Inside VilniusLa solitaria lotta diplomatica della Lituania contro Cina, Russia e Bielorussia

Il paese baltico sta subendo da mesi una guerra commerciale con Pechino. E finora le contromisure prese dalla Commissione europea per difendere uno dei suoi stati membri si sono rivelate inefficaci

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Il possibile boicottaggio diplomatico delle olimpiadi invernali di Pechino nel febbraio 2022 divide l’opinione pubblica internazionale. Da un lato ci sono i Paesi che hanno già annunciato di mandare soltanto gli atleti e non i dirigenti, come gli Stati Uniti, l’Australia, il Canada e, confusamente, anche il Regno Unito. Dall’altro chi si oppone: «Sarebbe una mossa insignificante e meramente simbolica. In questi casi o hai un boicottaggio completo e non mandi atleti, o cerchi di cambiare le cose con azioni utili», ha sottolineato il presidente francese Emmanuel Macron. Uno stallo dal quale l’Unione europea non sa come uscire: i ministri degli esteri del Continente non hanno infatti una posizione comune, visto che l’obiettivo dell’unanimità è impossibile da raggiungere in quanto l’Ungheria, stretta alleata di Pechino, non parteciperà in alcun caso a un boicottaggio. Per molti la paura di ritorsioni da parte del governo di Xi Jinping, che ha dichiarato che «i Paesi che boicotteranno i Giochi pagheranno il prezzo per i loro atti sbagliati», è un potente deterrente, tranne che per la Lituania, che da tempo si pone di traverso a qualsiasi operazione cinese.

Il contrasto tra il governo di Vilnius e la Cina arriva da lontano, come Linkiesta aveva raccontato già nel mese di agosto. L’apertura dell’ufficio commerciale a Taiwan; i visti ai cittadini di Hong Kong; l’abbandono della Conferenza dei 17+1 e il bando di Huavei sono stati la miccia delle tensioni che si sono accumulate tra i due Paesi negli ultimi mesi. La storia però non finisce qui: la Cina ha infatti intrapreso una sorta di silenziosa “guerra commerciale” con la Lituania, come dimostrano le minacce da parte dei funzionari cinesi contro tutte quelle imprese che decidono di fare affari nel Paese baltico.

«Loro (la Cina) hanno inviato messaggi alle multinazionali che se usano parti e forniture dalla Lituania, non saranno più autorizzati a vendere sul mercato cinese o ad ottenere forniture da lì», ha raccontato il viceministro degli affari esteri di Vilnius, Mantas Adomenas, ai microfoni di Reuters. Sebbene Pechino sia soltanto al 22esimo nella classifica dei partner commerciali lituani, questa mossa avrà comunque delle ripercussioni in alcuni settori dell’industria nazionale, come i mobili, i laser, il cibo, l’abbigliamento, le materie prime e i prodotti farmaceutici.

Il governo di Pechino però non si è fermato qui e ha deciso sia di espungere la Lituania dalle possibili destinazioni presenti nel database doganali cinesi che di declassare lo status diplomatico della rappresentanza di Vilnius. Da queste ragioni deriva la segnalazione del caso da parte dell’Unione europea all’Organizzazione mondiale del Commercio: come ha dichiarato l’Alto rappresentante per gli affari esteri dell’UE Josep Borrell, «se le informazioni ricevute dovesse essere confermate, l’UE potrebbe valutare la compatibilità delle azioni della Cina con i suoi obblighi nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio».

Una risposta piuttosto debole che mostra come il caso sia di difficile soluzione, visto che le autorità doganali di Pechino rifiutano il dialogo e i procedimenti di controversia in seno all’Organizzazione mondiale del Commercio possono avere tempi molto lunghi, anche intorno ai tre anni, senza una garanzia sicura di successo a causa di possibili ricorsi, che allungherebbero i tempi. È  concreta la possibilità che Vilnius e le sue aziende debbano combattere la battaglia contro la Cina sostanzialmente da soli, senza vedersi riconosciuto né un aiuto o né la fondatezza delle proprie ragioni. Una vera beffa.

Non meno rilevanti sono le questioni che il governo lituano ha tutt’ora aperte con il regime di Aleksandr Lukashenko, che da settimane minaccia l’Europa di far entrare migliaia di migranti sul suo territorio. La linea politica di Vilnius nei confronti di Minsk è da sempre stata molto dura: per questo non devono sorprendere i rumors di possibili dimissioni (annunciate da Bloomberg ma di cui non si hanno altre tracce) da parte del ministro degli esteri Gabrielius Landsbergis in merito proprio al caso bielorusso.

Il motivo di questo gesto sarebbe legato alla scoperta che le ferrovie lituane trasportano ancora i carichi di potassio della compagnia statale bielorussa Belaruskali OAO, sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti dallo scorso 8 dicembre a causa dei suoi stretti legami con il regime di Lukashenko, di cui ne costituisce una delle principali fonti di ricchezza. Uno scandalo che potrebbe portare il governo di Ingrida Šimonytė a perdere un altro pezzo del suo governo come Marius Skuodis, ministro dei trasporti, che ha annunciato anche lui le sue dimissioni.

L’escalation con il governo di Minsk, sebbene sia diminuita rispetto al recente passato, resta comunque all’ordine del giorno in Lituania: non è un caso che lo scorso 7 dicembre l’esecutivo baltico abbia prorogato lo stato di emergenza al confine con la Bielorussia fino al prossimo 15 gennaio. «In territorio bielorusso sono ancora presenti 10 mila immigrati illegali che possono entrare nel Paese», ha sostenuto il ministero dell’Interno in un’informativa di inizio dicembre. Lo stato di emergenza prorogato permette alla polizia di frontiera di vietare qualsiasi spostamento entro i 10 chilometri dal confine con la Bielorussia, sottrarre i telefoni cellulari ai migranti e vietare gli assembramenti pubblici vicino al confine e nei campi. Il timore che tutto possa ripartire daccapo è ancora ben vivo.

All’appello non può ovviamente mancare Mosca: secondo funzionari dell’intelligence americana il governo di Vladimir Putin starebbe spostando quasi 70 mila soldati verso il confine con l’Ucraina in vista di una possibile invasione a inizio 2022. «Siamo convinti che la Russia si stia effettivamente preparando a una guerra totale contro Kiev. Se fosse un’ipotesi confermata sarebbe un attacco senza precedenti a un Paese filooccidentale e questo significa che la risposta deve essere senza precedenti anche da parte dei paesi occidentali», ha sostenuto Landsbergis, seguito come al solito da pochi Paesi europei, come Estonia, Lettonia e Polonia.

A occidente, infatti, questa posizione è piuttosto malvista: Francia e Germania non ritengono imminente un attacco dei russi e questo spingerà inevitabilmente anche l’Unione europea e Josep Borrell, che sostiene al momento “una linea deterrente” verso Mosca, ad andarci piano. L’intenzione delle istituzioni comunitarie è quella di trovare un eventuale linea comune europea nel caso in cui precipitino gli eventi, da concordare però sia con Londra che con Washington. Il rischio però che, mentre l’Europa concorda, decide, pianifica, Putin sia già arrivato a Kiev.

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