Alle elezioni europee del 2019, si temeva l’arrivo a Strasburgo di un’ondata nazionalista. Alcuni leader parolai, come Matteo Salvini e Luigi Di Maio, gridavano che sarebbero stati la maggioranza al Parlamento europeo. Nel mezzo della campagna elettorale, Salvini aveva riunito tutti i leader europei di estrema destra in Piazza Duomo a Milano, con lo slogan Prima gli italiani. Due mesi prima, Luigi Di Maio era apparso sorridendo con altri esponenti del Movimento 5 Stelle a Strasburgo con un leader dei “gilet gialli”, Christophe Chalençon, l’estremista di destra che aveva detto che voleva il Generale Pierre de Villiers al posto di Macron.
La dicevano lunga sulle profonde contraddizioni di questo movimento, poiché ciascuno di questi leader voleva proporre il “suo” popolo, escludendo così sin dall’inizio qualsiasi progetto comune di costruzione europea: “Prima gli italiani”, “Les Français d’abord”, ecc.
In Piazza Duomo, è la distruzione europea che fu chiamata a gran voce: ognuno per sé e tutti contro l’Unione. Ma alla fine, dopo il voto, il Parlamento non traboccava di nazionalisti e le cosiddette forze “europeiste” sono rimaste in maggioranza al Parlamento. Maggioranza, sì… ma quante sono? Quale il progetto comune? Quale coesione politica? La maggioranza “politica” a favore della Commissione von der Leyen, infatti, è molto più piccola di quella che l’ha eletta. Le contraddizioni all’interno del PPE sono sempre evidenti: questo gruppo sta smarrendo lo spirito europeo dei fondatori. Ora è diventato un gruppo generale in cui gli impulsi nazionalisti e antieuropei sono sempre più forti, e non solo da parte di Orbán, che almeno ha il coraggio di ammettere chiaramente il suo progetto di democrazia anti-liberale e la sua agenda pro-nazionalista.
A sinistra, la situazione non è migliore. Per una ragione al tempo stesso semplice e complicata: la socialdemocrazia è finita, vittima del suo successo. Le grandi battaglie dei socialdemocratici sono diventate un’eredità comune a tutte le nostre società. Naturalmente, sono oggetto di dibattito, riforma e conflitto. Ma il consenso di base sulla protezione sociale o sui diritti dei lavoratori è generalizzato. Oggi i socialdemocratici sono impercettibili: non abbastanza in prima linea nella battaglia per un’Europa politica o federale, in ritardo rispetto agli ecologisti sulle nuove questioni sociali e con la tentazione di tornare a una “vera sinistra”. Per quanto sorprendente possa sembrare, abbiamo visto alcuni socialdemocratici entusiasti di Jeremy Corbyn nel 2017. Sappiamo com’è finita.
Nel Parlamento europeo le vecchie abitudini sono dure a morire, soprattutto quando si tratta di potere. Popolari e socialisti sono sempre stati abituati a fare il bello e il cattivo tempo nell’emiciclo di Strasburgo, poiché avevano sempre la maggioranza assoluta dei seggi. Questo non è più il caso oggi: la maggioranza è possibile solo con un accordo a tre tra PPE, S&D e Renew Europe, e chiedendo voto per voto il sostegno degli altri gruppi, dal momento che ci sono sempre dissensi o defezioni. Il problema è che i popolari e i socialisti non si sono ancora abituati alla nuova realtà e tendono a cercare prima di tutto un accordo tra loro quando si tratta di condividere posizioni e influenze.
Sono invece convinto che nel momento in cui si chiude una fase di lunga, dura e dannosa contrapposizione tra destra e sinistra e si sceglie di dialogare e lavorare insieme per il rilancio italiano ed europeo, occupare con idee e iniziative questo nuovo spazio politico centrale sia una grande opportunità, anzi un dovere. E questo vale a Bruxelles come a Roma.
Ne sono convinto anche perché è esattamente quello che abbiamo fatto con Emmanuel Macron in Europa nel 2019 con la creazione di Renew Europe. Un gruppo centrale, fortemente voluto dalla nostra lista transnazionale Renaissance e che ha unito due partiti europei, l’Alleanza dei Liberali e dei Democratici (e quindi +Europa) e il Partito Democratico Europeo, e tre nuovi movimenti, En Marche!, i rumeni di Plus e Italia Viva. Attorno al progetto di Europa sovrana e democratica abbiamo aggregato forze diverse che sanno ascoltarsi e amano il dibattito (anche molto lungo a volte, come da buona tradizione liberale). Non è sempre facile trovare i buoni equilibri: Renaissance è senza dubbio il pilastro numerico e politico del gruppo, ma lo sforzo quotidiano che facciamo è di costruire giorno dopo giorno questa nuova forza politica destinata a crescere in tutto il continente.
Accade di votare, ma si preferisce sempre costruire posizioni consensuali, con una fortissima convergenza sulle libertà fondamentali, e senza marcate divisioni sull’economia, come nel caso dei Socialisti e Democratici, o sui valori europei, come accade nel Partito Popolare Europeo. Con deputati eletti in 22 paesi, alcuni tipicamente liberali, altri completamente nuovi e della società civile; con “vecchi” membri del gruppo ALDE e nuovi partiti eletti per la prima volta nel 2019; con nuovi leader e una presenza senza precedenti nelle altre istituzioni, il lavoro quotidiano di costruzione dell’identità del gruppo non è esattamente una passeggiata. I compromessi non sono sempre facili, ad esempio quando si tratta di commercio, industria e sostenibilità.
Spesso i compromessi a cui arriviamo in Renew diventano poi il punto di equilibrio per l’intero Parlamento. Un ottimo esempio sono il Recovery Plan e i relativi bond, che avevamo proposto sin dall’inizio della crisi, in febbraio, e su cui abbiamo lavorato in stretta intesa con Macron e il suo governo; uno più recente è stata l’iniziativa politica sul mercato unico sostenibile per i consumatori e le imprese. E dopo un anno e mezzo possiamo dire di aver allargato la maggioranza pro-europea in Parlamento. Secondo la stampa europea, nel 2020 Renew Europe è stato il gruppo politico più influente in Europa.
Renew Europe è una storia di successo. Anche una Renew Italy (con altro nome probabilmente) potrebbe esserlo. Entriamo in una nuova fase in Italia: dobbiamo fare saltare schemi ormai logori, miopi; dimostrare coraggio riformista e senso dell’urgenza e della lungimiranza. L’Italia di Mario Draghi può chiudere un ventennio di conflitti e aprire una nuova fase politica.
Buon utilizzo del Recovery Plan significa rilancio economico e sociale e riforme, a cominciare dalla giustizia. Significa scommettere sull’istruzione, sulla conoscenza, sui giovani. Significa proiettare l’Italia nella transizione ecologica e digitale.
Con Mario Draghi possiamo anche costruire un nuovo asse politico Roma-Parigi, indispensabile per la rifondazione europea e che dovrebbe essere suggellato dal nuovo “Trattato del Quirinale” tra i due paesi. Lanciammo l’idea di questo trattato al Vertice bilaterale di Lione nel 2017; ci lavorai intensamente assieme a Nathalie Loiseau, allora ministra francese sino a marzo 2018; il trattato sarà finalmente firmato nel corso del 2021.
Le idee giuste nel momento sbagliato rischiano di diventare idee sbagliate. Per questo non possiamo perdere la straordinaria occasione che adesso ci offre la storia di dare vita a una nuova forza riformista, liberale, ecologista e femminista, che può e deve diventare il Recovery Plan politico per l’Italia europea che vogliamo. Il momento è già oggi.
Da “Il Bersaglio – Battaglie per l’Europa” di Sandro Gozi, Editoriale Scientifica, 2021, 124 pagine, 14,25 euro