In un mondo dove la presenza delle immagini risulta sempre più pervasiva, l’ascolto delle sole parole sembra ormai un’abitudine anacronistica. Eppure, oggi, i podcast riescono a ingaggiare l’attenzione dei loro ascoltatori anche fino a 40 minuti, un’infinità di tempo in confronto alla manciata di secondi che ognuno dedica ai più numerosi video disponibili ovunque sul web, da YouTube a TikTok, passando per Instagram.
Viene quindi spontaneo chiedersi: cosa hanno di speciale i podcast? Quello che è certo è che seguono regole ben precise, come spiega Rossella Pivanti in un’intervista con Silvia Pagliuca durante un evento svoltosi nella sede di Phyd del Gruppo Adecco a Milano. Un’occasione per far luce sui percorsi attraverso cui è possibile intraprendere la carriera di podcaster, sulle competenze necessarie e le strade per acquisirle.
L’esperienza di Pivanti include oltre 25 serie di podcast per brand come Mini Bmw, Bper Banca, Danone, Lavazza. Oltre a essere speaker Ted e formatrice per Spotify e per numerose Università.
«Certamente il mercato dei podcast in Italia ha registrato un’impennata negli ultimi tre anni, in numero, formati, tematiche e soprattutto interesse e investimenti da parte dei marchi», spiega.
Il primo aspetto da definire, tuttavia, è cosa sia un podcast, spesso confuso con una replica di un programma radiofonico. Si tratta di un prodotto audio, inedito, distribuito online, che può essere condiviso, fruibile anche offline se scaricato su un dispositivo digitale. La definizione non è solo un modo per cercare un’identità in un mondo di media che si accavallano. È utile anche per mettere in luce le potenzialità in termini di raccolta di dati e statistiche che rappresentano un vero punto di forza a favore dei podcast, rendendoli così apprezzati da sponsor commerciali, e aprendo un mondo infinito di possibilità ai Branded Podcast.
Quando tutto ebbe inizio
Pivanti spiega che le origini dei podcast risalgono al 2006 negli Usa, dove si sono sviluppati gradualmente fino al 2015, quando poi la crescita ha cominciato a essere esponenziale. Il nome e la data di esordio sono facilmente riconducibili al lancio dell’iPod nel 2001, iTunes nel 2003, e iPhone nel 2007. All’inizio rappresentavano un modo semplice e poco costoso per poter condividere storie e opinioni, alla portata di tutti. Senza dover contare su una stazione radio o comprare costosissime apparecchiature video.
In Italia, l’esordio si è fatto attendere fino al 2018, principalmente per questioni legate alla tecnologia, ma la crescita che ne è seguita da allora vanta incrementi del 10% annuo, probabilmente anche spinta dal periodo pandemico, momento in cui molte persone si sono ritrovate a stare casa con più tempo a disposizione per sperimentare nuovi media. E oggi, secondo Ipsos, gli ascoltatori di podcast in Italia sono 9,3 milioni, con un tempo di ascolto medio che in un anno è quasi raddoppiato da 25 minuti a 40. Dato non sorprendente se si analizza l’ascoltatore medio: dirigenti, imprenditori, laureati, anche con master, profili interessanti per brand che desiderano interagire con un target di questa levatura, equamente diviso, o unito, fra uomini e donne.
Ma anche l’elusiva Generazione Zeta sta scoprendo il piacere, l’utilità e il divertimento che i podcast possono offrire. Ciò grazie anche all’abbassarsi dell’età media dei podcaster. Dopotutto, intraprendere questa professione, sia a livello amatoriale sia professionale, non comporta grandi investimenti iniziali, se non in termini di tempo e passione.
Le competenze necessarie
Silvia Pagliuca sottolinea che le competenze che servono per intraprendere questo lavoro non si limitano a quelle della voce o del tecnico audio. Che si decida di produrre i propri podcast svolgendo tutti i ruoli, o di fare parte di un team più allargato, le skill richieste e i ruoli da ricoprire sono molteplici: autore, voce o presentatore, tecnico audio, e marketing manager, sia per la promozione dei pod, sia per la raccolta e studio dei dati che questi possono fornire.
I dati, infatti, sono uno dei dettagli capaci di fare la differenza. La rete permette già da molto tempo di monitorare quanti utenti consultano siti o guardano video, ma è stato soprattutto l’avvento di Facebook a portare in auge il concetto di “profilazione”. Non solo una valutazione quantitativa dell’audience di ciascun podcast, ma anche qualitativa. Dati che rendono il podcasting particolarmente interessante per sponsor e brand, perché permettono una più accurata valutazione della performance.
Il mercato per figure professionali con esperienza, in questo campo, si sta già muovendo. Aziende importanti, come Amazon, hanno aperto posizioni per Podcast Manager e Producer; Spotify è alla ricerca di figure professionali per promuovere podcast all’interno della sua offerta. Le opportunità di formazione per lavorare in questo ambito sono in crescita: molti i corsi che che stanno nascendo per offrire specializzazione nei vari ruoli della filiera del podcast.
Una professione destinata a svilupparsi sempre più, dischiudendo molte, interessanti possibilità.
Per guardare l’intervista completa, è sufficiente registrarsi al sito di Phyd.