In lista d’attesaLa ripresa del turismo è più lenta del previsto

Il settore dei viaggi si prepara per il mondo post-pandemia, ma deve prima smaltire una crisi che ha tolto liquidità alle aziende e posti di lavoro agli operatori. Per tornare ai livelli del 2019 non basteranno un paio d’anni

AP / Lapresse

Con la pandemia il turismo mondiale ha vissuto una delle crisi più profonde di sempre. Per mesi il settore è stato in lockdown, poi ha riaperto a fatica quando le persone hanno ripreso a spostarsi da una città all’altra, e ha spento nuovamente i motori con il secondo giro di restrizioni e la seconda chiusura dei confini.

Le aziende hanno dovuto indebitarsi o rivolgersi ai governi per ottenere liquidità. Tui, il più grande tour operator europeo, ha ricevuto 4,3 miliardi di euro in prestiti dalla banca statale tedesca KfW; le compagnie aeree statunitensi hanno ricevuto più di 60 miliardi di dollari dal governo; Expedia ha ridotto il numero di dipendenti di 3mila persone (su 22mila, a livello mondiale).

Gli effetti della crisi non hanno avuto ovunque le stesse proporzioni: nei Paesi più grandi – come Stati Uniti e Cina – i viaggi interni hanno lentamente ripreso ritmi ordinari, o quasi, con l’allentamento delle restrizioni. L’arrivo di vaccini e green pass ha aiutato la stagione estiva europea. In altre aree, invece, le rigide regolamentazioni sugli spostamenti hanno frenato la ripresa: in gran parte dell’Asia-Pacifico, ad esempio, non c’è traccia del turismo internazionale del periodo pre-Covid.

All’inizio della settimana il Financial Times ha raccontato le difficoltà di un settore che fatica a ripartire. «Il prossimo futuro sembra fragile, tra restrizioni agli ingressi piuttosto volatili, picchi di casi di Covid, gravi carenze di personale, aumento dei costi e crescenti preoccupazioni riguardo l’impatto ambientale», si legge nell’articolo firmato da Alice Hancock e Philip Georgiadis.

Il discorso si applica anche all’Italia, che ha nel turismo un motore della propria economia. Nel 2019 è stato il terzo Paese più visitato al mondo con 94 milioni di visitatori secondo l’Enit, con 436,7 milioni di presenze totali legate al turismo. Il settore equivaleva a circa il 13% del Prodotto interno lordo (considerando tutto l’indotto e la ricchezza prodotta indirettamente).

I buoni risultati raggiunti dal governo Draghi, in termini di vaccinazioni e di contenimento dei contagi – in attesa di capire gli sviluppi della quarta ondata – hanno portato discreti risultati anche nell’ultima estate.

Secondo i dati di Isnart Unioncamere presentati dal ministro del Turismo Massimo Garavaglia alla Fiera di Rimini c’è stato un incremento medio dei pernottamenti di circa il 30% rispetto ai valori dell’estate 2020.

Ma non basta per parlare di ripresa. Il 2021 si chiuderà positivamente rispetto all’anno precedente (+2%), ma il sostanziale blocco delle attività di tutta la prima parte dell’anno ha fatto sì che questi primi nove mesi registrino ancora un -40% rispetto allo stesso periodo del 2019.

«Alcune aree del settore sono a lenta ripartenza, penso ad esempio ai tour operator e a tutto il mercato degli eventi», dice a Linkiesta la presidente di Ferderturismo Marina Lalli. «Inoltre per le aziende la mancanza di liquidità si è trasformata anche in una carenza di manodopera: molte persone si sono dovute reinventare durante la pandemia, così il mondo del turismo ha perso un gran numero di operatori formati e competenti che negli ultimi mesi non sono stati rimpiazzati, perché ci vuole tempo per formarli».

Le stime di metà anno parlavano di un ritorno ai livelli pre-Covid nel 2023, ma potrebbero essere ritoccate in negativo. «Questa quarta ondata, per quanto apparentemente più contenuta qui in Italia, rischia di spostare l’obiettivo di almeno un anno, perché parliamo di una crisi globale in cui ogni Paese risponde a modo suo e questo ha ricadute a catena», dice la presidente di Federturismo.

Il 2019 sta diventando una chimera per il settore dei viaggi, non solo in Italia. Secondo l’Organizzazione mondiale del turismo le prenotazioni dei voli tra gennaio e ottobre 2021 sono diminuite dell’86% rispetto allo stesso periodo del 2019, mentre a luglio gli sbarchi internazionali sono stati solo un terzo di quelli dello stesso mese del 2019.

D’altronde si tratta di un comparto particolarmente sensibile ed esposto agli shock esterni, che siano crisi economiche, aumenti del prezzo del petrolio o tensioni geopolitiche. Poi però sul medio-lungo periodo si dimostra sempre abbastanza elastico da tornare ai livelli di partenza e riprendere la crescita: il numero di persone che viaggiano è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi decenni.

Il Financial Times ricorda il post-11 settembre: «Sembrava che alcuni dei posti più visitati al mondo, come New York, non avrebbero avuto più turisti, e per qualche anno le minacce terroristiche e l’aumento della sicurezza negli aeroporti hanno innescato una maggiore ansia tra i viaggiatori e un netto calo del traffico. Poi a metà degli anni 2000 il settore era tornato in buona salute. Ha subito un altro calo significativo dopo il crollo finanziario del 2008, ma trasportava 1,5 miliardi di passeggeri prima che la pandemia colpisse».

L’ultimo scossone, quello dato dal Covid-19, sembra aver cambiato definitivamente alcuni segmenti di questo mercato. «Ci sono due tendenze che possiamo vedere in prospettiva: una trasformazione del business travel, quindi del turismo mordi e fuggi legato a convegni e conferenze, e una maggior sensibilità ambientale che ridurrà i voli non indispensabili», dice la presidente di Federturismo.

In estate qui a Linkiesta raccontavamo la nuova dimensione dei viaggi d’affari, con numeri che non torneranno forse mai più a livello pre-Covid – non con le modalità e le formule che conoscevamo. L’ala business del turismo rappresentava una parte importante dell’economia globale, con trilioni di dollari e milioni di posti di lavoro in un indotto che include compagnie aeree, hotel, servizi di trasporto cittadino e agenzie di viaggio.

L’attenzione all’ambiente degli ultimi mesi e anni, invece, potrebbe colpire una fetta ancora più ampia del mercato, con effetti generalizzati di lungo periodo.

«A lungo termine, il danno ambientale dei viaggi si rivelerà un ostacolo più grande da superare persino delle devastazioni della pandemia. L’impatto ambientale è diventato uno dei parametri con cui le persone selezionano i viaggi, tanto quanto i costi, la posizione e il servizio», scrive il Financial Times.

Non è un caso che Expedia e il suo rivale Booking.com stiano lavorando a nuovi sistemi per mostrare ai clienti l’impatto ambientale della loro prenotazione, nello stesso modo in cui i siti web mostrano la valutazione in stelle degli hotel; mentre lo strumento di ricerca dei voli di Google mostra già le emissioni di carbonio dei viaggi, proprio di fianco al prezzo.

«L’industria dei viaggi – conclude il Financial Times – spera che queste promesse saranno sufficienti per garantire la crescita del settore anche in futuro». Ma nessuno può dirlo con certezza.

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