C’è chi preferisce consumarlo come digestivo o la mattina come motivo di salute. C’è chi si limita a metterlo sull’insalata e a variare la scelta del condimento tra balsamico o naturale, o in base ai mesi di invecchiamento, a seconda della pietanza nel piatto. C’è chi ha coscienza di ciò che fa e chi si fa incantare da colori e consistenze. Aromi, tutt’al più. Proviamo a fare chiarezza a partire dal momento dell’incontro, tra gli scaffali del supermercato.
Consumare informati
Il settore dell’Aceto Balsamico di Modena IGP include 64 acetaie, 380 operatori 600 addetti al settore e 300 impiegati. Insieme producono 91 milioni di litri per un fatturato al consumo pari a 920 milioni di euro. In questo dato ricade sia la produzione di balsamico venduto tal quale sia la porzione destinata ai prodotti composti come glasse, creme e condimenti. I volumi prodotti finiscono per lo più all’estero (92%) con un prezzo medio per l’Igp di circa 10 euro, che sale a 40 per il prodotto Igp invecchiato (dati: Consorzio tutela aceto balsamico di Modena Igp 2020).
Davanti allo scaffale di un supermercato dove, se siamo fortunati, ci sono una decina di etichette, tutt’al più siamo in grado di distinguere ed essere confortati dalla presenza del marchio Consorzio tutela Aceto balsamico di Modena. Ma anche se l’Italia è il primo Paese produttore di aceto balsamico al mondo, tra le corsie della Gdo non abbiamo una vasta gamma di prodotti tra cui scegliere. «L’Aceto Balsamico di Modena Igp è un marchio importante – spiega Julia Prestia, proprietaria della tenuta Venturini Baldini, di cui fa parte anche il progetto Acetaia di Canossa – che raggruppa una vasta offerta con qualità molto diverse tra loro. Ma i consumatori non sono educati e formati per fare una scelta consapevole: non tutti sanno cosa c’è dentro un aceto balsamico Igp (per lo più, uve dell’Emilia Romagna)».
L’Aceto Balsamico di Modena Igp si riconosce dal contenitore e dall’etichetta; può essere commercializzato in contenitori di vetro, legno, terracotta o ceramica, di qualsiasi forma, con capacità minima di 250 ml (a eccezione di confezioni monodose) e massima di 5 lt (per uso professionale). Sull’etichetta deve comparire la denominazione “Aceto Balsamico di Modena” seguita dalla dicitura “Indicazione Geografica Protetta” oppure dal suo acronimo “Igp”. In etichetta deve essere indicato il sito di imbottigliamento o il codice dell’imbottigliatore.
Ma ci sono anche altre diciture a cui guardare. Dopo aver rilevato la tenuta Venturini Baldini insieme al marito Giuseppe, Julia Prestia ha scelto di dedicarsi anche al progetto Acetaia di Canossa. Sorta nel 1700 e mai distrutta, entrare in questo luogo è un modo per fare un salto indietro nel tempo. Questa è la più antica e la più ampia acetaia di Reggio Emilia, dove si produce l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Dop in più di 400 antiche botticelle. «Poi abbiamo creato dei condimenti balsamici che riprendono la storia del tradizionale, declinandola in prodotti di uso di ogni giorno. Ne è nata la Goccia Collection, in cui c’è il Goccia nero, un misto di mosti di lambrusco; il Goccia rosé, fatto con mosto di uva Ancellotta per dare un po’ più di acidità e invecchiato 5 anni; infine c’è il Goccia Bianca, fatto da mosto di malvasia invecchiato cinque anni».
Come nasce l’oro nero di Modena
Allora facciamo un passo indietro e cerchiamo di leggere la storia di questo prodotto dall’inizio. L’Aceto Balsamico di Modena Igp è ottenuto con una particolare e tradizionale tecnologia dai mosti d’uva parzialmente fermentati, cotti e/o concentrati, ottenuti da uve provenienti esclusivamente da vitigni di Lambrusco, Sangiovese, Trebbiano, Albana, Ancellotta, Fortana e Montuni. Le fasi di produzione fondamentali sono cinque: la concentrazione, la miscelazione, l’acetificazione e affinamento, l’invecchiamento e la certificazione.
Ci sono numerose notizie storiche sull’Aceto Balsamico di Modena. La cottura del mosto d’uva era in uso già tra gli antichi Romani: nelle Georgiche di Virgilio, poeta originario della vicina terra mantovana, si legge che era bevuto fresco o era concentrato mediante bollitura, e che era utilizzato come medicinale, ma anche in cucina come dolcificante e condimento per la carne. La tradizione di produrre un aceto “particolarissimo” in un’area circoscritta come quella modenese e la limitrofa reggiana trova poi memoria nell’anno 1046, in occasione del passaggio per la valle Padana dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Enrico III, che, come narra il monaco benedettino Donizone, “aveva la brama di gustare quell’aceto perfettissimo”.
La prima vera culla produttiva dell’aceto balsamico sono le acetaie della corte Estense a Modena attive fin dal 1289. Ancora ai primi del 1500, in occasione della nascita del primo figlio, Lucrezia Borgia, moglie di Alfonso I d’Este, Duca di Modena, aveva sperimentato l’uso di questo aceto come toccasana nel momento del parto. L’aggettivo balsamico accanto alla parola aceto fa la sua comparsa nel 1747: la si ritrova nel “Registro delle vendemmie e vendite dei vini per conto delle cantine Segrete Ducali”. Incanta il mondo nel 1800 durante le esposizioni di Genova, Firenze e Bruxelles. Nello stesso periodo si consolidano le dinastie dei produttori. Nel 1993, per iniziativa dei produttori, è nato il Consorzio Aceto Balsamico di Modena, per conseguire il riconoscimento della IGP europea (Indicazione geografica protetta), ottenuta nel 2009. Il Consorzio rappresenta circa l’80% della produzione certificata.
Nonostante le numerose fonti storiche e l’alta concentrazione di produttori in Italia, ancora poco si sa di questo prodotto ormai reperibile anche nella grande distribuzione. Bisogna specificare che la sigla IGP è associata a quei prodotti nati nelle province di Modena e Reggio Emilia. Qui le uve godono di un clima semicontinentale, mitigato dalla vicinanza con il mare Adriatico. Gli inverni sono rigidi, le estati calde e umide, con primavera e autunno miti. Queste condizioni pedoclimatiche influenzano in modo determinante il processo di maturazione e invecchiamento dell’aceto balsamico.
Occhio al prezzo
Tornando al nostro scaffale, il primo fattore da valutare per l’acquisto di una bottiglia di aceto balsamico è il prezzo. Un prodotto di fascia bassa si attesterà attorno ai 4-5 euro, uno di fascia media tra i 5-10 euro, mentre uno aceto balsamico di fascia alta non potrà costare meno di 10 euro per arrivare a un massimo di 25 (sempre rimanendo tra le corsie della grande distribuzione). Un prodotto IGP di fascia bassa avrà al suo interno molto aceto di vino e poco mosto. Per quelli non a marchio, non deve sorprendere la presenza di caramello o coloranti. Un aceto balsamico di fascia media, magari bio, avrà più mosto. Per i prodotti di fascia alta, oltre a una maggiore quantità di mosto, troveremo anche un invecchiamento di almeno due anni, responsabile dell’aumento della densità e della raffinatezza del prodotto. Ma non cercate gli anni di invecchiamento in etichetta: non è possibile indicarlo. L’unica dicitura ammessa dal disciplinare è “invecchiato” o “non invecchiato”.
Come si degusta
Passiamo alla fase di degustazione. Iniziamo col dire che l’aceto balsamico si degusta con un cucchiaio di plastica o di porcellana. Infatti, il metallo influenza il sapore della sostanza, mentre gli altri materiali si mantengono neutrali rispetto all’alimento. «È importante assaggiarlo in piccola quantità perché altrimenti diventa difficile percepirne gusto e aromi». Dopo averne versate alcune gocce sul cucchiaio, si passa a valutare anche alcuni elementi estetici come la densità e il colore, fattori collegati all’invecchiamento. Più tempo un aceto balsamico porta sulle sue spalle, più sarà denso. Al gusto, un prodotto di fascia bassa si rivelerà molto acido, uno di fascia media avrà un sapore agrodolce, mentre laddove ci si sarà spinti più avanti nell’invecchiamento si percepirà la dolcezza in modo spiccato. Nello specifico l’Aceto Balsamico di Modena IGP si presenta limpido e brillante, di colore bruno intenso, tendente al nero, di sapore agrodolce con armonia fra acidità e dolcezza (acidità totale minima 6%), con un profumo leggermente acetico e delicato, durevole con eventuali note legnose.
Le nuove frontiere del foodpairing
Negli ultimi decenni si è giocato spesso a intercettare i connubi più riusciti tra aceto balsamico e cibo. Il condimento ha mostrato una grande versatilità, abbinandosi perfettamente a piatti semplici e veloci, ma anche a una cucina più raffinata. L’accostamento più riuscito secondo il Consorzio sembra quello con il Parmigiano Reggiano, prodotto DOP del territorio: lasciato cadere goccia a goccia sul formaggio si può assaporare un’unione ineguagliabile di fragranze aromatiche, sfumature e gusti morbidi.
Si può giocare anche con piatti di pesce, dal baccalà al salmone, con tortellini e pasta all’uovo, ma anche con carni bollite. In quest’ultimo caso si può mescolare l’aceto balsamico a delle salse. «Su una tagliata di manzo, meglio preferire un prodotto molto denso e invecchiato, per contrastare il salato», spiega Prestia. L’aceto balsamico si sposa bene anche con frittate, insalate di verdure cotte e crude, nonché con frutta e dolci al cucchiaio, dove riserva sorprese interessanti. Lo studio degli abbinamenti è un primo passo verso una maggiore costruzione di consapevolezza gastronomica, che parte dalle nostre dispense, ma che dovrebbe essere prima di tutto promossa dai ristoranti. Mentre si ragiona sull’introduzione di una carta dei caffè, dopo aver salutato con interesse le liste di acque e oli, è forse giunto il momento di pensare anche a un menu dedicato all’aceto balsamico. Come spiega Julia Prestia «non esiste un solo olio per tutte le portate: perché dovrebbe essere così per l’aceto balsamico?».