Un piatto di risotto giallo fumante, il colore pastello, il profumo caldo e avvolgente, una delizia. Ma ci siamo mai fermati a chiederci che strada abbia fatto lo zafferano che ci regala tanto piacere? «Di recente abbiamo fatto una visita alla Cooperativa Altopiano di Navelli. Abbiamo assistito a tutte le fasi della produzione, dalla raccolta all’essiccazione. È stato emozionante vedere come tutta la comunità, in un paese così piccolo, è coinvolta in queste attività, come ci siano famiglie intere dedicate allo zafferano, elemento fondamentale nell’economia e nella cultura locale. È uno zafferano che fa parte della DOP Zafferano dell’Aquila, ma al di là della qualità del prodotto è stato bello sentire lo spirito, partecipare alla bellezza della comunità».
Biagio Amantìa racconta le sensazioni che ha provato in questo viaggio, descrive l’incontro con Massimiliano, uno degli agricoltori che fanno parte del progetto portato avanti da Coltivatori di Emozioni. Piattaforma di social farming, rete che si propone di promuovere la salvaguardia del patrimonio agricolo nazionale, Coltivatori di Emozioni, attraverso un sistema di adozione a distanza degli agricoltori, vuole supportare i valori di piccole aziende e giovani imprenditori, la loro passione per il lavoro, l cultura dei territori in cui operano, e raccontare le loro storie. Storie come quella di Massimiliano, produttore di zafferano a Navelli.
Amantìa, fondatore della piattaforma insieme a Paolo Galloso, descrive la sua giornata con Massimiliano: «è lui che ci ha accolto, e ci ha guidato sul campo alle 8 del mattino. Abbiamo assistito alla raccolta, e poi alla sfioratura, per poi andare all’interno, accanto al braciere, dove vengono posti gli stimmi per essere tostati. Tutto viene fatto a mano, con un grande sforzo fisico, soprattutto nella prima parte, quando si tratta di stare piegati per la raccolta. È bello vedere come da un prodotto riceva beneficio tutta la microeconomia locale, ma non solo, anche la promozione turistica. Sono queste le nostre più grandi soddisfazioni». E si può parlare a buon diritto di soddisfazioni, visto che lo zafferano ha ricevuto 200 buoni lavoro, che verranno usati per portare avanti le secolari tradizioni di Navelli: la soddisfazione per Coltivatori di Emozioni è questa, è vedere agricoltori che attraverso le adozioni riescono a rendere produttivi campi che prima non lo erano, a donare visibilità a un territorio, a promuoverne la cultura e le usanze.
Ma non c’è solo lo zafferano, anzi. Molti prodotti si sono rivelati un vero e proprio traino per il progetto. «Quelli che vanno per la maggiore sono i più tradizionali – spiega Amantìa – su tutti vino, olio e miele, ma anche particolarità come la fagiolina del Trasimeno o il formaggio molisano: prodotti che rappresentano un territorio, che conquistano perché si sceglie un’emozione, quella che il produttore sa trasmettere, prima ancora che un prodotto».
Il sistema è semplice: basta accedere al sito www.coltivatoridiemozioni.com, scegliere quale agricoltore e quale tradizione agricola adottare a distanza, selezionando uno fra i tre pacchetti presenti. Ogni box regalo contiene i prodotti provenienti dalle aziende agricole sostenute oltre a un certificato di adozione che suggella il legame tra sostenitore e produttore. Un legame che passa attraverso una storia. Come quella di Stefano Benoni, un ragazzo molisano che è stato tra i primi a entrare nel nostro network. La prima volta siamo andati da lui e ci ha raccontato la sua produzione di olio, ci ha fatto conoscere la sua famiglia. Poi di recente siamo tornati, accompagnati da Simone Rugiati, nostro “ambasciatore”: l’orgoglio di mostrare come da poche piante sia riuscito a portare la produzione a molti ettari era davvero grande.
O la storia di Letizia, produttrice di fagiolina del lago Trasimeno, un legume raro e quasi sconosciuto: lei è agricoltrice da sempre, per sua stessa definizione, è una sentinella del territorio, che da quando aveva 18 anni porta avanti l’azienda familiare con la stessa passione dei genitori. Al contrario Gabriella ha scelto la campagna, e in provincia di Torino produce Erbaluce di Caluso: la sua azienda è diventata un punto di riferimento per l’intera comunità circostante: è una fattoria didattica e accoglie come scuola-lavoro i ragazzi extracomunitari del centro di smistamento di Settimo Torinese, ma non basta: da settembre Gabriella è entrata a far parte del circuito delle scuole Senza zaino, creando una scuola parentale all’interno dell’azienda.
In Sicilia una storia sicuramente forte è quella di Manfredi e della sua famiglia: dopo aver dovuto cedere l’azienda agricola nel centro di Palermo a causa del famoso Sacco degli anni ‘60, hanno deciso di ricominciare da zero e dal 2000 coltivano olivi nella Valle del Belice». Tantissime storie, che coinvolgono tutta la nostra Penisola, da Nord a Sud, in un mosaico che si è composto nell’arco degli anni e che ancora si arricchisce di nuove tessere.
«Tutto è iniziato nel 2016 da un‘idea di Paolo Galloso che, ritornato dagli Usa in Puglia, ha deciso, insieme a un team di colleghi universitari, di tentare un progetto di destagionalizzazione turistica. Questo è stato il primo seme da cui è nato l’obiettivo che oggi ci poniamo con la rete di Coltivatori: ridare vita ai borghi abbandonati sul territorio italiano, facendo conoscere a tutti la ricchezza e la bellezza del nostro patrimonio. Oggi le richieste di affiliazione sono sempre di più: selezioniamo le realtà aderenti insieme a una commissione guidata da Simone Rugiati, che testa i prodotti che entrano in rete. La qualità è fondamentale, ma non è tutto. La nostra rete è fatta di realtà familiari, legate al territorio e alla tradizione, e che abbiano attenzione per la comunicazione e il digitale, che abbiano vocazione alla collaborazione e al network». Solo così si può comporre una rete fatta non solo di terre e sapori, ma anche e soprattutto di valori e di emozioni.