tendenziale» al 4,4% del Prodotto interno lordo (che si avrebbe se il governo non intervenisse) e quello «programmatico» al 5,6% (dovuto agli interventi). Quello scarto vale l’1,2% di un prodotto lordo previsto nel 2022 di 1.882 miliardi di euro. In sostanza, la legge di bilancio distribuirà all’economia circa 23 miliardi, in disavanzo.
E la discussione sulle voci principali alle quali dirigere le risorse, per quanto tutt’altro che chiusa, è così avanzata da lasciar intravedere alcuni punti di sbocco. Il cuore della legge di bilancio è negli impegni già iscritti nella legge delega sul fisco approvata martedì. Fra questi, il più importante riguarda il taglio per almeno 5 o 6 miliardi del cuneo fiscale, ossia dello scarto fra il costo del lavoro per i datori e la somma netta percepita dai dipendenti. Proprio martedì il ministro dell’Economia Daniele Franco ha ricordato che in Italia il cuneo per un lavoratore con un reddito medio è del 5% superiore alla media degli altri Paesi europei e di 11% alla media dei Paesi Ocse.
Chi lavora in Italia guadagna relativamente poco anche se i costi lordi elevati per il datore di lavoro bloccano la creazione di nuovi posti. L’attenzione si concentra su uno scaglione dell’imposta sui redditi personali (Irpef), quello dell’aliquota marginale al 38% (con un salto netto da quella precedente al 27%) che colpisce i sette milioni di italiani con un reddito fra 28mila e 55mila euro. Ma per ridurre in maniera percepibile questo scarto non bastano i quattro miliardi che dovrebbero emergere entro il 2024 dalla lotta all’evasione. Franco, dice il Corriere, sembra determinato a usare le risorse disponibili per un taglio almeno da sei miliardi. Si capirà in anni a venire come sarà finanziato quando la politica di bilancio non potrà più restare espansiva.
La legge finanziaria si misurerà poi con due eredità del governo gialloverde: quota 100 e reddito di cittadinanza, che nel 2022 costerebbe tre miliardi di più per gli strascichi sociali della crisi. Quanto a quest’ultimo, il governo pensa a meccanismi più stringenti di accesso e mantenimento dell’assegno. Invece per rendere graduale l’innalzamento dell’età del ritiro da 62 a 67 anni dopo quota 100, con criteri sui lavori gravosi, lo stanziamento potrebbe essere di 2,5-3 miliardi.
Ci sono poi i nuovi ammortizzatori sociali più universali chiesti dal ministro del Lavoro Andrea Orlando per dire definitivamente addio al blocco dei licenziamenti. L’inclusione delle piccole e piccolissime imprese nella cassa integrazione, commercio al dettaglio incluso, potrebbe poi costare 4,5-5 miliardi. Andrea Orlando ne chiedeva prima 10, poi è sceso a 8 miliardi.
E poi c’è la questione inflazione. Indotto dallo shock energetico e dalle strozzature nelle filiere industriali, l’aumento dei prezzi al consumo rischia di erodere il potere d’acquisto delle pensioni. Queste ultime però sono ancorate proprio al carovita, per l’esattezza sono indicizzate all’inflazione sulla base di un metodo di calcolo che scade alla fine di quest’anno. La sostanza è che il governo dovrà trovare risorse per circa 2 miliardi destinate a compensare la perdita di potere d’acquisto dei pensionati. Erano molti anni che non accedeva, non su queste entità.