Dal 1980 a oggi, dal delitto di Giarre fino al ddl Zan. Il percorso dei diritti Lgbtq e la lotta per rivendicarli è stato lungo, accidentato e – va detto – imperfetto. Ma qualcosa è avvenuto, anche se ancora molto è da fare. L’importante è capire la prospettiva – e la strategia – migliore da adottare. Ne hanno parlato dal palco di Linkiesta Festival il giornalista Francesco Lepore, autore del libro “Il delitto di Giarre” (Rizzoli) e l’onorevole Ivan Scalfarotto, moderati dalla giornalista Simonetta Sciandivasci.
Tutto comincia dall’inizio, cioè dal caso dell’uccisione di Toni e Giorgio. I due ragazzini gay trovati assassinati – è il 1980 – nella provincia di Palermo. È una storia importante perché, per la prima volta, viene trattata dalla stampa «non come un episodio sordido di ambienti loschi, ma come un delitto omofobo». In reazione al caso viene fondato Arcigay a Palermo e comincia la stagione delle battaglie per i diritti degli omosessuali. È un momento fondante, insomma. «Il libro nasce da un articolo che ho scritto su Linkiesta», spiega Lepore. «Per scriverlo ho compulsato i documenti e gli articoli del tempo», ma è anche andato sui luoghi, ha sentito i parenti e le persone coinvolte nella storia. «La versione ufficiale fu quella di un omicidio compiuto da un infraquattordicenne, il cuginetto di uno dei due fidanzatini, che li avrebbe uccisi su loro richiesta perché non riuscivano a sostenere la loro condizione».
La realtà è diversa: «Dopo molta fatica, la sorella di Toni mi ha spiegato che i veri assassini erano dei familiari. Ora morti. Per cui si può dire che si era trattato di un delitto d’onore, fatto per lavare l’onta» di una cosa vergognosa. Il fascicolo del processo è andato perduto, e «le indagini erano durate soltanto tre giorni». Insomma, «Lotta Continua aveva scritto che “Toni e Giorgio” erano rimasti senza giustizia. Io spero di aver reso loro giustizia».
Il pensiero non può non andare – e viene portato da Simonetta Sciandivasci – al presente e al recente fallimento della ddl Zan. Sul tema c’è Scalfarotto, finito nel mirino delle contestazioni perché Italia Viva viene considerata, a torto o a ragione, tra i responsabili del naufragio della legge. «Una delle cose più interessanti del libro di Lepore – spiega Scalfarotto – è l’affresco di un’Italia e di una Sicilia che, per fortuna, non è più quella attuale. Il Paese in 40 non è più lo stesso. È diventato più corretto, più educato. Io ho un marito e lo posso presentare ai commensali di una cena, senza problemi. Nel 1975 il nuovo diritto di famiglia stabilisce la parità tra i coniugi, avendo rivoluzionato secoli di idee e abitudini».
Tutto questo, sottolinea «è il frutto dell’approccio del riformismo. Dei piccoli passi verso l’obiettivo. Ti carichi il peso di un cambiamento, accettando leggi imperfette, in vista di un miglioramento progressivo continuo». Non viene fatta la rivoluzione (servirebbe?) ma viene migliorata la società per tutti. Il principio è quello del compromesso. «Voi rinuncereste a una legge solo perché è imperfetta? Io mai».
Sul punto specifico del ddl Zan: «Italia Viva non ha cambiato idea», dice Scalfarotto. Ma non si può ragionare solo sui principi, serve farlo anche sulla strategia. «I numeri alla Camera e al Senato sono diversi. Servono tattiche diverse». La legge era andata avanti in Commissione solo grazie a un voto. Viene portata in aula con una forzatura, le destre chiedono di riportarla in Commissione e la proposta non passa – a voto palese – solo per un voto. «Questo vuol dire che a scrutinio segreto va sotto di 40, è una cosa che sa chiunque sia stato anche solo una settimana in Parlamento».
Scegliere di farlo, insomma, è una scelta suicida «che rivela non la volontà di far passare una legge, ma di cercare una battaglia». Un’operazione «cinica, fatta da chi aveva un pelo sullo stomaco che ci si possono fare le trecce», spiega Scalfarotto. «I militanti Lgbt fanno benissimo ad avere l’asticella alta, e mi aiutano per rappresentarli nelle battaglie che faccio da parlamentare». Ma quando serve un compromesso, occorre avere spazio di manovra. Altrimenti non fai il parlamentare ma fai il militante: «Il problema è che chi ha gestito questa legge ha fatto militanza. Monica Cirinnà lo ha detto: “andremo in aula a cercare la bella morte”».
Resta il fatto che le leggi sono una cosa, la realtà un’altra, e l’orizzonte della politica un’altra ancora. «È vero che non siamo più nel 1980», concede Lepore, «ma la mentalità stereotipica, violenta contro gli omosessuali (e non solo) c’è ancora. I casi continuano a essere riportati, sono in aumento. Nel caso specifico del delitto di Giarre, le famiglie continuano a parlarne come se i ragazzi non fossero omosessuali. Il parroco del paese, che voleva fare un funerale congiunto – cosa che venne rifiutata perché i familiari non erano d’accordo – è lo stesso che sosteneva che, in fondo, i gay cercano comunque di adescare gli altri. Questa convinzione la si ritrova, anche oggi, in ambienti di destra che pensano di poter “rieducare” i gay, di guarirli. La mentalità c’è ancora».
Sul caso Zan «tutti hanno avuto colpe». Ma per Lepore l’accusa più ingiusta e fastidiosa l’accusa che fosse una legge che non estendeva diritti, ma stabilva pene. «A parte l’infelice articolo iniziale definitorio», c’era solo un articolo penale. Tutti gli altri, anche piccoli, erano diritti.
Qui si arriva insomma al punto, come lo riprende Sciandivasci: le leggi hanno importanza sul piano culturale? Lei stessa ha ammesso di aver cambiato idea sul tema del femminicidio, definizione che all’inizio le appariva superflua e pretestuosa (perché distinguere l’uccisione di una donna rispetto a quella di un uomo?). Dietro alla legge c’è un pensiero, la volontà di cambiare mentalità. Vale anche per il ddl Zan. «Io penso che sia importante fare coming out. In Parlamento sono raddoppiati i gay dichiarati: da 3 a 5», ricorda con sarcasmo. Che mi risulti io sono l’unico a essere entrato al governo già da gay dichiarato». Ma la lotta per i diritti passa anche per i provvedimenti che aiutino le persone, per i modelli d chi è più o meno svantaggiato (come ha fatto Spadafora), non solo per le leggi.
I temi sono tanti: non può non toccare il tema del femminismo (classico vs intersezionale), una divisione che è nata discutendo proprio sul ddl Zan e la possibilità di autodefinire la propria sessualità, né si omette la questione dei transessuali. Si fa il punto dello stato dei diritti in Italia, insomma, e se ne discutono le direzioni. A 40 anni dal delitto di Giarre qualcosa è cambiato, molti passi sono stati fatti, tanti altri servono ancora. La battaglia continua, insomma. E il libro di Lepore (andrà nelle scuole?) è uno dei tanti passaggi di questa storia.