PPP e poi tutti gli altriLe foto di Dino Pedriali ci confermano che Pasolini è stata l’unica rockstar italiana

Il “Caravaggio della fotografia”, che è mancato qualche giorno fa, è stato un fuoriclasse capace di tirare fuori l’anima a tutte le persone che ha ritratto. Ma sono le sue immagini dell’autore di “Petrolio”, scattate a Chia e a Sabaudia, a consegnarlo alla storia

Una immagine del set del film di Abel Ferrara sulla vita di Pierpaolo Pasolini con William Defoe (Palombi/LaPresse)

Negli anni Novanta, quando vivevo a Roma, mi capitava spesso di incontrare Dino Pedriali nel giro dell’arte, soprattutto in alcune gallerie (Il Ponte, Pio Monti, Ugo Ferranti) che esponevano le sue meravigliose fotografie. Da giovani non ci si rende bene conto del valore del tempo: allora Pedriali (scomparso giovedì scorso a 71 anni) aveva poco più di quarantun fuoriclasse capace di tirare fuori l’animaanni e, andando a ritroso, quando fotografò Pier Paolo Pasolini era appena ventenne, un ragazzo, ecco perché le sue foto hanno uno stile miracoloso, ecco perché si è portato dietro l’appellativo di “Caravaggio della fotografia”.

Ricordo bene questo particolare: Dino Pedriali, al di là di sembrare più grande per via di tanta vita addosso, già allora mi sembrava consegnato alla storia come chiunque abbia avuto a che fare con PPP, e non importa se quella vita e quella morte violenta alla mia generazione poteva risultare distante come un fatto di cronaca. Sappiamo bene, invece, che PPP è ancora una ferita che brucia, un mistero non risolto, la somma di tutte le contraddizioni possibili e immaginabili – il marxista di sacrestia, l’omosessuale espulso dal PCI, moralista con gli altri e libero per se stesso, avanti anni luce eppure ancorato a quella forza del passato che ogni tanto lo faceva scambiare per un reazionario. Intellettuale complesso e monumentale, Pier Paolo Pasolini, ha lasciato in eredità più imitatori che discepoli, i pasoliniani ovvero i velleitari, i veggenti, quelli che sanno e non hanno le prove.

Torniamo però alle foto di Dino Pedriali. Le più intense sono state scattate nell’ultima casa dello scrittore a Chia, nel Viterbese, pochi giorni prima della morte. Il corpo magro è nudo, ripreso a distanza, spiato dalla finestra. Posa come un modello che finge di non sapere di essere visto e invece è compiaciuto oggetto di voyeurismo e desiderio. PPP aveva in mente di utilizzare uno di questi scatti per la copertina di “Petrolio”, il romanzo incompiuto che quando uscì nel 1992 per Einaudi non aveva nessun’immagine, solo il bianco della carta.

Pedriali produsse altri scatti a Sabaudia, Pasolini al lavoro, il capo chino sulla macchina per scrivere, mentre corregge l’articolo da inviare al Corriere; lo ritrae accanto all’Alfa Romeo GT, occhiali scuri e la stessa camicia di jeans, per poi passare all’iconico primo piano, inquadratura tipica per un uomo di lettere, la mano a reggere il mento che dona quell’espressione meditabonda e concentrata talora manierata e artefatta. Qui però le dita coprono interamente la bocca e il punctum della foto diventa così lo spazio che intercorre tra gli occhi scuri divisi dalle tre rughe tra le sopracciglia e la fronte.

L’artista Pedriali era bravissimo, un fuoriclasse capace di tirare fuori l’anima a Rudolf Nureyev ed esplorare il corpo sfatto della pittrice Carolrama (immagini subito ritirate, bandite, accusate da un tribunale di oscenità perché non c’è nulla che scandalizzi più della vecchiaia). Non è stato solo il fotografo di PPP, però soprattutto il fotografo di PPP. Altri maestri italiani – Mario Dondero, Sandro Becchetti, Elisabetta Catalano – lo hanno ritratto e ciascuno ha dato il meglio, non si poteva fare altrimenti quando di fronte appariva lui, con il suo carisma e la sua unicità.

Senza neppure sapere chi era e ciò che era stato capace di fare, le immagini che ci sono rimaste di PPP lo rivelano a quasi mezzo secolo dall’addio come l’unica rockstar italiana. La più complessa e trasgressiva, con buona pace di Vasco (di cui è appena uscito il nuovo album) e dei Måneskin.