La fine del fossileAnche il Portogallo ha scelto di dire addio al carbone

Con la chiusura dell’ultimo impianto nazionale, la centrale di Pego, il Paese iberico è diventato il quarto Stato dell’Ue a rinunciare a questo combustile. Ora bisogna capire come riuscirà a impegnarsi nella scelta di fonti di energia non inquinanti, investendo soprattutto nelle rinnovabili

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Dopo Austria, Belgio e Svezia anche il Portogallo ha detto addio al carbone. Con la chiusura dell’ultima centrale ancora attiva sul territorio nazionale, l’impianto di Pego, il 20 novembre il Paese iberico è diventato il quarto Stato dell’Unione europea a non dipendere più da questo combustile fossile per la produzione di energia elettrica. La centrale, edificata a Abrantes, nel distretto di Santarém, avrebbe dovuto abbassare le saracinesche a fine novembre, ma la mancanza di carbone come materia prima ha imposto la chiusura anticipata.

Secondo quanto spiegato sul Portugal News, la centrale, responsabile del 4% delle emissioni nazionali, è stato il secondo impianto del Paese in termini di emissioni di anidride carbonica negli ultimi dieci anni, subito dopo quello termoelettrico di Sines, chiuso lo scorso gennaio. In termini assoluti, le emissioni medie annue di gas climalteranti della centrale di Pego tra il 2008 e il 2019 sono state di 4,7 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

La decisione del Paese iberico arriva nove anni prima della deadline stabilita per affrancarsi dal combustibile fossile: il percorso di rehab è iniziato nel 2017, con l’adesione all’Alleanza contro il carbone – la Powering Past Coal Alliance – lanciata dalle allora ministre dell’ambiente canadese, Catherine McKenna, e inglese, Claire Perry, durante i lavori della COP23 di Bonn. Un segnale positivo era arrivato anche alla recente COP26, in cui il Portogallo si è espresso a favore dell’abbandono dei combustibili fossili aderendo come associate member alla Beyond Oil and Gas Alliance (Boga), assumendo impegni concreti in termini di riduzione delle fonti di energia non rinnovabile.

L’uscita del Portogallo dal carbone arriva dopo che la Commissione europea aveva annunciato che l’avrebbe citato in giudizio per non aver preso provvedimenti sulla scarsa qualità dell’aria. Il Paese, infatti, registra tra i più alti livelli di biossido di azoto d’Europa a causa del traffico stradale, e in particolare dei veicoli diesel. Il gas, responsabile di complicazioni a livello cardiaco e respiratorio, viene emesso anche da centrali elettriche e fabbriche. 

Secondo la Commissione europea, lo Stato iberico avrebbe «continuamente e costantemente» superato il limite annuale di biossido di azoto in tre zone di qualità dell’aria a Lisbona, Porto e Minho. E nonostante due avvertimenti, uno nel 2019 e uno nel 2020, non è riuscito ad adottare nuove misure per ridurre l’inquinamento da biossido di azoto.

Ad oggi, nonostante una buona parte del 60-70 per cento della sua elettricità provenga da fonti rinnovabili, lo Stato fa ancora molto affidamento sui combustibili fossili importati per soddisfare le necessità energetiche nazionali. Non è un caso se il governo ha annunciato che il fabbisogno interno sarà coperto da una quota crescente di rinnovabili ma anche dal gas e che parte dell’energia necessaria per soddisfare il fabbisogno nazionale verrà acquistata energia dall’estero, soprattutto da Spagna, Francia e Germania. 

Secondo Francisco Ferreira, presidente dell’associazione portoghese ambientalista nata nel 2015 Zero: «Abbandonare il carbone solo per passare al prossimo peggior combustibile non è chiaramente una risposta. L’attenzione dovrebbe, invece, essere concentrata sul rapido potenziamento della nostra capacità di energia rinnovabile nel settore eolico e solare». Per Kathrin Gutmann, direttrice della campagna di Europe Beyond Coal: «La sfida ora è garantire che i servizi pubblici non commettano l’errore di sostituire il carbone con gas fossile o biomassa insostenibile».

Nonostante la notizia della chiusura dell’impianto di Pego sia stata accolta con favore, anche alla luce delle polemiche emerse durante la Cop26 di Glasgow per la presa di posizione dell’India, ma anche di altri Paesi, che ha comportato la sostituzione del termine phase out (uscita) dal carbone per la produzione energetica con il termine phase down (diminuzione), ora il problema è infatti capire come sarà convertita la centrale.

La possibilità che venga adibita a bruciare pellet di legno non convince l’associazione Zero, in quanto si tratterebbe di una opzione non sostenibile, soprattutto in Paese che, come il Portogallo, presenta scarsità di biomassa forestale residua e che, nel raggio di pochi chilometri, dispone di molti impianti di biomassa e industrie forestali che si contendono il materiale forestale residuo. «Questa è una soluzione inefficiente e contraddittoria con gli obiettivi di trattenere il carbonio nella foresta e nel suolo e non si traduce in un valore aggiunto significativo rispetto ad altre soluzioni di mitigazione del clima».  

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