Fin da quando ero un giovane novizio mi hanno insegnato che gli errori, in politica, si compiono quando si sbaglia analisi. Ma da ex sindacalista mi porto dietro una deformazione professionale che mi induce a giudicare le iniziative delle confederazioni (compreso lo sciopero generale del 16 dicembre) dall’angolo di visuale della linea di condotta che un sindacato dovrebbe seguire in una determinata situazione.
Poiché la decisione della Cgil e della Uil non ha, a mio avviso, alcuna giustificazione sul piano sindacale, sono caduto nella trappola della profonda disistima che avverto nei confronti degli attuali gruppi dirigenti.
Poi – dopo aver letto altri commenti, tra cui quello di Mario Lavia su Linkiesta – mi sono convinto che Maurizio Landini e Pier Paolo Bombardieri, per quanto limitati, non potevano esserlo fino al punto di proclamare uno sciopero generale, a freddo, con motivazioni pretestuose e, per giunta, mettendo in difficoltà i rapporti con la Cisl (a proposito, mi sto ricredendo su Luigi Sbarra al quale non avevo perdonato la complicità con Annamaria Furlan nell’estromissione di Marco Bentivogli, il solo leader sindacale, sulla piazza, in grado di ‘’fare la differenza’’).
In sostanza, chi accoltella alle spalle un passante che non se lo aspetta o è un pazzo o un sicario. Vista l’assurdità della prima ipotesi, non rimane che la seconda. Le due confederazioni dispongono dei carri armati che Stalin pretendeva dal Papa; sono, soprattutto la Cgil, forze organizzate, hanno quadri preparati e risorse economiche – ridimensionate rispetto all’età dell’oro – ma pur sempre ingenti se paragonate con l’indigenza dei partiti e dei movimenti politici.
In altre circostanze la Cgil è riuscita a giocare un ruolo prettamente politico contro i governi presieduti da Silvio Berlusconi, fino ad un passo dall’investire Sergio Cofferati della leadership della sinistra. Ma il Cinese si giocò questa chance fondando – ecco l’analisi sbagliata che induce all’errore politico – una corrente di opposizione, sostenuta dalla Cgil, all’interno del Pds che venne sconfitta da Massimo D’Alema e Piero Fassino al congresso di Pesaro.
Landini ha coscienza dei suoi limiti. Quando ancora, ai vertici della Fiom, era considerato l’homo novus del sindacalismo italiano, provò a cimentarsi con la formazione di un movimento (se ben ricordo di nome “coalizione sociale”) che poi abbandonò alla stregua di un povero cane sulla via del mare.
Del resto la partita è troppo grossa per poterla gestire insieme con Bombardieri. Lo sciopero generale piomba in una stagione complessa in cui sono in ballo scelte importanti: dall’elezione del Capo dello Stato alla sorte del governo, e di quale maggioranza dirigerà il Paese se – come possibile – si andasse al voto anticipato; per non parlare dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, su cui non si sgarra.
Mario Draghi – dal Quirinale – diverrebbe il garante di una maggioranza molto ampia come quella che adesso sostiene il suo esecutivo. Per il centrodestra la copertura di SuperMario è un’enorme apertura di credito. Per il centrosinistra, invece, diverrebbe un impedimento per il tentativo di promuovere una nuova maggioranza di “campo largo”.
A volte ci sono segnali che sfuggono all’attenzione dei commentatori e dei media, ma che, quando sono riesaminati alla luce di fatti nuovi, aprono diverse prospettive. Qualche mese fa, a Bologna, fu organizzato dalla Cgil un convegno: “Le tre giornate di Futura” alla presenza del padrone di casa Maurizio Landini, di Enrico Letta, di Giuseppe Conte e della giovane Elly Schlein, la quale alla fine non esitò a tirare le somme: «Non so se ve ne siete accorti , ma oggi, qui, è emerso che tre aree politiche sono in grado di lavorare assieme per un progetto da contrapporre al centrodestra: un fronte progressista ed ecologista che potrà sfidare a testa alta la destra e vincere le elezioni».
Il solco lo aveva tracciato, sempre in quella occasione, Romano Prodi con una considerazione lapidaria alla base del suo ultimo saggio: «Il riformismo deve trovare una identità nuova dopo 35 anni di un liberismo che ha devastato i diritti sociali». Come si diceva un tempo: «I programmi sono bandiere piantate nella testa della gente». Che cosa resta da aggiungere?