Oggi c’è lo stesso numero di persone che vivono senza elettricità che c’era quando Thomas Edison accese la sua prima lampadina e più della metà si trova nell’Africa subsahariana. L’Europa e le Americhe sono quasi completamente coperte dall’elettricità e l’Asia sta per raggiungerle, ma il numero di africani che ne sono privi rimane costante. Un rapporto pubblicato a maggio dalla World Bank prevede che, data la tendenza attuale, entro il 2040 potrebbe esserci ancora mezzo miliardo di persone senza elettricità nell’Africa subsahariana.
Perfino chi ne dispone non può farci affidamento: il rapporto evidenzia che in Tanzania i blackout sono stati così frequenti nel 2013 che le società hanno perso il quindici per cento dei loro incassi annuali.
I ghanesi chiamano la loro energia ballerina dum/sor, ovvero on/off. Vivian Tsadzi, un’imprenditrice che vive non lontano dalla diga di Akosombo, alla quale si deve un terzo dell’energia nazionale, ha dichiarato che per la maggior parte del tempo «l’impianto è dum dum dum dum». Il responsabile della diga per la produzione di energia idroelettrica Kwesi Amoako, che è andato in pensione l’anno scorso, mi ha confessato di essere orgoglioso della diga, grazie alla quale è stato creato il lago artificiale più grande del mondo.
Ma non esiste un modo semplice per aumentare la capacità idroelettrica del Paese, e la siccità causata dai cambiamenti climatici ha reso il sistema superfluo; ciò significa che il Ghana dovrà cercare l’elettricità altrove. «Ho sempre pensato che dovremmo puntare soprattutto sull’energia solare domestica», ha detto Amoako. «E credo che dovremmo cominciare con impianti autonomi; i consumatori non aspettano altro».
L’elettrificazione dell’Africa è una delle più grandi sfide legate allo sviluppo. Fino a poco tempo fa la maggior parte della gente immaginava che l’elettrificazione del continente sarebbe avvenuta come nel resto del mondo. «Si tendeva a credere che l’Africa avrebbe avuto la rete americana», mi ha spiegato Xavier Helgesen, cofondatore e amministratore delegato della Off‐Grid Electric. «Ma l’America è la nazione più ricca del pianeta e non è stata completamente coperta dall’elettricità fino agli anni Quaranta, quando tutto – il rame per i cavi, il legno per i pali, il carbone e il capitale – si otteneva con poco. Ora non è più così, almeno non da queste parti».
L’energia solare, d’altro canto, è diventata economica, in parte perché il prezzo dei pannelli solari è sceso nello stesso momento in cui l’efficienza delle lampadine e dei dispositivi è drasticamente aumentata. Nel 2009 una lampadina fluorescente compatta e una batteria al piombo costavano circa quaranta dollari; ora, utilizzando lampadine e batterie agli ioni di litio si ottiene una quantità di luce quattro volte superiore allo stesso prezzo. Nel 2009 una radio, un caricatore per cellulari e un sistema solare sufficientemente grande da garantire quattro ore al giorno di luce e televisione sarebbero costati a un keniota mille dollari; ora il prezzo è di trecentocinquanta dollari.
Il presidente Trump ha deriso l’energia rinnovabile definendola «nient’altro che un modo costoso per far contenti i fanatici dell’ambiente». Tuttavia molti imprenditori occidentali vedono l’energia solare in Africa come un’opportunità per creare un vasto mercato e per realizzare un considerevole profitto. Si tratta di un’industria nascente, che al momento costituisce una piccola percentuale dell’intero sistema di elettrificazione in quella regione ed è perlopiù confinata alle aree rurali. C’è molta incertezza sul suo futuro e nessuna garanzia che si diffonderà con la stessa rapidità dei telefoni cellulari. Nondimeno, negli ultimi diciotto mesi queste società hanno fornito energia a centinaia di migliaia di utenti, molti dei quali vivono in aree non coperte dalla rete, nonostante quest’ultima abbia avuto un vantaggio di cento anni.
I fondi, molti dei quali stanziati da investitori privati che operano a Silicon Valley e in Europa, stanno confluendo in questo settore – più di duecento milioni di dollari in capitale di rischio lo scorso anno, rispetto ai diciannove milioni del 2013 –, e grazie ai nuovi finanziamenti le società stanno rapidamente espandendo le loro operazioni. La M‐Kopa, un’azienda emergente che ha iniziato la sua attività in Kenya nel 2011, ha attualmente mezzo milione di consumatori di energia solare, che usufruiscono della formula pay-as-you-go (“pagamento a consumo”).
La d.light, una società rivale che ha uffici in California, Kenya, Cina e India, ha dichiarato di aggiungere ottocento nuove abitazioni al giorno. Nicole Poindexter, fondatrice e amministratore delegato della Black Star, mi ha riferito che ogni milione di dollari raccolto dalla società in capitale di rischio fornisce elettricità a settemila persone. Poindexter si aspetta che la Black Star diventi redditizia entro i prossimi tre anni.
Come molti degli imprenditori americani che ho incontrato in Africa, Poindexter si è formata nel settore finanziario. Laureata alla Harvard Business School, ha lavorato come operatrice finanziaria esperta di derivati prima di diventare responsabile delle strategie di sviluppo per la Opower, una piattaforma software per gli utenti dei servizi pubblici che è stata comprata da Oracle lo scorso anno. (A differenza degli altri imprenditori, perlopiù bianchi e maschi, Poindexter è afroamericana).
Ha deciso di avviare la società nel 2015, dopo aver sentito parlare della povertà energetica. Ricorda di aver seguito in televisione le cronache sull’epidemia di Ebola in Liberia. «Sullo sfondo si sentiva tossire forte, e ho pensato: sarà qualcuno con l’Ebola», racconta. «E invece no: tossiva per via del fumo nella camera in fiamme».
Lo scorso anno nella comunità ghanese di Kofihuikrom, uno dei primi villaggi coperti dalla Black Star, la società ha installato ventidue pannelli solari. Oggi la clinica locale non è più costretta a far nascere i bambini alla luce di una torcia. Il capo del villaggio, Nana Kwaku Appiah, ricorda di essere stato così emozionato che all’inizio lasciava le luci accese in casa per tutta la notte. «I nostri parenti che vivono in città non venivano mai a trovarci. Ora lo fanno», ha detto.
da “I mercanti dell’energia”, di Bill McKibben, in “Terra fragile. Il cambiamento climatico nei reportage del New Yorker”, a cura di David Remnick e Henry Finder, Neri Pozza, 2021, pagine 512, euro 24