L’arcitalianaLa sublime medietà di Benedetta Rossi e l’editoria salvata dalle massaie

La scrittrice in testa alla classifica dei libri più venduti in Italia è marchigiana, parla come Don Buro di Vacanze in America, ha capelli rosso menopausa e compone libri di ricette. Piace proprio perché è normale, perfetta nell’epoca in cui il pubblico non vuole elevarsi, ma immedesimarsi

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«Ecco la Torta di Compleanno per Nonna Blandina che il 6 settembre ha compiuto 98 anni!». Maiuscole come nell’originale, puntesclamativo pure: riscrivere in bella copia Benedetta Rossi sarebbe come trasformare Gadda in un compitino delle medie.

Benedetta Rossi, il Gadda che questo secolo si può permettere, è colei che oggi vedrete in cima alla classifica dei libri più venduti in Italia. Con le sue 18439 copie ha quasi doppiato il secondo arrivato, un manga.

Poiché Benedetta Rossi fa gli spaghetti, non i fumetti, nessuno s’adonterà se dico di lei cose dilettantesche (Walter Veltroni ha l’altro giorno osato scrivere un articolo sui manga nelle classifiche editoriali, e il mondo del fumetto – che fa sembrare poco permalosi i tifosi di calcio, i romani, e anche quelli con le mamme dai facili costumi – è insorto. Twitter era piena di ultracinquantenni – che mi piace immaginare abbigliati in magliettacollescritte e felpacolcappuccio – offesissimi perché un non specialista osava avere un’opinione su un fenomeno culturale senza conoscere a memoria il numero zero d’una rivista uscita in un solo quartiere di Kyoto nel 1991. Fine dell’inciso).

Benedetta Rossi è marchigiana (parla come Don Buro, il personaggio di Christian De Sica in Vacanze in America); a casa ha pavimenti d’un cotto da poco, un divano di finta pelle assai lucido, un marito che la filma mentre cucina e che racconta barzellette quali «Cosa serve a un maiale che vuole andare all’estero? Il passaporco»; Benedetta ha capelli rosso menopausa e nessuna velleità di non essere media.

Nell’epoca in cui il pubblico vuole che tu sia pubblico, non specialista; pubblico, non élite; pubblico, non una che s’è sbattuta per migliorarsi; in quest’epoca qui, Benedetta Rossi s’ostina a raccontare che è la laurea in biologia che le ha insegnato a cucinare, ma lo sa anche lei che le quattrocentotrentatremila copie che i suoi libri hanno venduto negli ultimi dodici mesi non sono dovute alla sua istruzione superiore, ma alla sua sublime medietà.

(Lo sa anche Mondadori, che coi libri di Benedetta ha nell’ultimo anno fatturato otto milioni di euro, e i cui dirigenti editoriali si metterebbero a piangere se un domani lei decidesse di ripulirsi la dizione, o d’andare da un parrucchiere costoso, o d’essere un po’ meno una di noi).

Secondo un’intervista che le fece allora il Corriere, nel dicembre 2018 Benedetta Rossi aveva ottocentotrentamila follower su Instagram. Ora sono quattro milioni.

 

Era partita piano (si fa per dire): il suo libro di ricette del 2016 aveva venduto sessantottomila copie (una cifra per la quale darei un rene). Da allora ne ha fatto uno all’anno, in costante crescita; nel 2019 è stato chiaro che il libro di quell’anno avrebbe superato le duecentomila copie, e allora hanno ristampato in edizione economica quello del 2016: altre centoventiduemila copie, il tascabile che vende più della prima edizione, l’editoria salvata dalle massaie.

Nel frattempo era arrivata anche la televisione, che una volta era un punto d’arrivo e adesso è l’attività collaterale di chi è sia romanziere sia romanzo, sia autore sia personaggio. Insomma: dei migliori bottegai di Instagram.

Ho capito che Benedetta la sapeva lunghissima quando, scorrendo le sue ricette, ho visto gli spaghetti al tonno. Ho scosso la testa – che mondo è mai quello in cui si comprano libri di ricette quando Internet è piena di ricette gratuite, che mondo è mai quello in cui ti serve una di Instagram che ti spieghi gli spaghetti al tonno, base della piramide nutrizionale d’ogni fuori sede squattrinato – poi mi sono messa ad ascoltare il video. E la prima frase era «se siete stati universitari fuori sede, sapete di cosa sto parlando». Che cretina che sono: pensavo di spiegare il paese reale a Benedetta Rossi. Poi cosa, gli orli a Miuccia Prada?

Ieri Benedetta ha postato tre cose meravigliose, che spiegano il suo successo anche a chi non comprerebbe mai un libro di ricette.

Prima una passeggiata solitaria sulla spiaggia; solitaria come si può essere solitari nell’epoca della diretta permanente: parlando alla telecamera del cellulare. Ma non è il video, il punto; bensì lo sfogo riguardo al marito e alla di lui impazienza che il video ha immortalato. Trascrivo tentando di renderne la dizione: «È una ragione molto profonda quella de Marco. Tutto quello che faccio senza il suo aiuto – tipo: libro, tv, interviste – si sende escluso». In trenta secondi, due storie di Instagram, Benedetta Rossi ha riassunto l’essenza del presente: il sesso debole che si sente minacciato dal successo delle mogli. La sindrome di Wanda Nara, ma con affettuosità provinciale e ridanciana, mica corna e scollature.

Poi la telefonata in viva voce con l’editore, che le leggeva i dati Gfk col numero esatto di copie. Non mi è chiaro perché abbiano tardato un giorno a chiamarla (li avevano dal giovedì), ma mi è chiaro che, in un mondo di scrittori che si dividono tra quelli di successo che si fingono disinteressati ai dati di vendita perché a loro interessa passare alla storia (mica alla cassa), e quelli d’insuccesso che fingono di non sapere che i rilevamenti settimanali esistano, in un mondo di bottegai che fingono di non praticare il commercio, Benedetta che ride soddisfatta mentre quelli le scandiscono le cifre è un momento di letteratura altissimo.

Infine, ma non meno rilevante, c’era la spa. Il marito l’ha portata in una spa. Baccagliano: lei dice che ce l’ha portata per farsi perdonare, lui dice che è il premio per le diciottomila copie. Fatto sta che ne discutono a voce altissima, e poi si accorgono che quella in cui si trovano sarebbe la stanza del silenzio. Benedetta, arcitaliana.

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