Dopo anni di lavoro, dialoghi e tessitura della tela diplomatica, finalmente il prossimo 25 novembre, a Roma, Italia e Francia firmeranno il “Trattato del Quirinale”. Il presidente francese Emmanuel Macron incontrerà a Roma il presidente del Consiglio Mario Draghi per siglare il testo destinato a rafforzare la relazioni tra le due nazioni e offrire a entrambe una sponda politica strategica oltre a quella con la Germania.
L’idea di un “Trattato fra la Repubblica francese e la Repubblica italiana per una cooperazione bilaterale rafforzata” (un documento di 13 pagine) risale al settembre del 2017, al vertice di Lione in cui si incontrarono Macron e l’allora primo ministro italiano Paolo Gentiloni.
Sono passati ben quattro anni. Nel frattempo da Palazzo Chigi è passato il governo Conte I, che ha portato tensioni diplomatiche fra i due Paesi a causa degli ammiccamenti dell’ex vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio ai gilet gialli francesi, e per le parole dure di Matteo Salvini – all’epoca ministro dell’Interno – sull’accoglienza dei migranti da parte di Parigi.
Il governo Conte II ha rimesso, in parte, le cose a posto in quel vertice di Napoli del febbraio 2020 che segnò la ripresa dei lavori diplomatici. Ma è solo negli ultimi mesi che Macron ha deciso di fare il passo decisivo per migliorare le relazioni franco-italiane, in particolare nei settori industriale e culturale: l’equivalente transalpino del “Trattato dell’Eliseo” – firmato nel 1963, aggiornato nel 2019 – che regola la cooperazione franco-tedesca.
Italia e Francia si confronteranno sui dossier sicurezza, cultura, trasporti, politiche comunitarie, Mediterraneo, ambiente, controllo delle armi, iniziative di sviluppo in Africa. Un riavvicinamento destinato proprio a controbilanciare il peso della Germania in Europa.
Un trattato tra potenze mediterranee non è nuovo nella geopolitica europea. Il primo a ipotizzare un accordo di questo tipo, nella storia recente, è stato il filosofo russo Alexandre Kojève, poi stabilitosi a Parigi agli inizi degli anni Trenta del XX secolo e diventato alto funzionario francese.
All’indomani della Seconda guerra mondiale, Kojève pubblicò un testo in cui auspicava la nascita di un “Impero latino” (dal nome del documento) che avesse le sue basi in una grande alleanza mediterranea: la Francia avrebbe quindi dovuto creare legami solidi con Spagna e, soprattutto, Italia.
Come ha scritto Lucio Caracciolo, direttore di Limes, a inizio ottobre, «la Francia continua a pensarsi proiettata via mare nostrum verso l’Africa, serbatoio di memorie coloniali, intrecci d’affari e influenza geopolitica, risorse minerarie, oltre che spazio d’influenza linguistica, per Parigi altrettanto importante della bomba atomica. Uno sguardo alla carta geografica svela l’Italia connettore perfetto tra Francia e Africa. Basterebbe il mediterraneismo a giustificare l’interesse francese per lo Stivale. E la diffidenza tedesca per le vaghe ipotesi di unioni mediterranee, mantra di ogni inquilino dell’Eliseo, Macron incluso».
Ovviamente l’interesse è anche italiano. Storicamente Roma ha difficoltà a rendere esplicito il proprio interesse nazionale e assumere una posizione forte sullo scacchiere mondiale. Allora, riprendendo ancora Caracciolo, questo trattato è un’occasione «per cominciare a ricostruire quel minimo di Stato senza cui è impossibile reggere il confronto nel pianeta senza regole, dove ognuno pensa a sé stesso. Poi per strutturare con un Paese per noi indispensabile una relazione utile a forgiare compromessi sui numerosi dossier che ci dividono, a cominciare da quelli mediterranei e africani, per tacere dell’industria e delle tecnologie. E per concepire progetti dal fiato lungo nelle dimensioni che contano, dove l’asimmetria tra Francia e Italia è palese».