Da Greenkiesta PaperIl nuovo ordine globale fondato sull’idrogeno offrirà opportunità per tutti

Viaggio alla scoperta dell’elemento che trasformerà le rinnovabili nel nuovo petrolio. Un estratto tradotto dal libro “The Hydrogen Revolution”, scritto dal Ceo di Snam Marco Alverà e appena selezionato dal Financial Times tra le migliori letture a tema ambiente e clima. Noi l’abbiamo pubblicato sull'ultimo numero cartaceo di Greenkiesta

L’energia e la politica globale sono legate in maniera indissolubile. Ecco qualche esempio tra gli innumerevoli forniti dalla storia: per assicurarsi il controllo della fornitura di petrolio alla marina inglese, Winston Churchill nazionalizzò la Anglo-Iranian Oil Company, che sarebbe poi diventata la BP. Non passa anno senza che l’Unione europea faccia un tentativo per ridurre la dipendenza dal gas naturale russo (con successo limitato: nel 2010, questo copriva il 21 per cento del fabbisogno europeo e ora il 34 per cento). E a lungo c’è stata una “guerra fredda dell’energia”, dove gli Stati Uniti hanno corteggiato l’Arabia Saudita per le sue riserve di petrolio, mentre la Russia si è ingraziata un gigante degli idrocarburi come l’Iran.

Ora però è emersa una nuova storia, determinata dalla scoperta di enormi risorse di petrolio e di gas in America. Gli Stati Uniti si sono trasformati da Paese importatore a Paese esportatore di energia e di conseguenza assistiamo a un riavvicinamento tra la Russia e l’Arabia Saudita, unite per riequilibrare un mercato inondato dal petrolio e dal gas americano. Intanto, la Cina costruisce la sua influenza attraverso l’iniziativa Belt and Road, con cui finanzia progetti infrastrutturali ed energetici nei Paesi in via di sviluppo per ottenere accesso alle loro risorse, e ora anche l’Europa e gli Stati Uniti stanno meditando se creare un’iniziativa alternativa per finanziare infrastrutture in giro per il mondo.

Il rapporto ineluttabile tra energia e geopolitica è stato sottolineato dal presidente americano Joe Biden al Summit sul Clima dell’aprile 2021, che ha riunito 40 leader da tutto il mondo, quelli che guidano Paesi alleati come l’Inghilterra e altri Stati europei, ma anche quelli di Russia, Cina e Arabia Saudita.

L’energia è un elemento chiave fondamentale della politica globale perché, se non ci fosse, non si potrebbe fare quasi niente. L’energia ci serve per tenere accese le luci, alimentare l’industria, garantire carburante alle flotte. Con l’avvento dell’automazione e dell’intelligenza artificiale, il lavoro a basso costo e specializzato non costituirà più un vantaggio competitivo significativo a livello globale. Lo sarà, invece, l’energia a basso costo. Quindi, se i costi del lavoro diminuiranno di importanza e quelli dell’energia diventeranno sempre più decisivi, il risultato sarà che i costi dell’energia e la crescita economica avranno un rapporto sempre più stretto.

Per averne un’idea, basta pensare a coloro che generano Bitcoin in Siberia, dove il gas naturale è ultra-economico. Per creare Bitcoin vengono usati così tanti computer che servono enormi quantità di energia. A livello globale, questa attività consuma 121 terawatt/ora all’anno, più di quanto non faccia l’Argentina.

Non sorprende allora che i ministri degli Esteri di tutto il mondo abbiano cercato, finora, di muoversi nell’ordine globale orientandosi con la mappa dei giacimenti di petrolio e di gas, dedicando particolare attenzione ai Paesi del Golfo, alla Russia e agli Stati Uniti. Questo però riguarda i problemi di ieri. Oggi dovrebbero utilizzare una mappa diversa, che indichi piuttosto i Paesi più promettenti sul piano delle risorse rinnovabili, e cioè quelli che hanno un grande potenziale di energia eolica e solare per produrre idrogeno.

Perché si dovrebbe barattare la prima mappa per la seconda? Parte della risposta sta nel fatto che si sta avvicinando il momento in cui le fonti rinnovabili diventeranno più economiche rispetto alla maggior parte dei carburanti fossili. Ma anche in quel caso l’energia delle rinnovabili rimarrebbe principalmente una questione locale. Il vero elemento rivoluzionario è l’idrogeno, che ci permette di spostare l’energia solare ed eolica lungo grandi distanze attraverso reti apposite o con l’impiego di navi. L’idrogeno trasformerà le rinnovabili nel nuovo petrolio, cioè la forma di energia dominante che potrà venire commercializzata in tutto il mondo.

Far sì che l’energia rinnovabile diventi globale e che la si possa scambiare anche a distanza potrebbe cambiare fin nelle sue basi l’equilibrio del potere economico. È una prospettiva interessante per tutti i Paesi che ne hanno grandi disponibilità, tra cui molte nazioni africane, il Medio Oriente, il Sudamerica e l’Australia. In questo caso non ci servirebbe soltanto una nuova mappa delle forniture di energia, ma anche una mappa della sua domanda, dal momento che alcune aree del mondo avranno presto una rapida crescita demografica ed economica.

Nel sovrapporre le due mappe, quella delle risorse a quella dei nuovi centri di domanda, dobbiamo ricordare che le tubazioni costano meno che trasportare l’idrogeno liquido e l’ammoniaca via mare (a meno che al punto di arrivo non sia richiesto idrogeno liquido in modo specifico). Perciò il mercato dell’idrogeno somiglierà un po’ a quello del gas, con sistemi regionali collegati da reti cui si aggiungerà una parte, in forma liquida, che si sposterà lungo i mari del mondo.

Il grande gioco in Africa
L’Africa sarà il perno centrale del nuovo ordine globale fondato sull’idrogeno. Ne avrà ampie risorse. Il deserto del Sahara è la zona più soleggiata del mondo. In più, sul lato della domanda, l’Africa sarà un mercato attraente e in crescita. Nei prossimi 80 anni la popolazione del continente – secondo le proiezioni – triplicherà fino a raggiungere i tre miliardi e la Nigeria diventerà il secondo Paese più popoloso sulla Terra, superando la Cina. Nel 2030, l’Africa comprenderà cinque città con oltre 10 milioni di abitanti, e 12 con più di cinque. Per nutrire questo enorme mercato di energia in espansione assisteremo a un grande sviluppo delle rinnovabili, mentre l’energia in eccesso sarà esportata. È impossibile sopravvalutare gli effetti sul continente di questa rivoluzione. Innanzitutto, la distribuzione del solare è molto più imparziale rispetto a quella dei combustibili fossili. Paesi africani come la Somalia e l’Etiopia, che non hanno avuto fortuna nella lotteria delle risorse, avranno la possibilità di produrre l’energia di cui avranno bisogno. Sarà un’opportunità che coglieranno con piacere e che determinerà un cambiamento di equilibri in tutto il continente.

Allo stesso tempo, però, le linee elettriche sono relativamente care da costruire, e l’Africa è molto grande. Se si aggiunge il fatto che i fabbisogni energetici sono meno stagionali rispetto a quelli del Nord Europa, si vedrà che anche i sistemi di distribuzione dell’energia assumeranno un ruolo sempre più grande: qui ogni abitazione si procurerà l’energia necessaria usando i pannelli solari o connettendosi a reti locali più piccole. Penso che l’idrogeno avrà un grande ruolo anche nel soddisfare le necessità energetiche locali, soprattutto a livello di stoccaggio e stabilità.

La priorità dovrebbe essere quella di generare energia pulita per sostenere lo sviluppo dell’Africa. C’è una lunga storia di accordi estrattivi da superare. Lo sviluppo delle rinnovabili deve apportare benefici alla popolazione locale, non danni – e questo significa prestare molta attenzione all’uso della terra (solo perché è vuota non significa che non appartenga già a qualcuno), alle risorse d’acqua e ad altri elementi di analogo rilievo. Significa anche assicurarsi che le nazioni africane traggano vantaggio dai nuovi lavori, dalla formazione, dallo sviluppo delle supply chain locali e da una maggiore stabilità energetica.

Le eccedenze da esportare
Sulla nostra mappa ci sono anche altri luoghi ventosi e soleggiati, che coincidono con Paesi che adesso producono gas e petrolio. Per loro è un’ottima notizia: queste regioni hanno la possibilità di mantenere il loro ruolo anche se viene abbandonata la produzione di carburanti fossili. Significa, oltretutto, che potranno essere riutilizzate almeno in parte le infrastrutture già in uso. I Paesi produttori di petrolio apprezzano l’idrogeno perché permette di sfruttare le loro ampie risorse solari ed eoliche, cosa che avviene già in Africa del Nord, nel Golfo Persico e in Australia.

L’Arabia Saudita sta già puntando sull’idrogeno. Il più grande progetto per l’idrogeno verde del mondo, al momento – merito del gigante delle rinnovabili Acwa Power e della compagnia di gas industriale Air Products – sarà situato nella città transfrontaliera Neom, che costituirà un “nuovo modello per la vita sostenibile” nel Nord-Ovest del Paese. È un colossale progetto da cinque miliardi, che integra 4 GW di energia rinnovabile da fonti eoliche e solari (dovrebbe coprire un’area di 80 chilometri quadrati) trasformandole in 650 tonnellate di idrogeno al giorno grazie alla tecnologia ThyssenKrupp-De Nora, a cui si aggiungerà azoto per creare ammoniaca da esportare in tutto il mondo.

Anche l’Australia ha già deciso di impiegare la sua energia solare per creare ammoniaca da esportazione. È il Paese che riceve più luce solare per metro quadrato al mondo, mentre venti molto forti colpiscono le sue coste meridionali e occidentali. Si può guadagnare molto esportando il solare in Giappone o in Corea del Sud, che si affidano a combustibili fossili e hanno un potenziale limitato per generare energia da soli.

Entrambi i Paesi sanno che per raggiungere l’obiettivo emissioni zero, la strada migliore è quella di sostituire i combustibili fossili con l’idrogeno. Il Giappone punta, entro il 2050, a ottenere dall’idrogeno il 40 per cento di tutta la sua energia. E in Australia ci sono già almeno tre progetti sostenuti dal governo giapponese: Kawasaki Heavy Industries e Origin Energy stanno collaborando a un elettrolizzatore di 300 MW nel Queensland; la Iwatani Corporation, insieme alla Stanwell, lo fanno a Gladstone, mentre la Mitsubishi Heavy Industries sta investendo nel progetto Eyre Peninsula Gateway nell’Australia del Sud.

È chiaro, trasformare grafici e tabelle in realtà non è una cosa facile. Ci saranno rischi politici, problemi con la disponibilità di acqua, imprevisti nel processo di produzione degli elettrolizzatori, difficoltà nella logistica e tempeste di sabbia. Ma è una grande opportunità. Trasportare idrogeno in modo facile significa creare un mercato dell’energia fluido a livello globale, collegando continenti e spostando energia solare ed eolica da dove abbonda a dove è necessaria.

Come dice Alan Finkel, ex chief scientist del governo australiano, «l’impiego più spettacolare dell’idrogeno è la possibilità, per noi, di continuare a fare ciò che abbiamo fatto per secoli. Spostare energia da un continente dove è abbondante a un continente con grandi carenze».

Questo testo è la traduzione di un estratto dal libro The Hydrogen Revolution” (Hodder Studio, 2021), del Ceo di Snam Marco Alverà. Pubblicato sull’ultimo numero di Greenkiesta Paper, che puoi acquistare qui.