Piogge intense, che hanno causato allagamenti, fermato treni urbani e metropolitane, alimentato pesantissime frane, con conseguenti danni al patrimonio storico e artistico. Ma anche trombe d’aria, esondazioni fluviali, prolungati periodi di siccità e temperature estreme. Sono alcuni dei principali eventi estremi che continuano, sempre più frequentemente, a flagellare la nostra Penisola. Spesso piegandola.
Secondo il nuovo rapporto di Legambiente “Osservatorio CittàClima”, dal 2010 al 2021 sono stati oltre 1100, 133 solo nell’ultimo anno, in aumento del 17% rispetto alla passata edizione del rapporto. A questo triste bollettino se ne aggiunge uno ancora più preoccupante: la perdita di vite umane. Duecentosessantuno negli ultimi dieci anni, 9 solo nei primi mesi del 2021.
Secondo i dati pubblicati, gli impatti più rilevanti degli eventi climatici estremi si sono registrati in 602 comuni italiani, 95 in più rispetto allo scorso anno (quasi +18%). Tra le città più colpite ci sono Roma, dove dal 2010 al 1° novembre 2021 si sono verificati 56 eventi, 9 solo nell’ultimo anno, di cui oltre la metà hanno riguardato allagamenti a seguito di piogge intense. Altro caso importante è quello di Bari con 41 eventi, principalmente allagamenti da piogge intense e danni da trombe d’aria. Poi Milano, con 30 eventi totali, dove sono state almeno 20 le esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro in questi anni. Le aree più sottoposte agli effetti di questi eventi sono dunque soprattutto quelli urbane ma anche i territori costieri, dove la cronaca degli episodi di maltempo e dei danni è senza soluzione di continuità. È il caso, ad esempio, della costa romagnola e nord delle Marche, con 42 eventi estremi registrati e della Sicilia orientale e della costa agrigentina con 38 e 37 eventi estremi.
Il riscaldamento del Mediterraneo
Il clima mediterraneo, classicamente piuttosto mite, si sta estremizzando sempre più. «Il riscaldmento globale di origine antropica sta facendo estendere verso nord la circolazione equatoriale e tropicale. In questo modo siamo sempre più colpiti dai caldissimi anticicloni africani, invece di essere sotto la protezione del più mite anticiclone delle Azzorre» – ha spiegato a Greenkiesta il fisico del clima Antonello Pasini, che su questo tema ha scritto il libro “L’equazione dei disastri. Cambiamenti climatici su territori fragili” – «Quando poi gli anticicloni africani si ritirano sul Sahara lasciano un territorio e soprattutto un mare molto caldo che, quando scendono correnti da nord o nord-ovest più fredde o anche solo più fresche, creano un contrasto termico molto forte e forniscono vapore acqueo ed energia dal basso ai sistemi atmosferici, rendendoli più violenti ed estremi».
Citando un recente articolo scientifico sull’andamento futuro dei cicloni nel Mare Nostrum, Pasini ha spiegato che in futuro potranno diventare più violenti anche se forse meno frequenti. «Io interpreto questi dati come l’evoluzione di una situazione che già si sta vedendo: l’espandersi verso nord degli anticicloni africani terrà probabilmente questi cicloni più lontani da noi ma il contrasto termico maggiore col mare più caldo potrà renderli più violenti. E questo è solo il fattore climatico. Per calcolare il rischio da eventi estremi e dunque i danni vanno considerate anche la vulnerabilità del territorio e l’esposizione dei nostri beni e delle nostre persone. Anche in questo caso in Italia non siamo messi bene, perché i territori, spesso a causa di un’antropizzazione esagerata, sono molto fragili, soprattutto all’arrivo di piogge violente che non hanno la possibilità di essere assorbite ma defluiscono in superficie, facendo diventare le strade dei fiumi in piena. Spesso, inoltre, ci esponiamo in zone dove non dovremmo, magari impegnandoci in abusi che ci si ritorcono contro».
Un piano nazionale per adattarsi al clima
Con la pubblicazione del suo ultimo rapporto, Legambiente ha voluto sottolineare l’urgenza di approvare il prima possibile il Piano nazionale di adattamento al clima. Infatti, a differenza di 23 Paesi dell’Unione europea, con l’aggiunta del Regno Unito, l’Italia non ne ha ancora adottato uno. Eppure, un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) esiste: è stato elaborato con un progetto finanziato dal ministero dell’Ambiente e coordinato dal Cmcc, il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, ed è stato sottoposto a revisione. Tuttavia, dal 2018 è in attesa di approvazione della Valutazione Ambientale Strategica.
Come aveva spiegato in una recente intervista su Scienza in Rete il climatologo all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) Sergio Castellari, il Piano ha anche il problema di non includere, perlomeno attualmente, una pianificazione finanziaria e una possibile allocazione dei fondi. Eppure, come ha confermato Pasini, necessitiamo di un piano con indicazioni operative. «Sarebbe importante in sé, ma soprattutto potrebbe indicare il modo concreto per stilare piani comunali, indispensabili per proteggere beni e popolazione, perché gli impatti si vedono localmente e sono gli amministratori locali a conoscere il territorio e le sue necessità di adattamento, sia in prospettiva futura, sia in situazioni contingenti ed emergenziali», ha sottolineato il fisico del clima.
«Quello che la mappa e i dati del rapporto CittàClima mettono in evidenza è che i territori non sono tutti uguali di fronte a questi fenomeni, in alcune aree del Paese si ripetono con più intensità e creano maggiori danni e, dunque, occorre che siano le priorità delle politiche di adattamento» – ha spiegato il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini. «Oggi non è così, perché il nostro Paese non ha un piano che individui strategie e interventi più urgenti, per cui il rischio è che anche le risorse del Pnrr siano sprecate. Siamo rimasti gli unici in Europa in questa situazione, pur essendo uno dei Paesi che conta i danni maggiori. Per questo dobbiamo valorizzare i sistemi di analisi, le competenze e le tecnologie di cui disponiamo per monitorare gli impatti e per comprendere come ripensare gli spazi delle città, in modo da mettere in sicurezza le persone e cogliere questa opportunità per renderli anche più vivibili».