L’impatto della pandemia su tutto il comparto turistico è stato devastante, ma nelle ultime settimane il trend sta cambiando. Iniziano a vedersi i primi, timidi, segnali di ripresa. Rispetto all’anno scorso, le entrate dalla spesa turistica hanno registrato un + 7,7% sul 2020; con 15 milioni di italiani in vacanza a luglio, che valgono un +9% anno su anno (dati della Rome Business School).
Non saranno i numeri enormi del 2019, ma è qualcosa, e da qualche parte si dovrà pur cominciare.
C’è un segmento del mercato turistico che però stenta a riprendersi. È quello dei viaggi d’affari, dei congressi, dei convegni, dei meeting e delle fiere. È l’ala business del turismo: anche qui inevitabilmente la pandemia ha azzerato le voci statistiche e abbattuto le curve di crescita.
I viaggi d’affari rappresentavano una parte importante dell’economia globale, con trilioni di dollari e milioni di posti di lavoro in un indotto che include compagnie aeree, hotel, servizi di trasporto cittadino e agenzie di viaggio.
La mancata ripresa di questo segmento sembra dato da un cambio di prospettiva e di abitudini dettate dalla pandemia, come dice a Linkiesta la presidente di Federturismo-Confindustria Marina Lalli: «Sul fronte business ci sono più incertezze: nell’ultimo anno abbiamo imparato a fare a meno di alcuni incontri, sia le riunioni che abbiamo spostato in remoto, sia quei viaggi brevi di una sola notte che abbiamo deciso di fare in un modo diverso, andando però a gravare su tutto il comparto, dai taxi alle strutture ricettive».
A livello mondiale le spese complessive per i viaggi d’affari globali si sono contratte del 52% nel 2020 e non è detto che siano in grado di tornare ai livelli pre-pandemia. Un articolo di Axios fa notare che «le aziende hanno trascorso un anno e mezzo per lo più senza viaggiare per lavoro e ora pensano di ridurre drasticamente questi spostamenti per tagliare i costi e ridurre le emissioni di carbonio».
Un’analisi del New York Times sottolinea che una ripresa ci sarà, come per tutte le altre cose, ma per il 2021 si prevede che arrivi non oltre il 30% dei livelli del 2019, con tutte le conseguenze del caso. Un esempio su tutti: «I viaggiatori d’affari rappresentano solo il 10% dei passeggeri delle compagnie aeree, considerando le principali aziende globali, ma rappresentano il 55%-75% delle entrate perché sono in genere quelli che spendono molto per biglietti all’ultimo minuto o prenotano posti premium».
Il quadro italiano non ha prospettive più rosee. Secondo l’Osservatorio business travel, il settore nel 2020 ha avuto una riduzione di spesa di 7,6 miliardi di euro e per una vera ripresa si dovrà aspettare almeno il 2023. I dati sul calo del fatturato aiutano a fotografare il peso della pandemia per tutto l’indotto del comparto: per il solo 2020, la ristorazione ha perso il 37,2%, l’hospitality quasi il 55%, il trasporto aereo il 60,5% e le agenzie di viaggio e i tour operator il 76,3%.
Questi numeri, le perdite dell’ultimo anno e mezzo sono sicuramente congiunturali, frutto di una condizione venutasi a creare da un momento all’altro, in maniera non prevedibile. Ma c’è di più, il calo del segmento business travel è anche strutturale.
Il report dell’Istat “Viaggi e vacanze in Italia e all’estero”, pubblicato lo scorso aprile, rivela che – oltre alle perdite di oltre 18 milioni nel 2020 – le perdite del business travel sono anche conseguenza «di un fenomeno di natura strutturale, iniziato ben prima della pandemia».
Ci sono due fattori fondamentali a guidare questo trend: la riduzione dei flussi di business dovuti alla crisi finanziaria del 2008, che ha avuto le sue conseguenze maggiori nel corso dell’ultimo decennio, e il cambiamento nella comunicazione professionale, che ha iniziato a sfruttare i meeting online da remoto già prima del Covid-19.
È per questo che, forse, più che aspettare la fine della crisi, questo comparto avrà bisogno di adattarsi, trovare nuovi punti di forza, ridisegnare i propri contorni per stare dentro la realtà attuale. Ci vorranno investimenti, certo: non a caso la “missione 1” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) prevede lo stanziamento di 2miliardi e 400milioni netti per il settore turistico, che come ormai abbiamo imparato non potranno essere usati solo per colmare dei buchi a bilancio ma dovranno essere sfruttati per produrre crescita.
Poi c’è il compito di ripensare il segmento business da parte di chi lavora nel settore. È quello che sta provando a fare la città di Milano, che negli ultimi anni si è imposta come uno degli hub italiani, europei e mondiali del turismo legato al mondo del lavoro. Merito certamente anche di Expo, che ha rafforzato il posizionamento della città per eventi e congressi, ma anche per la sua capacità di mettere a sistema tutte le componenti che servono per attirare questo tipo di viaggiatori.
«Vogliamo far ripartire Milano proprio da questo segmento, abbiamo di fronte a noi sei mesi molto interessanti per testare procedure e sfruttare il fatto che Milano ha investito in questi settori: stiamo facendo campagne promozionali in Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania, cioè le destinazioni più rilevanti per attrarre questo tipo di turismo», dice a Linkiesta Luca Martinazzoli, direttore di Milano&Partners, agenzia di promozione ufficiale della città di Milano.
Milano ha punti di forza in alberghi, trasporti, sicurezza e altri servizi essenziali per favorire questo tipo di turismo: con il nuovo brand YesMilano l’obiettivo di Milano&Partners è portare la città tra le prime 10 della classifica ICCA, il ranking globale delle città che ospitano eventi del settore Meetings Incentives Conferences Exhibitions (MICE) entro il 2023.
«Riteniamo che in un contesto che si sta evolvendo molto rapidamente Milano potrebbe anche acquisire nuove quote di mercato, pur considerando che forse a livello globale il giro d’affari del settore si ridurrà. Questo può accadere perché se è vero che alcune aziende hanno limitato in maniera significativa i viaggi, si creeranno altre occasioni per generare valore. Faccio un esempio: anche lo smartworking richiederà, alcune volte l’anno, riunioni in presenza per tutti. E queste fanno parte di un tipo di business travel che Milano ha sempre saputo ospitare», aggiunge Martinazzoli.
I primi risultati della ripresa del turismo già si vedono, in città. A giugno è stato registrato il dato più alto dopo il Covid, con 218 mila arrivi. «Il turismo business è da sempre l’anima di questa città», dice a Linkiesta Roberta Guaineri, assessora al Turismo del Comune di Milano. «Per la ripresa di tutto il comparto guardiamo a settembre, quando, a partire dal Salone del Mobile, riprenderanno congressi, fiere e i grandi eventi che fanno pulsare Milano. Come Amministrazione affrontiamo questa sfida con il nuovo Convention Bureau, che da tanti anni la città attendeva e che abbiamo presentato lo scorso dicembre. Uno strumento di primaria importanza per chi vuole svolgere eventi business, congressi, meeting aziendali, convention, eventi associativi e istituzionali con un forte richiamo internazionale, e il supporto a tutta la filiera produttiva degli eventi».
Milano è ovviamente la punta dell’iceberg per l’Italia, nel senso che viaggia a ritmi tutti suoi anche per la ripartenza. Ma qualcosa si deve muovere anche altrove. La prima fiera internazionale in presenza, dall’inizio della pandemia, è stata la Borsa Mediterranea del Turismo (BMT, ora alla 24esima edizione) svolta dal 18 al 20 giugno a Napoli.
«Se non fosse ripartito il settore delle fiere, l’Italia avrebbe mandato in fumo 40miliardi di euro. È il segnale della ripartenza, per non fermarsi più. Ed è un segnale per il Sud, di una ripartenza che va nella giusta direzione», aveva detto il ministro del Turismo Massimo Garavaglia alla cerimonia d’inaugurazione dell’evento.
La BMT è una fiera B2B, non aperta al pubblico ma solo agli addetti ai lavori. È stata un successo anche per motivi puramente simbolici. Ma è difficile capire quanto margine di crescita ci sia, almeno nel breve-medio periodo per questo settore.
«Molti dei meeting, dei congressi e dei convegni che si svolgevano prima non erano indispensabili, e quelli oggi sono diventati digitali, virtuali, più semplici, meno costosi», dice a Linkiesta Fabrizio Cantella, direttore della BMT, che però individua il punto di partenza per una ripresa considerevole del settore.
«Fiere, convegni e congressi – dice Cantella – non si esauriscono nei discorsi al microfono, ma anche per fare networking, per creare dei contatti, perché è importante essere presenti come individui o come aziende a un evento. Quindi inevitabilmente gli appuntamenti che si possono sostituire con la tecnologia cambieranno o sono già cambiati. Poi c’è tanto altro che su Zoom o Skype o Teams non puoi fare. E l’interazione con le persone, faccia a faccia, non può essere esclusa dal mondo del lavoro».