Populismo latinoamericanoIl neo presidente del Cile ha un programma ambizioso, ma gli mancano i voti per attuarlo

Il 35enne Gabriel Boric ha ottenuto una vittoria storica promettendo scuole gratuite, inclusione degli indigeni e smantellamento del sistema pensionistico. Ma il sistema partitico è frastagliato e per realizzare i suoi obiettivi dovrà scendere a compromessi

LaPresse

Fa clamore il risultato che ha visto il 35enne Gabriel Boric diventare presidente del Cile, dopo avere sconfitto al ballottaggio José Antonio Kast col 55,86% dei voti. Figlio di un ingegnere chimico di origine croata che era militante democristiano, nel 2011 Boric fu uno dei leader di un movimento studentesco che iniziò a scendere in piazza per protestare contro i costi dell’istruzione, e diede avvio a un più ampio movimento sociale che nel corso di 10 anni ha continuato a muoversi contro un modello economico creato dal regime militare e mantenuto dai successivi governi democratici, fino a ottenere l’elezione di una nuova Costituente e adesso questa clamorosa vittoria elettorale. 

Il suo avversario 55enne è figlio di un immigrato tedesco che durante la Seconda Guerra Mondiale aveva combattuto nella Wehrmacht, e di cui a pochi giorni dal voto è saltato fuori che era stato membro del Partito Nazista (di Boric è invece saltata fuori una storia di maltrattamenti a una ex-compagna, poi in parte rientrati). Cattolico fervente e deputato dal 2002, Kast nel 2015 era uscito dallo schieramento della destra storica per fondare un proprio Partito Repubblicano. Più che per veri dissensi ideologici, per potersi candidare alla Presidenza.   

La vittoria di Boric ha ovviamente suscitato entusiasmo nella sinistra internazionale e latino-americana, e non sono mancati ovviamente i riferimenti all’esperienza di Allende: sia in positivo che in negativo. In realtà la sua alleanza comprende anche il Partito Comunista, ma il suo partito è distinto, e anzi ha vinto le Primarie contro il candidato comunista. Tra chi gli ha mandato ferventi auguri per la vittoria c’è anche Maduro, ma negli ultimi anni Boric ha rivolto critiche durissime alle violazioni dei diritti umani in Venezuela, e lo stesso Kast gli ha riconosciuto di essersi evoluto un chiave centrista.

Kast a sua volta è stato descritto come un nostalgico di Pinochet e un omologo di Trump e Bolsonaro, ha spesso fatto battute omofobe e sessiste infelici, ed ha una linea piuttosto dura verso l’ondata di rifugiati venezuelani. Spiega che il problema si risolve cambiando il regime a Caracas, e non inondando il Cile di stranieri. Però spiega che difende il modello economico del regime di Pinochet come poi è stato portato avanti anche dai governi democratici, e non le violazioni dei diritti umani.

In interviste tv la sua condanna dell’assalto a Capitol Hill è stata fermissima, e la sua differenza di approccio rispetto a Trump risalta dal fatto che ha subito riconosciuto la sconfitta, ed è andato anzi a complimentarsi personalmente col vincitore.

Il fatto che Boric ha detto di voler essere presidente anche di chi non lo ha volato e Kast si sia detto disponibile a collaborare con lui in tutto ciò che sarà necessario mostra che in realtà questi due personaggi sono meno estremisti di quanto i media li abbiano dipinti. Però sono sicuramente il frutto di una polarizzazione, che ha messo fuori gioco le due coalizioni di centro-sinistra e destra che si erano alternate al potere dai tempi della transizione democratica. In parte questa polarizzazione è simile a quelle in cui stiamo assistendo in tutto il mondo – e appunto forse la distanza tra Boric e Kast è meno grave di quella tra Biden e Trump.

In parte si inserisce in una congiuntura latino-americana in cui stanno andando male tutti i governi della regione: anche per colpa del Covid, ma non solo. A novembre abbiamo quindi visto la sinistra vincere le presidenziali in Honduras e la destra il voto di mezzo termine in Argentina (alle regionali in Venezuela e in Nicaragua ha vinto il governo, ma perché lì ormai il voto è stato truccato in una chiave di grave involuzione autoritaria). Poco prima una simile polarizzazione tra candidati estremi aveva pure visto un presidente di sinistra eletto in Perù, mentre governi di sinistra hanno subito rovesci al voto di mezzo termine in Messico e al voto locale in Bolivia.

Una cosa che però è pure comune a molte di queste situazioni è che i sistemi presidenziali si trovano alle prese con sistemi partitici frastagliati, in cui comunque i presidenti che non svoltano in senso autoritario fanno fatica a realizzare i propri programmi. Perfino gli Stati Uniti, in permanente rischio di shutdown. Boric ha un ambizioso programma in quattro «pilastri» basato su spesa sociale, tasse, sussidi, transizione ideologica, scuole gratuite, inclusione degli indigeni e smantellamento del sistema pensionistico basato sui famosi fondi; Kast avrebbe voluto più liberismo; ma tutti e due in caso di vittoria avrebbero dovuto comunque trattare. 

In Senato la maggioranza è di 14 su 27 e ci sono 12 eletti della destra classica, 8 del centro-sinistra, 4 della coalizione di Boric, due indipendenti e uno dell’alleanza di Kast. Alla Camera è di 78 su 155 e ci sono 53 deputati della destra, 37 del centro-sinistra, 37 della coalizione di Boric, 15 dell’alleanza di Kast, 6 del Partito della Gente del terzo arrivato Parisi, 3 di un’altra alleanza di sinistra, 2 verdi e due indipendenti.                     

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