Pensata come uno scudo per i lavoratori, può diventare una lancia nel fianco delle piattaforme digitali: una direttiva appena proposta dalla Commissione europea intende garantire i diritti di chi risulta lavoratore autonomo, pur rispondendo agli ordini dettati da un algoritmo. Se approvate da Consiglio e Parlamento, le nuove regole proposte trasformeranno milioni di autisti e fattorini in dipendenti delle rispettive aziende, imponendo cambiamenti strutturali ai modelli organizzativi di realtà come Uber o Deliveroo.
L’obiettivo non è distruggere il business delle oltre 500 piattaforme digitali che operano sul territorio dell’Unione, come ha spiegato il commissario al Lavoro Nicolas Schmit. L’effetto, tuttavia, potrebbe essere dirompente: secondo i dati in possesso della Commissione, nove imprese digitali su dieci inquadrano i propri addetti come liberi professionisti. Molti lo sono davvero, ma non tutti: 5 milioni e mezzo di persone sono a rischio di «classificazione scorretta», cioè vengono trattate da dipendenti a livello di organizzazione del lavoro e da indipendenti a livello di retribuzione, tutele e prestazioni complementari.
I criteri per l’assunzione
Per ovviare a questo problema, l’esecutivo comunitario non intende imporre lo status di impiegato a tutti i 28 milioni di lavoratori delle piattaforme digitali, ma fissa piuttosto criteri chiari e uniformi per il riconoscimento dell’inquadramento corretto. L’addetto dovrà essere assunto in presenza di almeno due su cinque delle condizioni stabilite dalla direttiva: la determinazione di un tetto massimo al compenso; la supervisione del lavoro tramite mezzi elettronici; la limitazione nella possibilità di scegliere orari di lavoro, rifiutare incarichi o ricorrere a sostituti; la necessità di rispettare regole precise nella presentazione ai clienti finali e le restrizioni alla facoltà di costruire una propria clientela o lavorare per altri committenti.
Anche se l’approccio è orizzontale e non c’è nessun riferimento a servizi specifici, la normativa tiene in considerazione di fatto molti degli aspetti dell’attività dei fattorini del food delivery o degli autisti a noleggio: essi ricevono gli incarichi tramite un’applicazione, hanno codici specifici nell’abbigliamento o nella foggia del veicolo e spesso vengono penalizzati dai rispettivi algoritmi se rifiutano corse e consegne.
Proprio sugli algoritmi verte un altro punto cruciale della proposta: gli addetti avranno il diritto di essere informati sulle modalità del monitoraggio, della valutazione e dell’organizzazione del proprio lavoro. Soprattutto, sarà possibile «contestare» l’autorità elettronica: chi lavora su una piattaforma potrà richiedere spiegazioni sulle decisioni che lo riguardano e invocare una modifica o una compensazione. La battaglia per la trasparenza di questi meccanismi include pure il divieto di raccogliere informazioni personali sui lavoratori «non direttamente connessi all’impiego svolto».
«Dobbiamo fare in modo che quelli creati dalle piattaforme siano posti di lavoro di qualità, che non promuovano la precarietà», ha detto Schmit al momento di presentare la direttiva. Il lavoro autonomo in questo contesto resterà possibile: in caso di controversia sull’inquadramento, però, toccherà all’azienda dimostrare le condizioni da lavoratore indipendente del proprio addetto, al contrario di quanto avviene ora.
Il commissario e il vice-presidente esecutivo della Commissione Valdis Dombrovskis hanno evidenziato i vantaggi che molti lavoratori avranno dal cambio di status, una situazione che coinvolgerà, secondo le stime. un numero compreso tra 1,7 e 4,1 milioni di persone. Inquadrati come dipendenti, i lavoratori delle piattaforme avrebbero ferie e malattie pagate, diritto alla disoccupazione e ai congedi parentali, maggiori tutele in caso di incidenti sul lavoro e malattie professionali, oltre a un salario minimo garantito in quei Paesi e in quei settori che lo prevedono.
La «rivoluzione» normativa segue in realtà una strada tracciata dalla giurisprudenza di molti Paesi europei: 100 sentenze legali e 15 amministrative negli ultimi anni vanno in questo senso, stando alle informazioni in possesso della Commissione. Tra queste ci sono la decisione di un tribunale francese sugli autisti di Uber e quella della giustizia spagnola di considerare lavoratori subordinati i fattorini che consegnano pasti pronti per Glovo.
Per i commissari, l’alto numero di controversie giudiziarie è una chiara dimostrazione del fatto che la materia non è regolata in modo sufficientemente chiaro.
La direttiva è accompagnata da una comunicazione contenente l’approccio comunitario sul settore e da un progetto di linee-guida sull’applicazione del diritto europeo in materia di concorrenza. Quest’ultimo documento rappresenta di fatto un’apertura alla contrattazione collettiva dei lavoratori autonomi, tema su cui la Commissione ha lanciato una consultazione pubblica aperta fino a febbraio 2022 e che risulta molto delicato: la struttura stessa della cosiddetta gig economy rende complicato ai lavoratori incontrarsi, conoscersi e organizzarsi per far valere i propri diritti.
L’intero pacchetto dedicato al lavoro è stato accolto in maniera positiva da diversi parlamentari europei, visto che recepisce molti dei punti contenuti in una risoluzione dell’Eurocamera, approvata a larga maggioranza a settembre 2021. Particolarmente soddisfatta è la deputata del Movimento Cinque Stelle Daniela Rondinelli, che ha seguito da vicino la questione: «Ci troviamo in un settore che si sta caratterizzando per precarietà, povertà lavorativa, assenza di qualsiasi tipo di tutela e di diritti: una società sana non può essere fondata su modelli economici che prevedono forme di sfruttamento, diretto o indiretto, dei lavoratori».
Secondo l’europarlamentare, l’obiettivo potrebbe essere l’ approvazione entro il 2022. Anche i commissari si sono mostrati ottimisti sull’iter istituzionale della proposta, che oltre al probabile sostegno del Parlamento accoglie l’interesse di regolare il settore espresso da molti Stati Membri. «A livello europeo c’è una grande presa di coscienza sul bisogno di sicurezza giuridica», ha sottolineato Nicolas Schmit.
Dopo l’approvazione, la direttiva dovrà però essere trasposta nelle legislazioni nazionali e qui, spiega Daniela Rondinelli, potrebbe esserci il rischio di un’applicazione non uniforme, visto che le normative nazionali differiscono sensibilmente. «Non nascondo perplessità sul rischio di frammentazione: a livello europeo non esiste né una definizione di lavoratore autonomo né di lavoratore subordinato».
Un altro pericolo adombrato a livello comunitario è quello di provocare un taglio netto alla forza lavoro delle piattaforme digitali e togliere quindi una fonte di reddito a molte persone che, pur di lavorare, stanno accettando inquadramenti fittizi e rinunciando alle tutele dei lavoratori dipendenti.
Molto critica è la posizione di Business Europe, la più grande associazione europea di rappresentanza delle imprese, secondo cui la proposta «non riflette la realtà», visto che molte persone sceglierebbero volontariamente di essere inquadrati come lavoratori autonomi e che le piccole realtà imprenditoriali digitali rischiano di essere strozzate dalla normativa.
«La Commissione ha scelto di fare una dichiarazione politica piuttosto che proporre una soluzione equilibrata per le piattaforme, i lavoratori e i loro clienti». Il commissario Schmit, da parte sua, ha assicurato che le imprese sono state consultate e che molte di loro sono favorevoli alla proposta: la loro lobby, però, sta già pensando a come ammorbidirla.