Climate changePerché sono finite le pere in Emilia Romagna

Cambiamenti climatici e fitopatie hanno colpito le coltivazioni della regione e dei territori circostanti, provocando una perdita pari al 70% della produzione annuale

In Italia un frutto su quattro è andato perso a causa del cambiamento climatico. In alcune regioni questo dato è diventato un’autentica catastrofe. Ad esempio, in Emilia Romagna sono finite le pere. Con buona pace di chi crede che l’Italia è dedita all’importazione di frutta dall’estero, questo frutto è protagonista di circa 27 mila ettari in Italia, di cui il 70% solo in Emilia Romagna, per una produzione complessiva di 7.725.770 quintali (dati 2017, Coldiretti).
Le cause del disastro
Le ragioni dietro il crollo produttivo delle pere in Emilia Romagna sono tre. La prima è climatica. A fine marzo 2021 le temperature hanno toccato punte di quasi 30 gradi, riattivando il ciclo vegetativo delle piante che, convinte dalle condizioni meteo, hanno avviato il ciclo produttivo. Tra il 7 e l’8 aprile è arrivata una gelata che ha stroncato i fiori già sbocciati sugli alberi. Quelli rimasti hanno dato vita a frutti di pessima qualità, difficili da recuperare persino per l’industria dei succhi di frutta. Come spiega Lorenzo Bazzana, responsabile Ortofrutta Coldiretti, «le gelate non sono fenomeni a noi sconosciuti in passato: il problema sono le temperature che le hanno precedute e l’estensione geografica del fenomeno».

Poi ci sono le fitopatie. Da qualche anno la cimice asiatica rappresenta una delle principali minacce alla coltivazione delle pere e non solo. Infatti, questo insetto è un polifago, capace di passare dalle pere alle erbe spontanee e ai kiwi, altra coltivazione tipica della Romagna Toscana che ha permesso all’Italia di battere persino la Nuova Zelanda in termini di produzione. Le cimici pungono le pere con la propria saliva, iniettando nel frutto sostanze che rendono la polpa suberosa, amara e quindi immangiabile. Il Ministero dell’Agricoltura ha autorizzato il lancio di un parassitoide, un imenottero che deposita le sue uova sulla cimice e fa sì che le forme giovanili non si sviluppino. L’obiettivo è creare un nuovo equilibrio, in modo da contenere gli interventi sotto una soglia economica accettabile. In molti hanno iniziato a installare reti anti-insetto per coprire i frutteti e impedire alle cimici di entrare. «Ma niente sarà più come prima perché questo organismo alieno non può essere eradicato». L’ultima piaga per le pere è la maculatura bruna. Sempre presente negli ultimi anni, è un fenomeno collegato ai cambiamenti climatici perché si manifesta in concomitanza di precipitazioni troppo violente.

Produzione e fatturato perduti
L’insieme di questi tre problemi ha generato un crollo della produzione del 70%. Se la produzione media italiana di pere, solo nel 2017, è stata di circa 7.725.770 quintali, nel 2019 è stata penalizzata dall’inizio del manifestarsi del fenomeno della cimice. Nel 2020 si è assistito a un recupero della produzione grazie all’introduzione del parassitoide. Nel 2021, complici le gelate e un inasprirsi dei fenomeni della cimice e della maculatura, il calo è stato inevitabile. In termini di fatturato, partendo dalla cifra di circa 900 milioni di euro registrata nel 2017, le perdite attuali si traducono in un ammanco di circa 500-600 milioni di euro. In più, sono andati perduti anche i guadagni legati all’export. Infatti, secondo i dati Coldiretti, 1,5 milioni di quintali finiscono ogni anno fuori dai confini nazionali. Inoltre, senza raccolto, c’è un intero indotto che soffre: non c’è lavoro per chi raccoglie, ma anche per chi trasporta e per chi fornisce le cassettine per contenere le pere. Più di 10 mila stagionali hanno perso una parte di reddito.

Soluzioni e obiettivi
«Il quadro quest’anno è complicato», spiega Filippo Pallara dell’azienda agricola Pallara Stefano e Presidente Giovani di Coldiretti Ferrara, che solo quest’anno ha perso tra il 90 e il 95% di fatturato a causa della gelata e delle fitopatie che hanno colpito i suoi terreni. «La politica deve capire che il nostro problema è produrre le pere – aggiunge Pallara – Quando Paesi come la Germania dimostrano interesse nei nostri prodotti, la pera italiana va e si vende bene. Il futuro è incoraggiante. Ma ostacolati da cambiamenti climatici e fitopatologie, il nostro problema resta finalizzare la produzione»

Sui rimedi in campo, Pallara sottolinea che voler limitare a tutti i costi le strategie chimiche può essere controproducente, oltre a spingere molti imprenditori agricoli fuori dal mercato, con conseguente riduzioni delle superfici coltivate. «Rispettare l’ambiente in cui ci troviamo è importante perché noi viviamo del lavoro della terra: abbiamo tutto l’interesse a preservare l’ambiente in cui lavoriamo. Ma non si possono eliminare molecole chimiche senza dare alternative. In più, va affiancata un’attività di formazione per rendere accessibili le soluzioni green messe in campo. Tutto questo passa anche dalla ricerca scientifica, in cui l’Italia ha smesso di investire.
È chiaro che, se il prodotto manca e c’è la domanda, il prezzo delle pere sale, dando vita a un mercato “drogato”. Ma ciò non basta a coprire i costi di produzione e il raggiungimento dell’unico obiettivo a cui le politiche agricole dovrebbero lavorare: garantire agli agricoltori di poter vivere del proprio lavoro con un reddito dignitoso. Che non significa assistenzialismo, ma supporto anche a quella ricerca capace di garantire la presenza di chimica “buona e giusta” in campo. «Gli anni straordinari stanno diventando ordinari: per questo abbiamo bisogno di aiuto e non di assistenzialismo, per poter vivere del nostro lavoro».

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