I prezzi delle materie prime hanno ripreso a correre, con le conseguenti ricadute su inflazione, costo delle bollette di luce e gas e – a cascata – sui consumi. Così, come racconta Repubblica, il governo sta mettendo a punto un piano per affrontare l’inverno.
Come? Con due interventi. Il primo servirà ad ammortizzare il boom dei costi previsto nel primo trimestre 2022: l’idea è aumentare di almeno cinquecento milioni di euro la dotazione di due miliardi già prevista nella legge di stabilità. La seconda mossa, invece, passa da un pressing diplomatico che si consumerà nel Consiglio europeo di metà dicembre, quando l’Italia – insieme a Francia e Spagna – tornerà alla carica chiedendo un piano per lo stoccaggio comune di gas naturale della Ue.
Palazzo Chigi prevede che i prossimi mesi, forse addirittura i prossimi anni, saranno segnati da progressivi e improvvisi shock energetici. Il rincaro che ha travolto l’Europa nella seconda metà del 2021 dovrebbe estinguersi tra aprile e giugno 2022. Per questo, il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Daniele Franco hanno deciso di agire per gradi. Destinando oltre quattro miliardi per l’ultimo trimestre 2021 e riservando un fondo di due miliardi per affrontare il primo trimestre 2022. La cifra è inferiore a quella del periodo ottobre-dicembre 2021 perché i consumi di marzo dovrebbero essere inferiori a quelli di un mese “pienamente” invernale, contenendo quindi gli aumenti.
Ma non è detto che basti. Per questo, l’esecutivo già in manovra ha deciso di aumentare di almeno mezzo miliardo le risorse destinate al caro bollette. Se comunque non dovessero bastare, si procederà anche a un ulteriore intervento a inizio 2022. Tutto, pur di superare l’inverno. E arrivare ad aprile quando, secondo le previsioni che circolano a Palazzo Chigi e al ministero dell’Economia, l’attuale fiammata dovrebbe progressivamente esaurirsi.
Si tratta di soluzioni che possono soltanto tamponare l’emergenza. E che, tra l’altro, agiscono soprattutto sulle famiglie meno abbienti. Gli oltre quattro miliardi stanziati per l’ultimo trimestre 2021, ad esempio, ammortizzeranno solo il 60% dei rincari complessivi. Occorre quindi immaginare una strategia di più ampio respiro. Secondo il governo, la soluzione è ridurre in modo strutturale gli oneri di servizio, scaricandone i costi sulla fiscalità generale, per la semplice ragione che la misura avrebbe costi altissimi per lo Stato. Né può considerarsi una soluzione definitiva la recente scelta di utilizzare parte delle entrate delle aste per i diritti a emettere CO2 (cioé la “tassa” che pagano le aziende per inquinare) per ridurre il caro-bollette.
Palazzo Chigi guarda all’Europa, sostenendo che per affrontare le prossime crisi è necessario affinare la strategia comunitaria. Se n’è già discusso nel Consiglio europeo di ottobre, senza grandi risultati. E se ne riparlerà in quello di metà dicembre.
L’Italia, sostenuta da Spagna e Francia, punta a organizzare uno stoccaggio comune di gas. L’adesione dei Paesi membri sarebbe volontaria. Ciononostante, le resistenze sono fortissime. La Germania frena. Rispetto ai partner Ue, Berlino ha siglato con la Russia contratti di fornitura di più ampia durata. Questa mossa le ha consentito di patire una minore oscillazione dei prezzi, negli ultimi mesi.
Roma e Parigi insistono anche su un’altra proposta, che mira a modificare l’impatto delle “componenti” del prezzo dell’energia sul consumatore finale. In parole semplici: l’energia che arriva al consumatore è frutto di una somma di diverse fonti energetiche: gas, carbone, idroelettrico, eolico. Ciascuna ha un prezzo. Di norma, all’utente viene chiesto di pagare come se l’intero consumo fosse frutto del segmento più caro, anche se in media rappresenta solo il 15% del totale. Modificare questo meccanismo sarebbe fondamentale per arrestare l’aumento delle bollette.
Non si tratta di una mediazione semplice. L’attuale crisi, in ogni caso, è destinata secondo le previsioni della Commissione a esaurirsi entro la metà del 2022. E questo perché le ragioni dall’attuale aumento dei prezzi sono considerate transitorie. In primis, perché la Russia non ha aumentato il volume delle erogazioni nonostante l’aumento della domanda. Poi c’è da tenere conto della politica energetica di Pechino che, per gestire una ripresa impetuosa, acquista da mesi ogni tipo di fornitura, trattando poco o nulla sui prezzi e generando quindi una dinamica al rialzo.
A un certo punto però le scorte cinesi e il rimbalzo dell’economia post pandemica dovrebbero ritrovare un punto di equilibrio. E i rincari dovrebbero fermarsi. Resta però la necessità di soluzioni strutturali. Anche perché, altrimenti, diventa difficile convincere i cittadini a orientare i consumi di energia verso una svolta verde.