Domani, 11 novembre, all’assemblea dell’Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani) arriverà anche il presidente del Consiglio Mario Draghi. E l’agenda degli oltre 12mila primi cittadini riuniti a Parma è dominata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il presidente dell’associazione, Antonio Decaro, ha rivolto un appello al governo, dettando i tempi: «Entro giugno 2022 i ministeri titolari delle misure devono esaurire le procedure, siano avvisi o assegnazioni dirette ai Comuni, ed entro dicembre 2023 i cantieri devono essere aperti. Ai Comuni non si potrà dire fra due o tre anni “esegui l’opera, sei stazione appaltante”, quando bisognerà già rendicontare le spese».
Le risorse per gli investimenti da realizzare assegnata ai Comuni ammontano a 40 miliardi. L’appello, però, è a fare presto per l’attuazione dei programmi. Oltre ai fondi scritti sulla carta, i sindaci temono infatti che nel passaggio tra ministeri e regioni si possano moltiplicare i tempi e gli ostacoli. Come spiegano anche Dario Nardella, sindaco di Firenze, Giorgio Gori, sindaco di Bergamo ,e Matteo Lepore, sindaco di Torino, in tre interviste al Foglio.
«Il quadro è molto preoccupante, c’è il pericolo di andare fuori tempo limite: se il modello amministrativo rimane quello vigente non riusciremo nei prossimi 24 mesi ad attuare e appaltare tutte le opere finanziate dal Pnrr», avverte Nardella. Il primo problema «è quello del personale. Devo dare atto al ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta che sta facendo sforzi giganteschi, ma la situazione è ancora difficile». Ma «nel concorso nazionale per reperire 1.400 tecnici, solo 167 idonei. Ma secondo lei un ingegnere bravo e preparato viene a lavorare per 1400 euro al mese? C’è un tema di condizioni economiche offerte dal pubblico impiego». E così attrarre competenze, peraltro altamente specializzare rispetto alle esigenze del Piano europeo, «è molto complicato», dice.
Giorgio Gori ammette che dei bandi del Pnrr «ne sappiamo poco e temiamo così che i bandi possano uscire alla rinfusa, sovrapponendosi e concedendo poche settimane per candidare i progetti, e che non ci siano a quel punto i tempi necessari ad approntarli». La soluzione è «marciare con un cronoprogramma di ferro, e meccanismi più veloci», spiega. Ma «nessuno può permettersi di dilatare i tempi senza motivo» E bisogna «fare in modo che i bandi dei ministeri siano rivolti direttamente ai comuni, senza intermediazione da parte delle regioni».
«Dovremmo chiamarla agenda urbana nazionale», è la proposta di Lepore. «Prendendo a modello, magari, l’esperienza francese, il modo in cui opera il loro ministero per l’agenda urbana. Vorrei che ci fosse un confronto continuo, orientato verso la collaborazione e non verso la rivendicazione, tra grandi comuni metropolitani, l’Anci e il presidente del Consiglio, perché noi sindaci non vogliamo fare una specie di sindacato, ma vogliamo essere direttamente coinvolti e impegnati in questo sforzo realizzativo gigantesco, per il quale servono le energie di tutti».