Un taglio da 1,5 miliardi ai contributi previdenziali (-0,5 punti) per alleggerire le buste paga dei lavoratori fino a 47mila euro per un anno. E altri 500 milioni contro il caro-bollette. Sono le proposte che il presidente del Consiglio Mario Draghi ha presentato ieri nell’incontro con i sindacati, scontenti dell’accordo raggiunto in maggioranza per tagliare l’Irpef. In pratica, l’impianto a quattro aliquote non cambia, ma poiché nel 2022 saranno spesi 2 miliardi in meno sui 7 stanziati, questo extra può essere impiegato per aiutare le fasce di reddito più basse. Quelle che secondo Cgil, Cisl e Uil vengono penalizzate dall’intervento sull’Irpef.
Oggi è in programma un Consiglio dei ministri per discutere dell’emendamento alla manovra sulla riduzione delle imposte. Prima Draghi comunicherà ai sindacati quali proposte sono state accolte. Ma ieri il premier ha mostrato ai leader di Cgil, Cisl e Uil una tabella preparata dal ministro dell’Economia Daniele Franco per smentire la lettura dei poveri esclusi dai benefici.
Risultato: i sindacati, entrati a Palazzo Chigi uniti, sulle conclusioni dell’incontro si sono divisi. Per il leader della Cgil, Maurizio Landini, non basta: «Non abbiamo ottenuto le risposte che ci aspettavamo. Se su pensioni, fisco e precarietà le cose rimangono come adesso, sarà necessario valutare quali iniziative mettere in campo». Sulla stessa linea la Uil, con Pierpaolo Bombardieri, che conferma la sua «insoddisfazione». La Cisl invece vuole l’accordo: «Abbiamo apprezzato che il governo abbia messo un miliardo e mezzo per la decontribuzione per i lavoratori dipendenti con meno di 47mila euro. Una misura temporanea che abbiamo chiesto diventi strutturale», dice Luigi Sbarra.
E l’intreccio tra delega fiscale e provvedimenti della manovra sta rendendo non facile ai cittadini capire come sta cambiando e cambierà il fisco. E su questo interviene oggi Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, che cerca di fare chiarezza in un’intervista al Corriere.
Secondo Ruffini, oggi «il peso fiscale che grava sui cittadini non sembra equamente distribuito». E infatti «oltre il 90 per cento del gettito Irpef proviene da dipendenti e pensionati. E, allo stesso, tempo non possiamo trascurare che il 57% dei 41 milioni di contribuenti Irpef dichiara meno di 20mila euro». Ma, aggiunge, «i dati ci raccontano anche un’altra prospettiva: solo lo 0,1 per cento dei contribuenti – circa 40mila – dichiara più di 300mila euro e 3mila più di un milione».
È qui che si annida il problema dell’evasione fiscale. Certo, dice Ruffini, «i risultati degli ultimi anni sono un buon segno. Il tax gap dei principali tributi è diminuito di 15 miliardi, passando da 88 a 73 miliardi di mancate entrate nelle casse dell’erario».
Il primo problema, spiega, «è l’educazione civica». Perché «forse non teniamo in debita considerazione che la funzione dei tributi è quella di garantire servizi di cui tutti usufruiamo, dalla sanità alla sicurezza, dai trasporti alla scuola. Ecco perché è necessario, anzi decisivo, essere leali verso lo Stato e la comunità».
E nell’attesa che si sviluppi questo senso civico, «in un’epoca caratterizzata dalla fiscalità di massa e da processi sempre più digitalizzati, occorre sfruttare tutte le potenzialità che le banche dati mettono a disposizione. Fermo restando che non vogliamo violare la privacy di nessuno, dovremmo tutti avere la consapevolezza di quanto sia importante per ciascuno di noi sconfiggere o almeno contrastare più efficacemente l’evasione fiscale. Senza pensare che sia un tema che non ci riguardi».
Sulla delega fiscale, «molto ampia», Ruffini dice che i quattro capitoli su «finalizzazione allo sviluppo economico (mi accontenterei che non fosse un freno), la progressività della tassazione, la semplificazione, la lotta all’evasione sono «decisivi per un’amministrazione fiscale moderna ed efficiente. Pensi alla giustizia tributaria o alle semplificazioni normative. Tra leggi, norme e decreti abbiamo superato quota 800 e orientarsi è un’impresa. Anzi una corsa a ostacoli. E quindi tutte queste norme andrebbero almeno organizzate in testi unici per materia. Pensi che, fino a oggi, il legislatore ha dovuto prevedere addirittura l’inapplicabilità delle sanzioni quando la violazione di una norma tributaria sia stata causata dall’obiettiva condizione di incertezza della sua corretta applicazione».