C’è apprensione a Berlino e Parigi per la sorte del Recovery Fund e uno dei motivi è il tassello italiano. Il Recovery Fund è lo strumento per far uscire l’Unione Europea “vincente” dalla grave crisi economica e sanitaria innescata dalla pandemia, ovvero in grado di fronteggiare la Cina, che si sta risollevando, e di presentarsi come solido partner all’America di Joe Biden.
Se invece il Recovery Fund dovesse fallire l’obiettivo della ricostruzione economica, l’Europa finirebbe facile preda della sfida globale fra Usa e Cina. Si tratta dunque di un bivio strategico, esistenziale, da cui dipende la sorte stessa dell’Unione Europea flagellata dal Covid-19. «Possiamo uscirne perdenti o vincenti» si sente ripetere, da Parigi a Berlino, sottolineando come a opporsi al Recovery Fund sono proprio i “nemici dell’Europa” ovvero i populisti: a cominciare dai leader politici di Budapest e Varsavia, protagonisti di un duro braccio di ferro sullo Stato di diritto che minaccia, alla fine del 2020, di far affondare l’intesa raggiunta fra i partner.
In questo nuovo capitolo del duello fra chi vuole rilanciare e chi vuole affossare l’Europa il nostro Paese è sotto i riflettori. Il motivo è che l’Italia riceve la fetta maggiore dei fondi stanziati – 208 su 750 miliardi1 – e senza il successo della sua ricostruzione sarà l’intera Unione Europea a uscirne indebolita, sul fronte non solo finanziario ma anche di credibilità politica.
Per l’Italia crocevia della ricostruzione europea le priorità sono quattro: sostegno per le famiglie delle vittime di Covid-19; rilancio della crescita economica; aumento dello spazio dei diritti; rafforzamento dell’Eurozona. Il sostegno per le famiglie delle vittime è urgente e necessario perché i quasi 130 mila morti che sommiamo sono il prezzo più alto di vite che la nazione ha pagato dalla fine della seconda guerra mondiale. Non c’è un angolo del Paese senza lutti. Il nemico invisibile della pandemia che ci ha attaccato a sorpresa nel febbraio 2020 ha portato la morte nelle nostre case in maniera feroce: i nonni sono deceduti senza poter salutare figli e nipoti, dottori e infermieri sono caduti per soccorrere i contagiati, giovani e anziani hanno visto i loro polmoni divorati dal virus senza poter far altro che aspettare la propria fine.
Migliaia di famiglie hanno avuto gli affetti più cari aggrediti, stravolti, stracciati, accumulando ferite profonde che è responsabilità di tutti affrontare con serietà e rispetto. Ogni vita vale un mondo intero e nulla la può restituire ai famigliari, ma spetta al governo occuparsi dei parenti delle vittime per aiutarli a risollevarsi con misure efficaci e rapide. Per far sentire loro la solidarietà umana della comunità nazionale a cui appartengono e per includerli nella ricostruzione socioeconomica del Paese.
Il rilancio dell’economia nazionale è la spina dorsale della ricostruzione. I 208 miliardi del Recovery Fund europeo sono le risorse a cui il governo ha iniziato ad attingere con una raffica di progetti, ma affinché questo strumento funzioni dovrà riuscire a traghettare il Paese nella modernità ovvero: più infrastrutture per il territorio, più innovazione nelle imprese, più connettività per i cittadini.
Per riuscire non basta volerlo, bisogna avere il coraggio di osare nell’identificare e aggredire ostacoli antichi ma ancora immanenti come burocrazia, corruzione, nepotismo e carenza di responsabilità. Per non parlare della criminalità organizzata che sta tentando di sfruttare la pandemia e il conseguente indebolimento dello Stato per estendere ogni sorta di traffici illeciti.
A vantaggio della ricostruzione può giocare la creatività delle nostre aziende, la flessibilità dei cittadini nell’affrontare le sfide e la qualità del made in Italy che eccelle nel mondo nei settori più diversi, dalla meccanica al cibo. Il Recovery Fund può diventare un network tricolore fra le eccellenze italiane per attirare investimenti stranieri e creare un indotto formidabile per l’intero Paese. Ma servirà una gestione competente, aggressiva e snella. E non prigioniera dei veti della politica o delle diverse nomenklature che aspirano risorse all’unico fine di auto-conservarsi a scapito del benessere del prossimo. Quanto avvenuto durante la pandemia con i ritardi nei pagamenti delle casse integrazioni in deroga, le disfunzioni nel sostegno alle aziende in difficoltà e gli ostacoli a ricevere ogni sorta di aiuti è un campanello d’allarme sui provvedimenti da adottare per far percepire ai cittadini lo Stato più vicino e non più lontano.
Da qui allo spazio dei diritti il passo è breve. Una democrazia si rafforza ogni volta che identifica nuovi diritti da difendere, rafforzare. E la pandemia ci consegna numerose categorie che hanno bisogno di protezione: da chi ha perso il lavoro a chi deve riqualificare la propria attività, dagli anziani obbligati alla solitudine agli alunni privati troppo a lungo della presenza in classe, dalle differenze di genere aumentate nell’occupazione alla necessità del digitale per svolgere ogni sorta di attività. Ovvero, lo spettro delle diseguaglianze e del disagio si è esteso, diversificato e richiede una risposta strategica di lungo termine: nuove protezioni sociali per le nuove categorie di disagiati, le cui dimensioni fanno impallidire il concetto di povertà novecentesca.
Ma non è tutto, in palio c’è anche il rilancio dell’Eurozona: l’unica maniera per l’Ue di uscire vincitrice dalla sfida con la pandemia è realizzare in tempi stretti una ricostruzione guidata dalle maggiori economie – Germania, Francia, Italia e Spagna – per raggiungere gli obiettivi della Commissione europea di Ursula von der Leyen su clima, innovazione e digitale, tesi a imporre una trasformazione a ritmi accelerati a ogni settore industriale.
Vincendo questa sfida, l’Europa potrà uscire più unita e solida, ovvero capace di respingere l’assalto di populismo e sovranismo di ogni colore e nazionalità. Ma è un obiettivo che non può essere centrato senza la forte, totale e convinta partecipazione del nostro Paese in ragione del peso economico che abbiamo nell’Ue. Insomma, come la pandemia ha obbligato l’Italia a dimostrarsi resiliente per proteggersi, così la ricostruzione ci impone di aggredire i tabù del sistema politico-economico al fine di avere successo. Se falliremo saremo risucchiati in uno dei vortici che la Storia a volte genera, ma se avremo successo nessun obiettivo sarà troppo ambizioso.
Tutto ciò spiega la determinazione con cui il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha costantemente ripetuto durante tutto il periodo della pandemia appelli all’unità nazionale fra i cittadini, alla coesione fra le forze politiche e all’adesione ai principi europei. Tocca a Mario Draghi, premier in carica, guidare un simile processo di ricostruzione. Nell’evidente consapevolezza che si tratta di un test di leadership spietato e a tappe forzate. Come mai avvenuto dal dopoguerra.
da “Il campo di battaglia. Perché il Grande Gioco passa per l’Italia” di Maurizio Molinari, La Nave di Teseo, 2021, pagine 272, euro 18